Nei prossimi giorni a Bologna, Mestre e Padova sarà possibile incontrare la ricerca umanistica di Andrea Cramarossa e dei suoi visionari compagni d’arte. Noi li abbiamo incrociati qualche giorno fa (per la seconda volta) a Napoli, state a sentire.
Sideralmente lontani.
Da ogni moda e mondanità.
Dai riti e miti della società dello spettacolo.
Dai suoi ritmi annichilenti, dalla vorace richiesta di sempre nuovi debutti, in un’ansia da novità che (quasi) tutto e tutti pervade.
Da ogni compiacimento estetico, composizione pacificata, anestetizzante equilibrio.
Da un’idea (una prassi) di arte come mestiere, nel senso opportunistico del termine.
Al contrario: tempi lunghi di studio e ricerca, rigorosi e lieti. Progetti pluriennali con sviluppi organici, dunque organicamente imprevedibili. Prese di posizione estetiche nette, con la conseguente elaborazione di un Metodo e di un Manifesto. L’esplicita filiazione a esponenti divergenti del Novecento, et ultra: «Teatro delle Bambole si ispira al lavoro sul suono di Gisela Rhomert (Metodo del Lichtenberger® Institut für angewandte Stimmphysiologie) e al “Teatro delle Orge e dei Misteri (Orgien-Mysterien-Theater)” dell’artista austriaco Hermann Nitsch, massimo esponente del Wiener Aktionismus», si legge nel loro sito web.
Nei prossimi giorni il gruppo, di base a Bari, sarà al Nord, per una serie di appuntamenti di sicuro interesse: il 10 e 11 aprile a Bologna Andrea Cramarossa condurrà un workshop di introduzione sul Metodo Body <=> Voice (info); lo spettacolo Se cadere imprigionare amo (grazie al quale l’abbiamo felicemente conosciuto, un anno e mezzo fa, qui la nostra recensione) sarà il 12 aprile a Mestre (info) e il 14 aprile a Padova (info); il 13 aprile a Mestre, infine, Andrea Cramarossa condurrà il workshop di recitazione L’Altro Regno, a partire da Ifigenia in Aulide di Euripide (info).
Memori della bella scoperta, avvenuta nell’ottobre 2017 in seno alla XV edizione del Festival riminese Le Voci dell’Anima, con curioso entusiasmo siamo tornati, grazie al mecenate Giuseppe Morra (qui alcune note sul nostro primo incontro), a sbirciare il lavoro sommerso e fecondo di Andrea Cramarossa e del manipolo di artisti con cui, pervicacemente, lavora.
Il luogo, del tutto significante, in cui abbiamo assistito al primo studio di PFERD PERSON – L’insostituibile frenesia del verbo, epilogo del progetto quinquennale La lingua degli insetti, è stato una sala del folgorante Museo Archivio Laboratorio per le Arti Contemporanee Hermann Nitsch di Napoli: spazio progettuale che, nomen omen, si propone di conservare e valorizzare le tracce del lavoro dell’esponente massimo del Wiener Aktionismus e, al contempo, di sostenere realtà che, oggi, perseguono una ricerca (performativa o visuale: le categorie fecondamente si ibridano, qui) meticolosa e radicale.
Il materiale scenico che ci è stato offerto, pur presupponendo alcune asciugature che certo avranno luogo, sorprende per compattezza e compiutezza.
PFERD PERSON – L’insostituibile frenesia del verbo è incarnato da due attori, Silvia Cuccovillo e Federico Gobbi, che fin dal prologo colpiscono per la maestria di cui sono portatori.
Immediatamente la spiazzante partitura elaborata da Andrea Cramarossa sposta in un territorio altro la relazione con lo spettatore: dalla convenzionale, rassicurante ammirazione che la téchne posseduta dagli artisti (la perizia che li contraddistingue in quanto tali) suscita nello spettatore plaudente, lo spettacolo muove, come su un piano inclinato, verso un fatto scenico per nulla pacificato, tenuto in equilibrio da una sapienza registica affatto solida, e da altrettanto solide Figure.
Un fare registico, pare di poter affermare, che è innanzitutto composizione di campi semantici oppositivi. Fra i molti, vale ora enuclearne almeno tre: misura e dismisura (in questo senso il nesso con topos e stilemi di Hermann Nitsch pare cristallino), naturalistico e stilizzato (o, più precisamente: espressivo ed espressionista), apoteosi e derisione (come direbbe il grande Maestro polacco del Novecento teatrale).
Con attitudine strutturalista, alcune elementari partiture testuali e coreografiche vengono ripetute in diverse direzioni nello spazio, mettendo in evidenza la lingua scenica, a comporre una proposizione che potrebbe essere esperita anche solo visivamente, o unicamente come avventura dell’ascolto, tanto sono autoportanti gli elementi che la costituiscono.
È una tragedia pop, ciò che ci è dato a vedere, nella quale il “canto dei capri” si traduce in maschere di gomma e il Grande Dittatore diviene bidimensionale, piatta fotografia, mentre uno scheletro si giustappone a bambole di plastica e la Storia alle storie.
Ciò non faccia pensare alla comoda semplificazione tanto in voga nelle proposizioni più à la page della scena contemporanea, con spettacoli che dicono una cosa, tracciano un segno, evocano una immagine: si è del tutto (e per fortuna) fuori moda, qui. Complessi. Misteriosi. Molto vicini a un nocciolo selvatico dell’umano, approssimato con chirurgica esattezza.
Il dato storico che origina e intride la messa in scena, così come tutti gli elementi che la compongono, vanno intesi come domande all’intelligenza e alla sensibilità di ciascuno, in quanto posti a eludere ogni ben accetta categoria, tanto morale quanto estetica.
«Questa è una parabola per ogni singolo di noi» si potrebbe sintetizzare con le ultime righe de Sull’utilità e il danno della storia per la vita di Nietzsche «egli deve organizzare il caos in sé, ritornando alle sue esigenze reali. La sua sincerità, il suo carattere buono e verace, dovranno opporsi in qualche momento al fatto che sempre e solo si ripeta, si impari da altri e si imiti; allora comincerà a comprendere che la cultura può essere qualcosa d’altro che decorazione della vita, cioè alla fine sempre e solo contraffazione e velo, dato che ogni decorazione nasconde la cosa decorata. E così gli si rivelerà il concetto greco di cultura – in opposizione a quello romano – il concetto di cultura come di una physis nuova e migliorata, senza interno ed esterno, di cultura come voce unanime fra vita, pensiero, apparire e volere. Allora lui impara dalla sua esperienza che era lui la forza superiore della natura sensibile, attraverso la quale ai Greci è riuscita la vittoria su tutte la altre culture, e che ogni aumento della veridicità deve essere anche un incremento che prepari la vera cultura, anche se questa veridicità potrebbe occasionalmente danneggiare in modo serio il culturame così apprezzato, anche se lei stessa potrebbe contribuire a far cadere una cultura del tutto decorativa».
Dire grazie, almeno.
MICHELE PASCARELLA
Visto al Museo Hermann Nitsch di Napoli il 22 marzo 2019 – info: teatrodellebambole.it, museonitsch.org, fondazionemorra.org