“Io sono Michel Petrucciani” al Jazz Days 2020 di Bertinoro

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Un gran bel libro per un personaggio straordinario. Io sono Michel Petrucciani , biografia in forma di ‘graphic novel’ pubblicata sul finire del 2019 da Curci (proprio l’editore milanese musicale dal 1860!), è stata tra i protagonisti di “JAZZ DAYS- ArtusiJazz 2020 inverno” il 5 gennaio, con una presentazione molto partecipata a Bertinoro. Esattamente il giorno dopo, vent’anni fa, ci lasciava uno dei più carismatici e virtuosi pianisti della scena jazzistica internazionale. Opportuna quindi la scelta di ‘Dai de jazz’, Associazione culturale di Forlimpopoli che da un decennio organizza incontri e spettacoli tra cui, appunto, questo.

Vanni Masala, giornalista bolognese con origini sarde autore del libro e Marilena Pasini, illustratrice romana, hanno condiviso la passione e l’ammirazione per il musicista francese realizzando un volume commovente non solo per la storia e la dimensione artistica del protagonista. In veste editoriale assai curata, sono 132 pagine dense di rispettoso affetto in cui si sono perfettamente riconosciuti i due figli, presenti all’anteprima al “Bologna Jazz Festival” il 24 novembre scorso.
Qui, nell’Enoteca Colonna-Panorama, oltre a Masala, c’era il pianista Giovanni Guidi, entrambi sollecitati dall’esperto e fautore di ottimi eventi jazz Giovanni Serrazanetti. Quest’ultimo ha esordito citando, dal libro, un pensiero di Wayne Shorter, che tanto ha suonato il sax con Petrucciani: Non l’ho mai sentito lamentarsi… neanche un attimo di sconforto benché nelle sue condizioni

Chi ha avuto l’occasione di assistere ai suoi concerti o di vederlo, infatti, non dimentica di sicuro una corporeità particolarissima: Il pianista -ha ricordato Serrazanetti- era affetto da ‘osteogenesi imperfetta’, rara malattia  che comporta l’estrema fragilità delle ossa. Quando è morto, dopo 36 anni di vita non certo facile, era alto un metro e quasi 5 centimetri, con spina dorsale -come diceva lui stesso- ‘a cobra’. Aveva tutto il corpo deformato tranne braccia e mani, che usava sulla tastiera da straordinario improvvisatore.

Perché fare questo libro?

Perché è un atto d’amore verso il protagonista – ha spiegato Masala– e per questo, con Pasini, abbiamo affrontato un’avventura complessa. I limiti fisici di Petrucciani non facilitavano la narrazione: troppo forte il rischio di cadere nel grottesco. Eppure, quando saliva sul palco, al di là dello stupore immediato, dopo poco ci si dimenticava – eccome!!!(N.d.R.)- del suo aspetto.

La figura dell’artista – ancora l’autore – finora non era stata molto approfondita, limitandosi a stringate note di cronaca. So che però, grazie alla famiglia, è in progetto un documentario con materiale originale. Una biografia nella formula del libro illustrato, intanto, si è rivelata efficace dal punto di vista mediatico perché può arrivare anche ai non appassionati, lettori d’età e tipologia diverse. Direi riuscita pure la scelta di realizzare tavole con tecniche diverse per meglio interpretare emotivamente i vari momenti.

Serrazanetti quindi coinvolge il pianista Giovanni Guidi, chiedendo quale possa esser stata l’influenza del protagonista sulla storia del jazz:

Ho avuto la fortuna di conoscerlo dato che mio padre era un suo manager. Ricordo il tempo che dava per l’accettazione della sua figura: dal primo impatto poi si passava all’adorazione. Lui era una calamita di energia! Tornando all’influsso artistico, in realtà non fu così marcato perché in quel periodo storico non c’erano rinnovamenti, forte ancora l’eco post-Keith Jarrett.

Anch’io sono rimasto travolto dalla sua carica – l’intervento di Masala– ascoltandolo più volte. Musicalmente aveva un paio di caratteristiche: un gran gusto per la melodia, con cui riusciva a catturare anche i non esperti, forse grazie al quarto di italianità che Petrucciani aveva. L’altra peculiarità sta nel fatto che fosse nato come batterista, passione non coltivabile ma che riusciva a trasfondere nel suo pianismo, davvero brioso

…e trascinante – torna Guidi– com’era la sua grandissima gioia per la vita e l’autorevolezza sui tasti. Questo chi l’ascoltava lo percepiva subito e bene. L’handicap delle ‘ossa di cristallo’ era vissuto con autoironia; quando ci sono molti limiti ‘tu sei l’arte che fai’ cioè l’aspetto espressivo ed umano sono strettissimi.

Una volta, dopo diversi tentativi in cui cambiava discorso – riprende Masala– riuscii a farlo parlare della sua condizione <Non voglio morire su un palcoscenico – disse- né piangermi addosso. La mia vita è il pianoforte> Reagiva lavorando tanto, non facendosi mai mancare la voglia di imparare fin da quando, 13enne, aveva stupito ai primi ascolti. Poi continuando ad avere successo ma non, come qualcuno ha pensato, per la sua malattia. Che certo lo rendeva fragile, ma non tutte le persone così provate diventano artisti: era lui ad essere un grande, era bravo e basta. Molto sensuale, piacevole e con una personalità magnetica, ha avuto diverse donne. Lo si è associato a Touluse-Lautrec mentre secondo me, e lo dico un po’ stuzzicando, più che jazz Petrucciani era pop. Come Ray Charles insomma, anche se apprezzatissimo perfino dal mondo classico. Lorin Maazel e Riccardo Muti, per dire, lo hanno molto stimato, e suo fidato accordatore era il pescarese Fabbrini, quello di Jarrett come di Arturo Benedetti Michelangeli.

In un tempo davvero ridotto compose oltre 200 brani, ed alla fine dirà <La mia vita non è stata breve. Ho solo vissuto più velocemente degli altri>.

Insomma, davvero grazie, Michel.

Monica Andreucci

Un’altra presentazione del libro sarà il 10 aprile ad Imola nell’ambito di “Crossroads 2020”