Tra falsi incubi e follia: Fashionista di Simon Rumley

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Andare al cinema sta diventando sempre di più una pratica desueta. Il dispositivo cinematografico si sta ri-locando, passando dalla tradizionale sala a luoghi di fruizione alternativi che impongono nuovi modelli di ricezione, nuovi atteggiamenti spettatoriali, nonché un ripensamento delle pratiche di produzione e di distribuzione dei prodotti audiovisivi. In realtà, l’entrata del cinema nelle case e la visione individuale non è una trasformazione recente: tale processo ha avuto inizio fin dalla nascita della televisione e si è evoluto con l’avvento delle videocassette e dei dvd. La tendenza alla smaterializzazione, introdotta dall’avvento del World Wide Web, ha portato all’emergere dello streaming con annesse le difficoltà di tutela dei prodotti e dei loro autori. È nata così l’urgenza di immaginare un’adeguata soluzione che tenga conto anche delle esigenze espresse dai nuovi pubblici: disponibilità, comodità, economicità, connettività. Nell’ambito della distribuzione si tenta di creare canali alternativi e, parallelamente, di combattere lo streaming pirata con l’emergere di veri e propri cataloghi cinematografici online che offrono il noleggio o l’acquisto di film. La creazione dell’etichetta di distribuzione The dark side of Movies, a opera di Kamera Film, Ravenna Nightmare Film Fest e la piattaforma streaming CINEMAF, è più chiara se inquadrata all’interno di questo contesto. L’etichetta si inserisce all’interno di una piattaforma online, distinguendosi dalle ormai tradizionali e mainstream Netflix, Amazon Video o Chili nella creazione di uno spazio apposito per il cinema internazionale di genere crime, sci-fi, noir, thriller e horror, e per il cinema d’autore tout court. Essa rende così possibile la distribuzione e la valorizzazione di opere di qualità delle passate edizioni del Festival.

Disponibile ormai già da un mese sulla piattaforma, il primo film distribuito dalla nuova etichetta è Fashionista di Simon Rumley, vincitore del Premio della Critica alla XV edizione e prototipo ideale per dare il via a questa nuova proposta di distribuzione, tant’è emblematico nel suo trascendere i generi per entrare in quel “dark side” che incuriosisce e sconvolge lo spettatore.

Parlare della linea narrativa del film non è facile: Fashionista presenta una struttura circolare, introducendo all’inizio e alla fine uno stesso personaggio, una donna non ben identificata la cui identità resta pressoché un mistero. Il film si apre e si chiude con tonalità sature, mentre la lunga parentesi che si trova al centro del film e che si identifica così come un lungo flashback è caratterizzata da colori estremamente accesi, a testimoniare un altro piano di realtà o meglio di follia. Perché in effetti è la follia il vero tema portante di tutto il film, che viene esplicitato non solo a livello della storia ma anche attraverso lo stile e il montaggio.

Nessuno dei personaggi principali è particolarmente delineato, non si sa molto del loro passato o delle loro vite, tanto che la loro personalità sembra coincidere unicamente con i loro disturbi: quello dell’accumulo compulsivo per Eric, quello feticistico e a tratti erotico verso i vestiti di April, quello sadomasochista di Randall. Eric e April emergono immediatamente come centro della narrazione: marito e moglie vivono nella claustrofobia del loro negozio di abiti usati e del loro appartamento, dove vengono continuamente inquadrati dietro a vestiti e oggetti che rendono debole la loro autonomia rispetto allo spazio e che determinano la loro impossibilità di movimento, fisica quanto mentale, prigionieri entrambi di uno stato patologico da cui è difficile uscire. Con il tradimento di Eric, April riesce finalmente a liberarsi dell’ossessione che disturba il marito, dando concretamente e simbolicamente fuoco a tutti i suoi abiti da magazzino, ma contemporaneamente vede accentuarsi il suo disturbo: mentre inizialmente April si limita ad accarezzare e annusare gli abiti in momenti di difficoltà, d’ora in avanti la donna instaurerà con questi indumenti un vero e proprio rapporto festicistico ed erotico, nel tentativo di riempire un vuoto di amore e la paura di non essere abbastanza, legata a una profonda mancata accettazione e apprezzamento di se stessa. È in questo stato che April incontra Randall, un uomo affascinante quanto pericoloso che la trascinerà in un circolo vizioso da cui sarà difficile uscire. Anche Randall, come tutti gli altri personaggi, non gode di una caratterizzazione esaustiva, complicata in particolar modo dai numerosi passaporti e conseguenti identità che rendono difficile per lo spettatore, ma anche per la stessa protagonista, capire chi sia effettivamente quest’uomo. In realtà tuttavia che si chiami Duncan Randall o Thomas Edward non cambia perché, come gli altri personaggi, ciò che lo identifica davvero è il suo disturbo legato al sadomasochismo. Nelle sequenze che lo vedono protagonista, la claustrofobia dell’appartamento di April entra in contrapposizione con la vastità di spazi di quello di Randall. Tuttavia il movimento resta comunque in qualche modo impossibilitato, facendosi estremamente controllato, quasi geometrico.

A restituire l’idea di follia è anche l’intera costruzione del film che procede per flashback e flashfoward. Spesso questi ultimi vengono montati con le notti tormentate della protagonista, quasi come se si trattasse di brutti sogni, per poi tornare ad emergere più avanti nella storia identificandosi così come una vera e propria realtà da incubo. Nonostante la difficoltà di legare in termini di causa ed effetto tutte le singole parti che compongono il film, il particolare utilizzo del colore permette di collegarle le une alle altre come facenti parte di un’unica realtà disturbata, la cui percezione è alterata da uno stato di follia che, simile a quello della droga e della dipendenza dalle sostanze stupefacenti, colora la realtà di chi le consuma di tonalità accese e inconsuete. La loro saturazione, come si diceva all’inizio, indica l’introduzione di un altro piano di realtà, dove il mondo viene percepito come soffocato, un po’ come la sorte che spetta alla protagonista, e dove il soggetto della percezione è una nuova donna non più in stato di ebbrezza al limite dell’overdose, ma in una condizione estremamente controllata che le permette di gestire le plurime personalità che il suo corpo ospita, “congelando” così in qualche modo lo spazio che la circonda.

Da questo groviglio complicato di passioni, follie e disturbi psichiatrici, l’unico personaggio positivo che sembra emergere è quello di Hank, un giovane e avvenente senzatetto che sembra suggerire che la chiave della salvezza, per sfuggire a questo mondo malato e soffocante, sia proprio quella di non cercare di costruirsi per forza un “tetto”, ma di vivere la propria libertà negli ampi spazi offerti dalla strada che, in effetti, sono praticamente gli unici esterni presenti nel film dove il movimento dei protagonisti non appare soffocato.

Il film sarà disponibile fine al 30 aprile 2020 sulla piattaforma cinemaf.net