Coronaworking

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PROLOGO

L’Italia entra in piena emergenza sanitaria. Il Governo autorizza tutte le aziende al telelavoro ma quelle tradizionali come la mia non sono attrezzate a dovere, escluso per chi è spesso in trasferta. Risultato, i primi arrivati si accaparrano i pochi portatili rimasti, gli altri si devono arrangiare alla bell’e meglio. Ingenuamente penso di poter risolvere collegandomi da un portatile personale e il giorno dopo lo porto in azienda per farlo configurare. Scopro però che serve un programma speciale, non basta il classico pacchetto che normalmente si installa sul computer di casa. Comincia così la mia lunga odissea.

Trascorro il giovedì lavorando normalmente e sentendomi anche un po’ pirla. Comincio a pensare che ci sia un complotto per tenermi in azienda e decido di prendere un giorno di ferie per riavermi dallo stress che questa situazione mi causa. Dal venerdì alla domenica assaporo la quarantena vera e allora via a lavare per terra, sbattere tappeti e riordinare armadietti e dispense. Potrei fare il pane penso potrei cominciare Guerra e Pace. Quando ancora si poteva uscire, il moroso che vive con me ha preventivamente comprato la Playstation per sopravvivere all’emergenza, dice lui. Mi faccio coinvolgere in qualche gara di go-kart e in men che non si dica è subito sabato sera. Un breve aperitivo con gli amici in videochiamata, ognuno con il suo bicchiere, noi che per connetterci al WiFi del piano di sopra dobbiamo andare in bagno. Poco male, cerco almeno di non inquadrare il gabinetto. Cuciniamo, ceniamo e cominciamo una lunghissima serie Netflix, ben quattro stagioni che di sicuro avremo il tempo di vedere prima che termini la quarantena. Ci addormentiamo entrambi a metà della seconda puntata. Il pane, ovviamente, non l’ho fatto. Anche la domenica se ne va piuttosto in fretta tra una cosa e l’altra, mi concedo pure l’ora d’aria sul terrazzo come qualsiasi carcerato che si rispetti. Scopro troppo tardi la diretta della lezione di yoga, quella di Pilates, quella di un amico dj. Sto per farmi di nuovo prendere dall’ansia…ma non si era detto di rilassarsi un po’? Vuoi vedere che questo #iorestoacasa si rivelerà più stressante del previsto?

GIORNO UNO

In un batter d’occhio è già lunedì mattina e mi rendo conto che non avrò tutto questo tempo libero. Pazienza. Esco di casa e sembra domenica, in giro ci sono pochissime persone. Se incontri qualcuno che cammina verso di te, uno dei due spontaneamente attraversa la strada per camminare sull’altro marciapiede. Salgo in macchina, entro in autostrada. Qualcuno c’è ma sembra un giorno lavorativo in agosto, non in marzo. Forse a causa del traffico ridotto, scopro cose che prima non avevo notato, mi sembra di vedere addirittura una specie di foresta tra i campi di peschi. Forse è solo la suggestione. Di questo passo mi apparirà anche la Madonna. Tra una traveggola e l’altra, arrivo all’uscita di Castel San Pietro Terme, una volta ridente cittadina ma ora zona in bilico tra un focolaio e l’altro. L’adrenalina sale. Ci saranno i carabinieri? I carrarmati? I sanitari che mi misureranno la febbre con il termometro a distanza? Niente. Sono un po’ delusa. Non incontro anima viva e svolto verso la zona industriale.

Arrivo in azienda dove apparentemente nulla è cambiato. Macchine parcheggiate, magazzinieri che caricano, un camion di materia prima che attende il suo turno per scaricare. Tutti a debita distanza e con indosso mascherina e guanti. Ora anche l’ingresso principale è regolato da badge, per evitare contaminazioni tra i reparti. Me l’avevano detto ma mi viene in mente solo dopo aver tirato la maniglia come una dannata per un minuto. Un collega della produzione tenta di avvicinarsi per salutare ma viene allontanato in malo modo. Se una cosa è certa è che questo coronavirus ha ripristinato le classi sociali: nessun contatto tra operai e impiegati fino a nuovo ordine. Entro. Silenzio. La mensa è chiusa, le porte tagliafuoco sono aperte per evitare di contagiarsi toccando tutti le stesse maniglie. Speriamo che non scoppi un incendio, altrimenti siamo spacciati. I miei colleghi sono stati confinati uno per ufficio. Lavorano con i guanti monouso e hanno l’obbligo di sanificare tutto, dalla tastiera al telefono, alla fine della giornata. Alternano la loro presenza sfruttando i giorni di ferie accumulati l’anno precedente. Io invece sono stata inserita nel gruppo del telelavoro. Mi sento una privilegiata. Alla domanda ma come faccio a lavorare da casa dato che non riesco a collegarmi dal mio PC personale e non ci sono più portatili aziendali disponibili mi viene però risposto arrangiati. Molto bene. Decido di copiare l’idea delle colleghe lombarde e faccio scattare l’operazione recupero del PC fisso aziendale.

