La fotografa Francesca Marra e lo storico dell’arte Simone Azzoni nel luglio 2018 hanno compiuto un viaggio in Sudafrica: ne è uscito un minuscolo libro con una smisurata storia alle spalle. E con testi scritti a mano su ogni copia.
In centottant’anni di storia, la fotografia ha in innumerevoli modi dato corpo a un perpetuo oscillare tra due polarità complementari: documentazione del reale e fuga nell’immaginario.
Blu, realizzato a quattro mani dalla fotografa Francesca Marra e dallo storico dell’arte Simone Azzoni, protagonisti in prima persona del viaggio che ne costituisce la scaturigine, funziona, si potrebbe forse azzardare, come la celebre serie di Verifiche di esistenza realizzate (principalmente) negli anni Settanta da Franco Vaccari.

L’autore emiliano, noto soprattutto per la proposta interattiva in programma alla Biennale di Venezia del 1972 nella quale invitava i visitatori a lasciare su una parete una traccia fotografica del proprio passaggio appendendovi autoscatti realizzati in una cabina per fototessere installata in loco, pochi anni dopo elabora un dispositivo di fotografie in successione, ancora nell’ambito del progetto pluriennale e proteiforme Esposizione in tempo reale, grazie al quale il visitatore si trovava appaiato all’immagine che di sé era appena stata realizzata.
In Blu, analogamente, una manciata di fotografie di luoghi, persone e altre immagini (come non ricordare le pasoliniane Descrizioni di descrizioni?) paiono ri-mettere in feconda crisi (dunque, etimologicamente, sembrano separare) alcune categorie del visibile, in primis la distinzione, fondativa, tra presentazione e rappresentazione.

In bilico, ancora, tra l’inevitabile esotismo evocato da Du Camp e Flaubert (l’uno fotografo, l’altro uomo di parola – celebre la suggestiva documentazione visiva del loro viaggio in Egitto a metà ottocento, resa possibile dall’invenzione brevettata solo un decennio prima) e, per restare in tema di coppie d’arte tra i mille esempi possibili, le Anonymous Sculptures di Bern e Hilla Becher nei duri e concettuali anni Sessanta/Settanta, in queste pagine Marra e Azzoni restituiscono lacerti di un viaggio esperito come concreta possibilità di (auto)documentazione, (ri)conoscenza, spaesamento.
Ciò non vada inteso in senso intimistico (non ci è dato sapere cosa questo viaggio abbia portato a livello personale ai due autori, e in ogni caso non è questo il punto, ora): piuttosto pare interessante notare come una tale sensibilità si traduca in immagine.
È ovvio, si dirà, si tratta di fotografie.
Non solamente, si potrebbe rispondere con Philippe Dubois: sono «immagini-atto» che, allontanandosi con ampie falcate dall’idea di mero oggetto visivo creato per essere ammirato, si approssimano a una nozione (e soprattutto a una prassi) di fotografia come qualcosa che «non si può concepire al di fuori delle sue circostanze».

Un’ultima parola va spesa (ma molto a lungo si potrebbe continuare, tale è la quantità di connessioni e rimandi che intridono questa pubblicazione) sulla funzione dei brevi testi scritti a mano sotto ad alcune delle fotografie presenti. Sono segni generati direttamente dal proprio autore, dunque profondamente a lui connessi: fino a rappresentarne, forse, una sorta di prolungamento. Di nuovo: ciò non faccia pensare a facili psicologismi d’occasione. Sul piano del linguaggio, questo ci interessa notare ora, tali interventi paiono assolvere alla specifica funzione, in piena sintonia con le immagini con cui dialogano, di porre una domanda sulla relazione funzionale tra l’uso corrente, svilito della lingua che parla gli abitanti di un dato luogo e l’apparenza dimessa, povera, finanche intenzionalmente occasionale con la quale precise parole sono consegnate alla pagina.

Per concludere (e per chiarezza): Blu è opera editoriale autoprodotta, minuscola donchisciottesca impresa che ingaggia la nostra intelligenza, il nostro sguardo.
Dire grazie, almeno.
MICHELE PASCARELLA
info: https://www.francescamarra.net/blu