Codice Bologna, un nuovo film a 40 anni dalla strage

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Quel vecchio orologio, oggi posizionato nell’ala ovest della Stazione Centrale di Bologna, è ancora fermo alle 10.25, l’ora in cui in quel sabato 2 agosto 1980 scoppiò la bomba che, posizionata nella sala d’aspetto di seconda classe, fece crollare la struttura sovrastante, colpì trenta metri della pensilina ed anche due vetture di un treno fermo al binario uno, causando la morte di ottantacinque persone e duecentosedici feriti.

Nel corso degli anni, i diversi ambiti artistici si sono offerti come spazi di commemorazione, di costruzione di memorie e di elaborazione del dolore. La memoria cinematografica della strage di Bologna è segnata da un silenzio di quasi vent’anni, seguito invece dal diffondersi di documentari e film di finzione che cercano di restituire un’identità alle vittime della strage e di delineare quadri di interpretazione degli eventi. A questo gruppo di produzioni si aggiunge oggi il titolo di Codice Bologna del regista Paolo Fiore Angelini, che verrà proiettato in Piazza Maggiore a Bologna proprio il 2 agosto (ore 21).

«Quando nel 1981 arriva la sentenza di Piazza Fontana che assolve tutti gli imputati, i familiari delle vittime della strage di Bologna si rendono conto che devono fare qualcosa, che, se non riescono a trovare un modo per far fronte a questa situazione, non otterranno giustizia come è successo agli altri familiari delle vittime», racconta il regista. «Infatti, fino a Bologna e quindi fino alla sentenza del 1995, le stragi in Italia non avevano avuto condanne. L’Associazione si costituì non solo quindi per fare pressioni e sollecitare l’opinione pubblica, ma anche per aiutare il collegio di parte civile e i giudici stessi, acquisendo, organizzando e gestendo le carte e le piste d’indagine. Il collegio di parte civile aveva il problema di studiare una quantità di materiale che si accumulava sempre di più, compresi i depistaggi. Paolo Bolognesi, Presidente dell’Associazione, che lavorava per le cooperative, conosceva una cooperativa di Modena che forniva dei programmi di archiviazione per i computer delle aziende, tra cui Informix, che l’Associazione adatterà e userà per gestire il materiale cartaceo per giungere al primo processo. Il programma permetteva di mettere in relazione delle notizie presenti in oltre 500 mila carte. Ci sarà sicuramente la verità in quelle 500 mila pagine, però il problema è gestirle. Ecco che allora la creazione di un archivio rudimentale gestito da una macchina permetteva di ricercare un nome o un termine all’interno delle numerose pagine. Insomma, si trattava di una mappa per muoversi all’interno dei materiali processuali».

Come è nata l’idea di girare un nuovo film sulla strage del 2 agosto ed in particolare sul Codice Bologna?

«L’idea non è mia, ma di David Moscato che è anche il produttore del film. Per questo motivo posso solo immaginare e presumere che essa sia forse nata da una conversazione con Paolo Bolognesi. Moscato ha pensato di ricavare un’idea dal racconto della nascita del Codice Bologna e successivamente del progetto di digitalizzazione e me l’ha sottoposta. Successivamente io l’ho sceneggiata e alla fine è nato il film»

In che modo e con quali materiali il film ricostruisce gli eventi dal 1980 ad oggi?