Chiamo il responsabile informatico ma scopro che non è venuto al lavoro. La città di Medicina dove abita è appena diventata la zona rossa della zona rossa. Nessuno esce e nessuno entra. Passa il responsabile di stabilimento. Siccome sono in azienda, come da nuove disposizioni mi deve misurare la temperatura con il termometro a distanza. Sono un po’ emozionata, mentre lui legge il risultato mi batte il cuore. E se ho la febbre che fanno? Mi mandano semplicemente a casa oppure mi arrestano e mi consegnano agli operatori sanitari vestiti con le tute protettive da palombaro che mi sbatteranno in isolamento dentro una stanza di ospedale e getteranno la chiave? Per fortuna ho solo 36,6. Perfetto mi dice il responsabile sorridendo. Viene dalla provincia di Bergamo e solitamente vive in azienda dal lunedì al venerdì in un appartamento all’interno dello stabilimento dove prima alloggiava il custode. Bergamo, dove, ha detto ieri il TG, le pagine dei necrologi giornalieri sono passate da una a dieci. Dieci pagine di morti. Non ho il coraggio di chiedergli se tra loro c’è qualcuno che conosceva. Ormai non rientra a casa da almeno tre settimane e si è caricato sulle spalle la gestione dello stabilimento in questo periodo tanto delicato. Oggi, oltre al responsabile informatico, mancano all’appello l’addetto alla manutenzione, una collega del reparto commerciale e quattro capiturno, tutti bloccati in zona rossa. Ma lui non molla. Ha recuperato delle vecchie taniche da alcuni contadini dei dintorni e ci ha fatto dei mezzi di sanificazione di fortuna. Si vede che è provato ma va avanti, mi sembra solo un po’ più ossuto del solito e, considerato che parliamo di una persona che nel proprio tempo libero fa il maratoneta, comincia ad essere letteralmente magro come un bacchetto come si dice in Romagna.

Ma torniamo a noi. Il mio primo privilegio in quanto smart worker è accucciarmi sotto la scrivania per staccare cavi e prese che stanno lì dal Medioevo. Faccio molti incontri durante questa operazione: svariati gatti di polvere, uno scarafaggio morto, un pezzo di merendina che ancora un po’ prende vita propria. Forse non prenderò il coronavirus ma sto rischiando il tetano. Mi sento davvero molto fortunata. In un modo o nell’altro, porto a termine l’operazione. Devo assolutamente fare il telelavoro altrimenti, al di là dei rischi evitati, come farò a scrivere post su Facebook con l’hashtag #iorestoacasa? Diventerei una reietta, sarei esclusa dalla società. In questo periodo, se non fai il telelavoro non sei nessuno e io ci riuscirò. Fotografo la disposizione dei cavi prima di staccarli per ricordarmela a casa. Carico tutto in macchina: la torretta per terra adagiata su uno dei tappetini, la tastiera sul sedile. Il monitor è piuttosto imponente e costoso. Lo appoggio su uno dei sedili posteriori e gli metto pure la cintura di sicurezza. Non si sa mai.

Giungo a casa, ormai si sono fatte le 11.30. Decido che mi merito una pausa caffè sul terrazzo, per assaporare uno dei privilegi di questa mia nuova condizione lavorativa. Preparo la postazione su una scrivania in noce nello studio. Collego tutto. Il PC si accende. Perfetto. La postazione è davvero elegante e funzionale, peccato che non funzioni nulla. Ho collegato il cavo di rete al modem ma non c’è connessione. Scopro che i tecnici non saranno disponibili per aiutarmi fino a domani mattina perché hanno già troppe chiamate. Ottimo. Continuo a lavorare su documenti offline e tramite Smartphone per il resto della giornata, cercando di non farmi prendere dallo sconforto.

