“L’occhio del lupo” di Daniel Pennac

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L’articolo è tratto dal nostro repertorio di numeri cartacei

Chiudere un occhio

Gli occhi. Negli occhi c’è già tutto. Nei suoi occhi c’è la vita, c’è l’amore… ma c’è anche la morte, l’odio, il dolore. Negli occhi c’è tutta la vita, negli occhi si può vedere la storia dell’altro. Bisogna saperli osservare, bisogna saperci guardare. Non basta strabuzzare i propri in piennellesca maniera da venditore di spazzole. Non ci si può accontentare di un’occhiata fugace. Bisogna saper leggere, anche gli occhi. E ci vuole il suo tempo per capire cosa ci stanno raccontando. Non parlo di quei fenomeni da baraccone che para clinicamente guardando gli occhi di una persona sanno dirle se la sera prima ha fatto sesso (questa la buttano sempre là, soprattutto se hanno di fronte una donna) o se la mattina ha fatto la cacca.

Cacca, una parola che fa sempre ridere i bambini.

Quel demonio del Pennacchioni (Daniel Pennac) mi frega quasi sempre. Anche quando scrive un libro per bambini, L’occhio del lupo. Bisogna saper leggere, non accontentarsi di una lettura superficiale, non è un libro per bambini, dice parecchio anche ai cosiddetti adulti. È un racconto che parla dell’amicizia, di amici perduti, di amici ritrovati e di nuovi amici. Racconta il rapporto che nasce tra un bambino e un lupo.

Il lupo è ferito, ha un occhio chiuso, è un lupo vero non una di quelle persone che si comportano con le altre persone come lo stereotipo del lupo. Il lupo è in una gabbia, dell’uomo ormai non si fida, non si fida di chi lo ha ferito, di chi lo usa come spauracchio senza conoscerlo, senza conoscere la sua storia. E non lascia leggere la sua storia a nessuno.

Il bambino è ferito dentro, fuori non si vede, e con la semplicità di un bambino osserva il lupo, sta lì fermo e cerca il suo sguardo, perché vuole leggere, vuole conoscere la storia del lupo. È un bambino che racconta storie, storie meravigliose, che incantano. Sa che è importante la storia dell’altro, e sa dove leggerla, proprio negli occhi.

Come fa il lupo a fidarsi dell’uomo che si dimostra meno umano delle bestie? Di chi usa, sbrana e lascia morenti i propri simili per ricavarne un profitto?

È qui la chiave di svolta, di lettura, il bambino sa che per poter leggere l’occhio del lupo deve fare un passo indietro, deve rinunciare a qualcosa perché l’occhio del lupo possa raccontare. E chiude un occhio.

Chiudere un occhio, fingere di non notare qualcosa per convenienza. Un modo di dire che è un modo di fare. Costume che probabilmente ha rovinato anche il nostro Paese. Pennac ne ribalta il significato, non è volgere lo sguardo altrove ma è rinunciare a qualcosa di prezioso per mettersi nei panni dell’altro, spalancando una possibilità di relazione che va oltre l’umano e il bestiale. Un passo indietro rispetto al proprio orgoglio, un passo in avanti verso l’amicizia. È il momento in cui un adulto finalmente capisce che per relazionarsi ad un bambino deve sedersi per terra, i suoi occhi ad altezza dei suoi occhi, e non guardarlo e parlargli dall’alto in basso.

Ed è così che l’occhio ferito si riapre alla conoscenza, di sé e dell’altro. È così che l’occhio dell’adulto può tornare bambino. È così che si raccontano le storie.