Arte e narrazione. In mezzo, la vita. Brevi note su Ritratti di John Berger

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John Berger

 

«Non ho mai sopportato di essere definito un critico d’arte. È vero che per un decennio o più ho scritto regolarmente di artisti, mostre, esposizioni nei musei su giornali e riviste, dunque il termine è giustificato. Ma, nell’ambiente in cui sono cresciuto fin da adolescente, dare del critico d’arte a qualcuno equivaleva a un insulto. Il critico d’arte era un tizio che sparava giudizi e pontificava su cose di cui sapeva poco o nulla. Non era spregevole come un mercante d’arte, ma era un rompicoglioni»: inizia così il poderoso volume edito da Il Saggiatore in cui sono raccolti ottantotto ritratti scritti dal giornalista, pittore, critico e scrittore John Berger nell’arco di una vita (64 anni, per l’esattezza, dal 1952 al 2016, l’anno prima della morte dell’autore), a coprire un arco temporale smisurato, dalle pitture rupestri di Chauvet, che datano circa 30.000 anni prima di Cristo, per arrivare all’artista siriana Randa Mdah, classe 1983, che di Berger avrebbe potuto esser la nipote, in merito al cui lavoro l’autore scrive «In vita mia non ho mai visto disegni come quelli che sto osservando. Quel che li rende senza precedenti è – almeno per me – l’esperienza di vita di cui sono impregnati. Non la descrivono e non la illustrano, ne sono semplicemente colmi».

Una medesima attitudine, un analogo vivissimo incanto, informa di sé ciascuno dei ritratti presenti nel volume, che si ragioni dell’ineloquenza di Piero della Francesca o del progressivo incalzare del mondo in quattro Madonne dipinte da Giovanni Bellini nel corso di altrettanti decenni, della propensione maieutica di Mantegna o dell’ossessione fallica di Michelangelo, dell’amore di Brecht per Brueghel il Vecchio o della forzata coesistenza delle figure nelle tele di Caravaggio, della prossimità con la danza nell’arte di Picasso o del postulato di Alberto Giacometti in base al quale la realtà non è condivisibile, dell’attesa nei dipinti di Rothko o della meticolosità di Pollock, dell’aria fritta che occorre attraversare per conoscere Jean-Michel Basquiat o di tanto, tanto altro.

 

 

Una sublime capacità di scrittura, che non sta certo a noi dover certificare, dona a queste pagine la vivezza e la vivacità che certo risiedeva, in primis, negli occhi dell’autore, qui poeta nel senso etimologico di (ri)creatore di biografie e mondi.

Un esempio fra i molti possibili riguarda il primo dei tre testi dedicati a Francis Bacon, scritto nel 1952 (all’età di soli 26 anni!), con una capacità di analisi e una precisione da far impallidire la stragrande maggioranza degli odierni soloni, e che per quanto riguarda la nostra pur parziale esperienza ci ha fatto intuire aspetti del lavoro dell’inquieto irlandese quanto -se non più- del pur fondamentale volume che Gilles Deleuze gli ha dedicato (per chi fosse curioso: Gilles Deleuze, Francis Bacon. Logica della sensazione, 1995). La chiusa di questo scritto giovanile di Berger vale -a mo’ di sineddoche- riportare con una certa ampiezza: «Avverto che il papa urla non per lo stato della sua coscienza o per lo stato del mondo ma, come una marionetta, semplicemente perché è stato messo nella teca di vetro di Bacon. Se è vero, questo spiega un’altra volta il potere ipnotico dei dipinti. Lo spettatore guarda come al Grand Guignol, affascinato perché, in un certo senso, messo a suo agio – l’orrore è stimolante perché è remoto, perché riguarda una vita distante dal mondo normale. Se i dipinti di Bacon cominciassero a occuparsi di una vera tragedia del nostro tempo, strillerebbero meno, sarebbero meno gelosi del proprio orrore, e non ci ipnotizzerebbero in nessun caso, perché noi, con la coscienza rimescolata, saremmo troppo coinvolti per permetterci quel lusso».

 

Francis Bacon, Testa VI, Papa Innocenzo X, 1949

 

Molto a lungo si potrebbe continuare a dar conto dell’incessante propensione all’attivazione estetica (dunque, etimologicamente, esperienziale e conoscitiva) del lettore, ma per ora par sufficiente tornare, in chiusura, all’avvertimento dell’autore relativo alle molte immagini che accompagnano il volume: «Le illustrazioni di questo libro sono tutte in bianco e nero. La ragione di questa scelta è che, nel consumistico mondo odierno, le riproduzioni patinate a colori tendono a ridurre ciò che mostrano ad articoli di una lussuosa brochure per milionari. Mentre le riproduzioni in bianco e nero sono semplici promemoria».

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Quelli che mi lasciano proprio senza fiato sono i libri che quando li hai finiti di leggere e tutto quel che segue vorresti che l’autore fosse tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira.

J.D Salinger, Il giovane Holden

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Dire grazie, almeno.

 

MICHELE PASCARELLA

 

John Berger, Ritratti, Il Saggiatore, Milano, 2018, pp. 645, € 45