GIORNO DUE

Scopro altri privilegi di questa nuova situazione. Ho a disposizione un’ora di sonno in più e posso evitare di fare 30 km all’andata e 30 km al ritorno tutti i giorni per andare in ufficio. Mi basterà fare dieci passi. Vado in cucina a preparare la colazione passando dal soggiorno e scopro uno dei lati negativi più significativi di questa esperienza. A quest’ora di solito sono già in macchina e il sole ancora non è spuntato da dietro la casa di fronte. Alle 8.00 invece riempie il soggiorno in tutto il suo splendore. È una bellissima luce, un momento fantastico che di solito mi sfugge e che apprezzo davvero…finché guardo la parete. Quando invece rivolgo lo sguardo al giardino mi accorgo della sporcizia che si è accumulata durante l’inverno sul vetro della porta finestra e capisco a malincuore che per pulirlo dovrò aspettare il sabato, come in qualsiasi altra settimana lavorativa. Sospiro. Sento un rumore sinistro e scopro ormai di convivere con un orso che russa come se non ci fosse un domani. Credo si sia ormai trasferito definitivamente sul divano in compagnia della sua nuova fidanzata: la Playstation. Sul tavolino si accumulano bicchieri e piatti. L’azienda per la quale lavora per il momento l’ha messo in ferie, poi si vedrà. Già intuisco che la quarantena metterà a dura prova la nostra convivenza. Decido di rimandare la ramanzina alla pausa pranzo. Mi preparo la colazione e aggiungo eccezionalmente un bel caffè lungo all’americana da versare nella mia tazza preferita che appoggerò sulla mia nuova scrivania. Un caffè che sembra acqua sporca e che sorseggerò appena perché mi fa schifo, ma che mi farà sentire molto smart.

Ore 8.30, accendo il PC che sono finalmente riuscita a collegare a Internet. Accedere al server aziendale invece è un’operazione un po’ più complessa. Il responsabile informatico ha inviato a tutti una e-mail con una dettagliata quanto incomprensibile spiegazione su come collegarsi da casa. Provo e naturalmente non funziona. Sospiro di nuovo. Decido di lasciar perdere la ramanzina casalinga almeno per oggi e di concentrare tutta la mia pazienza sul lavoro. Passo un’ora tra chiamate e collegamenti per tentare di risolvere il problema in remoto ma con scarsi risultati. Si rimanda a domani. Continuo a lavorare su programmi ai quali posso accedere via Internet. Ore 10.30 pausa caffè sul terrazzo, ore 12.30 pranzo. Ormai sto entrando in una nuova routine. Alle 13.30 si ricomincia. Passo il pomeriggio a organizzare la newsletter di questo mese. Ridimensiono le foto che per fortuna avevo salvato su una chiavetta, preparo i testi li traduco in inglese. Ricevo aggiornamenti sulle prossime fiere in programma, che sono quasi tutte rimandate. Bene o male, arrivano le 17.30 anche oggi.

Per la cena, decidiamo per una botta di mondanità e la ordiniamo al telefono in uno dei pochi ristoranti che hanno deciso di rimanere aperti offrendo l’unico servizio possibile in questo momento. Puliamo casa e apparecchiamo la tavola come se dovessimo ospitare la Regina d’Inghilterra. Che, scopriamo nel frattempo, è anche lei in isolamento ma nel castello di Windsor. Noblesse oblige. Mentre attendiamo mi assalgono mille dubbi: il servizio sarà sicuro? Il virus può esser trasmesso tramite il cibo? Decido di fidarmi e di non entrare in paranoia, se hanno deciso di farlo sarà di sicuro nella massima sicurezza. Alle ore 20 arriva il fattorino con mascherina e guanti e lascia tutto a distanza per evitare il contatto. Il pagamento ovviamente è tramite App e l’ho già effettuato nel pomeriggio, così tutto si risolve nel giro di pochi secondi. Mangiamo di gusto, questa parvenza di normalità ci tira un po’ su di morale.

