Periferico Festival. La grazia della composizione

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foto di Carlo Rotondo

 

Lampi su due giornate alla undicesima edizione del luminoso progetto a cura di Collettivo Amigdala.

MUMBLE MUMBLE

Ciclicamente, vien fatto di interrogarsi su cosa esprima la funzione critica oggidì. Lungi da noi far discorsi generali, che valgan per tutti: limitandosi alla nostra piccola esperienza ci si domanda a cosa serva, detto in soldoni, il nostro guardare, il nostro scrivere.

Lontanissimo ormai -e per fortuna- il tempo in cui l’amore o il disamore di un «agitatore culturale» (leggi: Franco Quadri) poteva fare la fortuna o la sfortuna di questo o quell’artista – se lacerti di ciò in parte permangono non siamo certo noi a procurare quella differenza.

Altrettanto remota, forse, l’originaria funzione critica: far da ponte tra opere e fruitori.

Dunque: che stiamo a fare?

Restituire agli artisti uno sguardo, accordarsi a loro, alla lingua che hanno scelto per parlare  al (con il) mondo. Forse.

Artisti. In questo caso il riferimento è innanzi tutto al Collettivo Amigdala, al netto gesto curatoriale, pienamente artistico e poetico -dunque creatore- compiuto per l’undicesima edizione di Periferico Festival: convocare gruppi di artisti a interrogarsi insieme su una idea e una pratica di relazione tra il corpo e lo spazio. A ciascuno è stata affidata la co-curatela di una giornata del Festival.

Affidare.

Confidare.

Comporre.

Mettere assieme pezzetti di mondo. Accordarli. Farli suonare e risuonare, per sintonia o contrasto.

Per produrre esperienza.

Come non pensare a Filippo Tommaso Marinetti, alle sue Tavole tattili fatte passare fra il pubblico durante le furiose serate futuriste?

 

Filippo Tommaso Marinetti, Tavola tattile, 1921

 

Grazia della composizione.

«Esser visitati dalla grazia»: con analoga fiducia convocare e accogliere, comporre e proporre.

Per accordarci, si diceva poc’anzi, a questo gesto creatore, abbiam modestamente pensato di riprendere una modalità di sguardo e restituzione sui fatti dell’arte sperimentata qualche anno fa: durante gli spettacoli abbiamo preso appunti sul nostro taccuino. Inevitabilmente (anzi: intenzionalmente) frammentari.

Ora li ricopiamo qui.

Nessun approfondimento.

Alcuni lampi.

Confidando che la mera giustapposizione di pezzetti di mondo possa far sorgere, di grazia, qualche minuscola immagine. Possa, per un istante, risuonare.

Buona lettura.

 

MERCOLEDÌ 8 MAGGIO 2019 – A CURA DI DEWEY DELL

 

foto di Vittorio Antonacci

 

Teodora Castellucci attraversa una striscia di moquette color sabbia.

Color sabbia anche questa palestra, il suo costume.

Accordarsi.

Arte mimetica. Danza che affiora.

Postura che si apre, pian piano, componendo e scomponendo curve e linee rette.

Tappeto sonoro, alcuni accenti raddoppiati: corpo danzante e corpo sonoro.

Danza futurista. Giannina Censi abbattuta, spiaggiata.

No narrazione, sì progressione. Drammaturgia di toni muscolari.

Rumore di motori e macchine. Ancora il futurismo. Luigi Russolo e i suoi Intonarumori: opera come luogo che accoglie il mondo, che si fa attraversare.

 

Luigi Russolo, Grafia enarmonica per Intonarumori, Risveglio di una città, 1914

 

Visione laterale, poi obliqua.

Posture ginniche evocanti classicità.

Vengono in mente le foto di Mapplethorpe viste al Museo Madre di Napoli, qualche settimana fa. Opera sull’opera. «Tu es lefils de quelqu’un», diceva Grotowski.

Helene Bertha Amalie Riefenstahl detta Leni. In controluce.

 

foto di Vittorio Antonacci

 

Il corpo del poeta, svuotato dalla sua propria voce per essere abitato, attraversato dalla voce delle muse.

Farsi luogo (De Certeau, ancora).

Creazione come accoglienza.

Profeta, «voce al posto di».

Fiducia in qualcosa di umanissimamente altro.

 

Hieronymus Bosch, trittico del Giardino delle Delizie, 1500

 

Un piccolo giardino.

Natura e cultura. Uccellini e passi ritmici.

Pieno e vuoto. Duro e morbido. Variazioni di velocità e ritmo. Narrazione e evocazione. Con il (e nel) corpo.

