Natura e cultura: Alberi Maestri al Festival Il Giardino delle Esperidi 2020

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Alberi Maestri - ph Alvise Crovato

 

Riassunto: la casa di Campsirago Residenza è il quattrocentesco Palazzo Gambassi di Campsirago, antico borgo tra i boschi del Monte di Brianza, in provincia di Lecco. Fanno parte di Campsirago Residenza le compagnie Scarlattine Teatro, Pleiadi, Riserva Canini e Stradevarie. Da sedici anni Campsirago Residenza organizza il Festival Il Giardino delle Esperidi.

Fine del riassunto.

Sorprese: nei primi due giorni dell’edizione 2020 l’esperienza teatrale di gran lunga più memorabile è stata un fuori programma, Alberi Maestri, a cura della Compagnia Pleiadi: in calendario a partire dal terzo giorno di Festival, il Direttore Artistico e regista Michele Losi ha, insieme ai suoi collaboratori, organizzato una “replica” extra, per gli ospiti impossibilitati a fermarsi ulteriormente.

Compagnia, regista, replica: lessico teatrale che pare inappropriato, per questa esperienza di cammino in mezzo al bosco.

O forse no: teatro, nell’etimo, è «luogo dello sguardo, luogo della visione». L’esperienza che esso produce è, dunque, di disvelamento e attenzione.

Alberi Maestri è commovente sia in senso comune che letterale (ci si muove assieme), Losi ad aprire la fila e dare avvio, in punti precisi, alle diverse tracce che noi spettatori camminanti sentiamo in cuffia.

Data l’eccezionalità della replica (di nuovo) a cui abbiamo partecipato, le performer che nella versione canonica avremmo incontrato lungo il sentiero sono assenti, a causa di altri impegni pregressi: così ci viene detto in apertura, così verifichiamo nelle immagini di repertorio.

Meglio, pensiamo: è sempre decisamente rischioso e potenzialmente fuorviante, aumentare una realtà in sé pienamente bastante, qual è quella naturale, con azioni e corpi che (si) aggiungono, decorano o meglio (peggio) danno una direzione, un sentimento, un colore a qualcosa che già di sentimenti e colori è costituita. O, più esattamente: a qualcosa che è e basta.

Un’occasionale assenza, involontaria azione scultorea, in levare, ha lasciato al dato estetico, dunque etimologicamente conoscitivo, la piena preminenza: come non pensare a molte proposte delle Avanguardie degli ultimi cento anni, dalle Tavole tattili di Marinetti fatte passare tra il pubblico allibito durante le furiose serate futuriste ai buchi attraverso cui guardare il cielo nelle cartoline distribuite da Yoko Ono, dalle distese di copertoni davanti ai musei di Allan Kaprow che obbligavano l’attenzione a ogni passo al Socle du monde pensato da Piero Manzoni nel ’61 in omaggio a Galileo, sorta di base magica -per citare un’altra celebre sua opera- che posizionata a testa in giù in un prato invitava a una letterale rivoluzione dello sguardo, a un salutare ribaltamento/rinnovamento della percezione?

Su almeno tre livelli di percezione agisce, con asciutta precisione, Alberi Maestri: cognitivo, emotivo e sensoriale, attraverso un dire che spiega, evoca, incoraggia.

Parole, composte da Michele Losi e Sofia Bolognini, che fanno da contrappunto a sacrosanti spazi di silenzio – anche se il silenzio non esiste, ci ricorda Cage: è solo un’occasione di diverso, più acuto percepire.

 

Alberi Maestri – ph Luisa Mizzoni

 

Questa festa di sensi e di senso è orchestrata con gentile rigore da Michele Losi, che in locandina si accredita in primis la “composizione nello spazio” di un theatrum mundi maestoso in quanto del tutto fragile, monumentale proprio perché sommamente delicato.

Alberi Maestri crea esperienza di/in un luogo non letto come mero sfondo, a mo’ di scenografia rinascimentale, ma all’opposto «drammaturgicamente attivo», come si diceva alcuni decenni fa: elemento costitutivo della creazione tanto quanto il testo, la musica, gli attori (come ci hanno mostrato Appia, Copeau, Craig e non solo, stando ancora dentro ai teatri, e come prima di loro han fatto i mille anonimi artisti vaganti del teatro fuori dai teatri, nei lunghi secoli della damnatio memoriae medievale).

In questa genealogia si inscrive, tanto umilmente quanto nettamente, Alberi Maestri, facendo ciò che un’opera deve fare: spostare in avanti il discorso dell’arte.

Il movimento concepito da Michele Losi e dai suoi collaboratori, par forse opportuno ribadirlo, è nei termini della diminuzione e al contempo dell’allargamento di sé, di un pensiero che fa dell’artista colui (colei) che dà avvio a un’azione che il pubblico deve compiere, affinché l’opera esista: come la cabina per fotografie fatta installare da Franco Vaccari alla Biennale del ’72, ricordate?

Opera aperta, direbbe Umberto Eco.

Spalancata, diremmo qui: «Qualcuno ha passato un’eternità piantando alberi: ora in una collina che prima era deserta è nato un bosco» ci viene sussurrato in cuffia al termine della camminata, tutti in riga a guardare l’orizzonte «la storia finisce e ricomincia in questo esatto momento, quello in cui perdo di vista i confini del mio corpo, mi sfilo gli occhi di dosso e inizio a vedere, mi sfilo le cuffie, e inizio a sentire».

Chapeau.

 

MICHELE PASCARELLA

 

Info: https://www.ilgiardinodelleesperidifestival.it/, https://www.campsiragoresidenza.it/