GIORNO TRE

Sveglia, colazione. L’orso che russa, il vetro da lavare. Il caffè all’americana oggi non lo faccio, meglio una classica tisana italiana. Un po’ di patriottismo in questi tempi difficili, per la miseria. Alle 8.30 sono di nuovo pronta. Riusciamo a risolvere i problemi di collegamento e adesso sono pienamente operativa. Alle 11 mi aspetta una videoconferenza con il mio capo e le colleghe. Vado in bagno a truccarmi e a cambiarmi. Almeno il sopra, per il sotto invece decido di continuare a indossare i pantaloni del pigiama e le ciabatte. Alle 10.50 mi arriva un messaggio, qualcuno ha problemi di collegamento e la riunione è rimandata. Pazienza. Il resto della mattina passa abbastanza in fretta, il tempo per il pranzo non è molto, per fortuna l’orso prepara da mangiare seguendo le mie indicazioni specifiche: tutto pronto alle 12.30 perché alle 13.30 mi devo riconnettere. Prima di sedermi a tavola, siccome per oggi sono già truccata e vestita a metà, decido di approfittarne per uscire un momento a buttare la spazzatura, il momento più mondano della giornata. Indosso pantaloni, scarpe e giubbotto, tutti indumenti che non metto da un po’ e scendo, con la mia bella autocertificazione in tasca. Per strada non c’è quasi nessuno e si respira un’aria così pulita che sembra di stare in montagna. Davanti a me ho una persona che sta facendo la stessa operazione e attendo il mio turno a debita distanza. Ormai tocca fare la fila anche davanti al cassonetto. Il caffè del dopo pranzo lo prendiamo con i vicini, nel senso che ognuno lo beve affacciato alla propria finestra sul giardino comune mentre scambiamo due chiacchiere. Il pomeriggio passa un po’ meno in fretta del mattino e mi accorgo delle tante tentazioni che ci sono quando si lavora da casa. Dovrei proprio riordinare la libreria. Abbiamo riempito la lavastoviglie ieri sera? Quando hanno detto che esce la terza stagione di La Casa di Carta? Il vetro del soggiorno…e via così. Concentrarsi non è semplice ma faccio del mio meglio. Alle 17 arriva una e-mail che avvisa dell’arrivo di una circolare per tutti gli smart workers. Due pagine di indicazioni su modalità contrattuali, orari e regole da rispettare. Il messaggio si conclude con la frase Confidiamo in una gestione seria e responsabile visto il periodo di emergenza in cui operiamo. Sulle prime mi offendo un po’. Non abbiamo cinque anni, saremo capaci di gestire il lavoro da casa, no? Poi però capisco: siamo in Italia e se fino a poco tempo fa c’erano i furbetti del cartellino, figuriamoci se non ci sono quelli del telelavoro. Dopo poco arriva un’altra e-mail che dice che tutte le persone in lavoro agile devono prendere un giorno di ferie a settimana. Sono quasi emozionata. Un giorno di ferie. Devo solo decidere se trascorrerlo in terrazzo, in cucina o in soggiorno. Ci penserò su.

Questa sera niente cena a domicilio ma, visto il fiorire di tanti registi improvvisati, vogliamo anche noi lanciarci nella creazione di qualche video casalingo. L’orso ha un’idea brillante, ovvero sfruttare i soldatini dello Schiaccianoci comprati per Natale che sono arrivati dalla Cina a metà gennaio e hanno trascorso la loro quarantena su un mobile del soggiorno. Li disponiamo sul tavolo e organizziamo un canto a cappella che riprendiamo e pubblichiamo su Facebook. Il video riscuote un certo successo e decidiamo di realizzarne altri. Lo facciamo soprattutto per tenere alto il morale perché, come consigliato da un articolo autorevole, se si trova una forte motivazione, uno scopo ben definito, sarà più facile trascorrere serenamente questo periodo. In un modo o nell’altro, facciamo sera anche oggi.

GIORNO QUATTRO

Sveglia, colazione. L’orso che russa, il vetro da lavare. Il caffè all’americana l’ho definitivamente lasciato perdere, inutile prendersi in giro. Oggi sono finalmente operativa al 100% fin dall’inizio della mattina e posso lavorare come se fossi in ufficio. O meglio, quasi. I colleghi un po’ mi mancano e sperimento il senso di solitudine che il telelavoro può causare. Certo, riesco a fare quasi le stesse cose ma mi sento scollegata dagli altri, un po’ ai margini. Capisco l’importanza di mantenere una routine. In azienda mi occupo di comunicazione e in questo periodo il mio lavoro mi sembra un po’ inutile. Chi avrà voglia di sapere del nuovo reparto di produzione che abbiamo appena completato nella sede aziendale in South Carolina? O della sponsorizzazione della corsa con i cani da slitta in Alaska? Forse saranno pochi quelli che abbandoneranno anche solo per cinque minuti le notizie sul coronavirus per leggerle ma per quei pochi ci dobbiamo essere. Non per far finta di niente e andare avanti come se nulla fosse, ma perché dobbiamo attaccarci a un certo livello di normalità per non perdere il senno e pensare solo alla crisi economica e sociale che questa emergenza sanitaria trascinerà con sé.

Le mie giornate in telelavoro o lavoro agile o smart working sono ormai scandite con una certa regolarità ed è un bene, quantomeno per mantenere il più possibile inalterata la mia sanità mentale. Domani sono in ferie, chissà cosa farò. Forse, laverò il benedetto vetro del soggiorno.