Tutto è ritmo, diceva il filosofo.

Stilizzare baruffe, risate, contatti.

Frammenti “drammatici” subito spezzati dalla ripresa del ritmo tenuto battendo i piedi a terra.

Passi sonori in sincrono.

Émile Jaques-Dalcroze, la tua rivoluzione arriva fino a questa palestra modenese. Chapeau.

 

SABATO 11 MAGGIO 2019 – A CURA DI DOM- LEONARDO DELOGU E VALERIO SIRNA

 

foto di Carlo Rotondo

 

Letture e dialoghi.

Una stanza piena di materassi e cuscini.

Disporre il corpo al dialogo.

Filosofia del (nel) corpo. Filosofia incarnata.

«Critica filosofica dell’ideale umanistico occidentale dell’Uomo come presunta misura universale di tutte le cose»

«La soggettività non è una prerogativa esclusiva dell’anthropos»

«Assemblaggi di attori umani e non umani»

«Definizione ampliata della vita»

«Questa idea abbandona il divario natura-cultura e lo sostituisce con una filosofia della relazionalità e delle molteplici interconnessioni»

«Etica relazionale della gioia»

«Abbiamo bisogno di un pensiero nomade e non lineare»

«Riconoscimento compassionevole dell’interdipendenza con altri multipli, umani e non umani»

E anche: «La voglia di essere persi assieme attorno a queste questioni».

 

foto di Carlo Rotondo

 

Ieri mi sono comportata male nel cosmo.
Ho passato tutto il giorno senza fare
domande,

senza stupirmi di niente.

Ho svolto attività quotidiane,
come se ciò fosse tutto il dovuto.

Inspirazione, espirazione, un passo dopo
l’altro, incombenze,
ma senza un pensiero che andasse più in là
dell’uscire di casa e del tornarmene a casa.

Il mondo avrebbe potuto essere preso per
un mondo folle,
e io l’ho preso solo per uso ordinario.

Nessun come e perché –
e da dove è saltato fuori uno così –
e a che gli servono tanti dettagli in movimento.

Ero come un chiodo piantato troppo in
superficie nel muro
(e qui un paragone che mi è mancato).

Uno dopo l’altro avvenivano cambiamenti
perfino nell’ambito ristretto d’un batter
d’occhio.

Su un tavolo più giovane da una mano d’un
giorno più giovane
il pane di ieri era tagliato diversamente.

Le nuvole erano come non mai e la pioggia
era come non mai,
poiché dopotutto cadeva con gocce diverse.

La terra girava intorno al proprio asse,
ma già in uno spazio lasciato per sempre.

E’ durato 24 ore buone.
1440 minuti di occasioni.
86.400 secondi in visione.

Il savoir-vivre cosmico,
benché taccia sul nostro conto,
tuttavia esige qualcosa da noi:
un po’ di attenzione, qualche frase di Pascal
e una partecipazione stupita a questo gioco
con regole ignote.

Wislawa Szymborska

 

foto di Carlo Rotondo

 

Drammaturgia dello spazio. Spazio inteso (accolto) come elemento drammaturgico attivo.

Musica utile a sfocare il confine tra realtà e finzione.

Dopo qualche ora la stanchezza porta un po’ di silenzio, finalmente.

Alcune semplici pratiche per affinare la percezione.

Due anziani signori che camminano tenendosi per mano.

Una grande chiesa, con un grande vuoto al centro.

Molte nuvole.

Una fila di uomini e donne in cammino.

 

foto di Carlo Rotondo

 

Cume me pias el mund! L’aria, el so fiâ!
j àrbur, l’èrba, el sû, quj câ, i bèj strâd,
la lüna che se sfalsa, l’èrga tra i câ,
me pias el sals del mar, i matt cinâd,
i càlis tra i amís, i abièss nel vent,
e tücc i ròbb de Diu, anca i munâd,
i spall che van de pressia cuj öcc bass,
la dònna che te svisa i sentiment:
l’è lí el mund, e par squasi spettàss
che tí te ‘l vàrdet, te ghe dét atrâ,
che lü ‘l gh’è sempre, ma facil smemuriàss.
tràss föra ind i pernser, vèss durmentâ…
Ma quan’ che riva l’umbra de la sera,
‘me che te ciama el mund! cume slargâ
te vègn adòss quèl ciel ne la sua vera
belessa sena feng nel so pensàss,
e alura del tò pien te càmbiet cera.

Franco Loi

MICHELE PASCARELLA 

Visto al Villaggio Artigiano di Modena Ovest l’8 e l’11 maggio 2019 – info: perifericofestival.it