Lo storico dell’arte Simone Azzoni dialoga con la performer sensibile in merito allo spettacolo di Maria Federica Maestri e Francesco Pititto che questa sera chiuderà, abitando le architetture ottocentesche del Piccolo Teatro di Giulietta, l’edizione 2019 di Theatre Art Verona.
.
Cosa Le è rimasto addosso di questo personaggio e come si è avvicinata a lei?
Mi sento a lei molto vicina e in un modo sottile e profondo. E questo secondo me ha un grande fascino: questa profondità del mito.
Chi è Iphigenia?
Un personaggio che vive contraddizioni dentro di sé, ha un aspetto sociale ed è quindi dentro ad una realtà fatta di doveri ma è anche figura che cerca la libertà.
Quali domande rimangono aperte nell’anima e nella coscienza dello spettatore?
Lo spettatore può trovare una parte più umana, profonda di sé ma anche la parte animale. È un cercare di fare coincidere degli aspetti di sé. Apparentemente in contraddizione ma nella medesima dimensione di autenticità.
Gli oggetti in scena: uso simbolico o naturalistico?
Ci sono oggetti che evocano il mito, come ad esempio le corna della cerva. Ma anche oggetti che parlano del quotidiano rivisitati. C’è una realtà trasportata sul piano simbolico.
É un rito o una perfomance, un sacrificio o uno spettacolo?
Credo che in un teatro come il vostro, così intimo e raccolto il lavoro diventi interattivo, di vicinanza con le persone. Emerge anche un aspetto rituale legato al personaggio, essendo una sacerdotessa risalta il mito, resta però un lavoro soprattutto perfomativo.
Da dove è partita per costruire la partitura scenica ?
Un insieme di cose. Inizialmente dal lavoro sul gesto in rapporto con gli oggetti. La coreografia è legata a movimenti naturali.
Chi viene da un immaginario artistico ritroverà una memoria iconografica?
Da un punto di vista segnico e coreografico si. Il lavoro è inerente al teatro danza di Pina Bausch, si fa poi riferimento alle performance di Joseph Beuys: il testo non è tanto recitato, ma respirato. Alcune meccaniche rimandano anche ai mondi di Vanessa Beecroft.
Gli spettacoli di Lenz richiedono uno sguardo raffinato e sottile, una sensibilità attenta e partecipe. Come preparare l’attenzione a questo lavoro?
Credo in una dimensione di ascolto semplice. Qui occorrerà essere testimoni. Non c’è l’esigenza di essere persone competenti. Assistere a questo lavoro è mettersi in relazione, ognuno con la propria sensibilità.
Lei lavora da anni con il corpo, la sua ricerca è passata anche da Abbondanza Bertoni. Che strumento è il corpo?
Uno strumento di conoscenza, uno spazio misterioso: è una intelligenza e come tale va ascoltata e seguita. È poi uno strumento che si è costruito in un bagaglio di esperienze di palcoscenico.
Il lavoro si aggiorna e cresce con le repliche?
Lavoro che non è mai realmente finito, lo spettacolo è questo e si mantiene in questa linea ma crescerà con l’andare del tempo.
SIMONE AZZONI
9 dicembre, ore 19 e ore 21 – Verona, Piccolo Teatro di Giulietta, Piazza Francesco Viviani, 10 – info: https://www.teatronuovoverona.it/event/iphigenia-in-tauride-lenz-fondazione/