Letto da noi: “Nudo con filo spinato” di Pëtr Pavlenskij

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Pëtr Pavlenskij, Cucitura (2012)

 

Pensieri, parole e azioni del controverso artista politico russo che, come titola la prefazione del bel volume che il Saggiatore gli ha recentemente dedicato, usa «il corpo come arma».

In principio fu il corpo.

Organico ma, in senso comune, del tutto innaturale.

È lunga almeno un secolo la (spesso incomprensibile ai più) sperimentazione che, nel mondo dell’arte, si compie attraverso il corpo.

Paradosso: ponendo al centro dell’atto comunicativo l’unico elemento che davvero accomuna tutti gli esseri umani -il possedere un corpo, appunto- il suo utilizzo anomalo, non  quotidiano muove immediatamente la ricezione del fatto artistico su un piano altro: non sensoriale ma mentale, non percettivo ma valoriale.

Obiettivo che, si può forse sintetizzare, accomuna le molte proteiformi esperienze degli ultimi cento anni: creare nuovo pensiero attraverso azioni “insensate”, spesso faticosissime, finanche dolorose e del tutto anti-economiche, se si considera valida la classica definizione di economia come «ricerca del massimo risultato con il minimo sforzo».

Dal pellegrinaggio (a piedi, da Berlino a Roma) della dadaista Hannah Höch nel 1922 allo smisurato sperpero lessicale nella Ursonate di Kurt Schwitters, dalle antenne organiche di Joseph Beuys alle parabole artificiali di Rebecca Horn, dalle smorfie di Bruce Nauman alle più celebri (e a volte autolesioniste) performance di Marina Abramović (con e senza Ulay) e Gina Pane, dai morsi autoinflitti da Vito Acconci a Chris Burden che si fa sparare in un braccio e crocifiggere su un’automobile, fino alle proposte estreme dell’Azionismo viennese.

A lungo si potrebbe continuare, ma questi minimi accenni sono forse sufficienti a significare che Pëtr Pavlenskij non è un caso isolato.

Certamente estremo, spigoloso e irritante ma non fuori dal tempo, né dalla Storia.

Al contrario.

 

Pëtr Pavlenskij, Cadavere (2013)

 

Le azioni di Pavlenskij, che si autodefinisce in tutto e per tutto «artista politico», vogliono dire qualcosa, al e sul mondo, sul tema della libertà e della sua mancanza, in una idea e una prassi sideralmente lontane dalla concezione propriamente romantica di artista come qualcuno che si strugge, nel chiuso del proprio studio, per esprimere sentimenti e stati d’animo privati attraverso un’opera «bella», meritevole di pacificata ammirazione.

Tra le sue opere vanno nominate almeno Cucitura (2012), Cadavere (2013), Fissazione (2013), Separazione (2014), Libertà (2014), Minaccia (2015), in seguito alle quali è stato ogni volta arrestato, in Russia e in Francia.

«Il 23 luglio 2012 un uomo compare di fronte alla cattedrale di Kazan’, a San Pietroburgo. La sua bocca è cucita da un filo che penetra nella carne, serrando il labbro superiore e quello inferiore: è l’artista Pëtr Pavlenskij. Il suo corpo riappare ostinato negli spazi pubblici della Russia di Putin: nel maggio 2013 Pavlenskij è nudo, avvolto nel filo spinato, davanti al Parlamento di San Pietroburgo; a novembre si inchioda i genitali al selciato di fronte al Cremlino durante la Festa della polizia. Nell’ottobre 2014, seduto sul muro di un ospedale psichiatrico, si recide il lobo dell’orecchio destro. Nel novembre 2015 incendia il portone del quartier generale dei servizi segreti» si legge nella scheda di presentazione del volume a cura dell’editore «Seguono complotti giudiziari, scandali e arresti che non fanno che amplificare la forza delle sue azioni, perché se i suoi materiali non sono che un corpo, del filo spinato o una tanica di benzina, a creare il significato delle sue opere contribuiscono lo sconcerto del pubblico, le violenze dei poliziotti, il clamore dei giornali. Oggi di quel processo entra a far parte questo libro, terminato in carcere, in cui Pavlenskij racconta la sua arte politica, scandalosa e inarrestabile».

 

Pëtr Pavlenskij, Fissazione (2013)

 

Nudo con filo spinato si apre con una preziosa prefazione di Agnese Grieco (anche traduttrice della lunga intervista che ne costituisce il cuore), che spiega e al contempo problematizza le azioni e i pensieri di Pavlenskij, contestualizzando le provocazioni di questa «sorta di stilita anticapitalista» (p. 16) e svelandone impensate sfaccettature: «il giudice incaricato di occuparsi del processo istruttorio a carico dell’artista […] finirà per sposare le idee dell’accusato. Si dimetterà dal suo incarico, abbandonando il ruolo di pubblico ministero per passare dall’altra parte della barricata, diventare l’avvocato difensore dell’artista stesso» (p. 25).

Il dialogo pubblicato nel libro, in parte realizzato mediante una corrispondenza scritta -sottoposta a censura- con Pavlenskij in carcere, è vivace e per nulla unilaterale. Un esempio di domanda o, meglio, di questione posta [parlando dei rapporti della figlia con i coetanei, NdR]: «I bambini sono crudeli. Potrebbero cominciare a prenderla in giro, se entrano in contatto con un ambiente in cui le tue azioni sono note. Per la maggior parte della gente infatti, e i figli di questa gente sono i compagni di classe di tua figlia, quello che fai è sconcertante e incomprensibile – per loro non sei altro che un pazzo, famoso in tutto il paese. I bambini assumeranno la posizione dei genitori. A casa dicono: “In classe con noi c’è la figlia di un artista contemporaneo”. E i genitori rispondono: “Ah, quel tipo che si è inchiodato i coglioni sul selciato della Piazza Rossa”. Le tue figlie saranno di continuo costrette a confrontarsi con cose simili. Ci hai mai pensato?» (p. 41).

Quando si dice: non fare domande “di servizio”. Chapeau.

 

Pëtr Pavlenskij, Separazione (2014)

 

Nudo con filo spinato è diviso in cinque capitoli “tematici” (Riguardo all’ordine / alla scissione / ai legami / alla cura / al controllo) che restituiscono una visione del mondo radicale, ancorché non del tutto condivisibile. Un solo esempio, a mo’ di sineddoche, dell’opinabilità delle scelte dell’artista: «Faccio vedere alle mie figlie la documentazione [delle azioni svolte, NdR]. Mi interessano le loro domande, così come le catene di associazioni che creano» (p. 35).

Con tutte le riserve del caso, Pëtr Pavlenskij ha l’indubbio merito -in un panorama che sempre più premia semplifica(n)ti ammiccamenti e vuoti esercizi di stile- di incarnare (letteralmente) una concezione di arte protesa verso la società: «io lavoro con il concetto di libertà […] parlo di un “carcere del quotidiano” […] il fine della lotta è la comprensione» (p. 138).

Arte che va incontro alle persone.

A una possibile, umanissima -ancorché scomoda- rivoluzione.

 

MICHELE PASCARELLA

  

Pëtr Pavlenskij, Nudo con filo spinato. Vita violenta di un artista sovversivo – edizioni il Saggiatore, Milano, 2019 – pp. 139, € 22