«Ci sono due racconti che vanno in parallelo. Il primo racconto è la vicenda processuale, che riporta i dati sensibili, ufficiali e noti, anche se purtroppo le persone tendono a dimenticare. Da qui, si passa a raccontare la prima sentenza, l’identità dei condannati e le motivazioni che hanno portato a condannare Fioravanti, Mambro, Ciavardini e adesso anche Cavallini e poi vedremo se ci sarà anche Bellini. In realtà, Carlo Maria Maggi in un’intercettazione telefonica riferisce che in stazione c’erano almeno 200 persone: sono in molti ad aver agito quel giorno, tra i servizi, chi ha messo fisicamente la bomba, chi aveva sotto controllo la logistica. Bisognava essere certi che tutto andasse in porto e prevedere anche il ritorno dei colpevoli a casa. È importante ripetere queste informazioni, non solo per rinfrescare la memoria ma anche per combattere l’informazione distorta: c’è chi pensa infatti che, poiché Fioravanti, Mambro e gli altri si sono sempre dichiarati innocenti, non abbiano effettivamente preso parte alla strage. Invece esistono prove certe del loro coinvolgimento. Non hanno mai dichiarato di aver fatto la strage per diverse ragioni: sarebbero stati immediatamente uccisi in carcere; erano dei soldati, quindi avevano fatto quell’azione con un principio militare che significava preservare il segreto fino alla morte e, non ultimo, avrebbero dovuto fare i nomi di molte altre persone. Per cui non l’hanno mai dichiarata, ma questo non significa che non siano stati loro. Per essere sicuro che non ci fossero dei dubbi ho raccontato come mai in questi processi queste persone vengono condannate. Il film racconta dunque tutta la vicenda processuale fino all’ultimo aggiornamento recente, quando sono stati rinviati a giudizio Paolo Bellini, due ufficiali e un uomo dei servizi segreti che si occupava delle residenze di via Gradoli a Roma dove c’è stato Moro prima e i Nar dopo».

«In parallelo, il film racconta l’importanza dell’esperienza dell’Associazione, prima con Informix e il Codice Bologna poi con la digitalizzazione, che ha permesso agli avvocati di parte civile, ai giudici e all’accusa di fare bene il loro lavoro e di arrivare alle condanne definitive. A partire dal 2008 poi, alcuni giudici, con l’aiuto dell’Associazione, decidono di riprendere in mano le carte, fatte di atti, fotografie e intercettazioni telefoniche prossime al deterioramento, e, con la scusa di farne un materiale d’archivio per gli storici e per il futuro, procedono alla loro digitalizzazione. I fogli, una volta scannerizzati, diventano gestibili grazie a un sistema ottico che ha permesso di riaprire le indagini. Questo sistema ha consentito di mettere insieme numerose carte di diversi processi legati all’estrema desta e di navigare tra oltre un milione di pagine. Il progetto di digitalizzazione termina nel 2019, ma già a partire dal 2017 viene utilizzato per riaprire le indagini».

«Questi due racconti procedono attraverso interviste, immagini di repertorio, a volte anche molto crude, come quelle legate all’immediatezza della strage. Poi abbiamo utilizzato molte pagine di testate giornalistiche che ci hanno permesso di scandire il tempo, di andare avanti e indietro, collegando tra loro i fatti. L’obiettivo è cercare di fare chiarezza. Questi giornali riportano le notizie del tempo, spiegando gli eventi e anche i depistaggi. Sono inseriti come contrappunto e, allo stesso tempo, fungono da punteggiatura del film. Poi ci sono delle immagini che abbiamo girato insieme alle interviste per dare maggiore afflato cinematografico al racconto».

Ci sono state delle difficoltà nel corso della realizzazione?

«Il film è stato accolto molto bene, in primis da Paolo Bolognesi che ha suggerito di portarlo proprio in piazza il 2 agosto. Inoltre, andrà in onda su History Channel. Abbiamo cercato dei testimoni che ci raccontassero la vicenda: alcuni non c’erano, alcuni hanno preferito non parlare, altri non se la sentivano, perché comunque anche il Covid aveva creato delle priorità nelle persone per cui alcuni hanno preferito non incontrarci, altri sono diventati un po’ anziani perciò fanno fatica e non se la sono sentita. Però poi alla fine la lista dei nomi che abbiamo intervistato si è dimostrata quella giusta per riuscire a costruire il racconto».

Perché è importante continuare a parlare dell’accaduto?

«La voce della verità è una voce eroica, perché i tentativi di metterla a tacere sono stati tanti. Questi tentativi, di diverse forme e caratteristiche, hanno dato come risultato l’ignoranza, prodotta da una disinformazione curata e ben fatta, e l’indifferenza. Nei giornali e nei quotidiani che si sono susseguiti nel tempo, le notizie sulle sentenze e sulla natura dei processi sulla strage di Bologna sono passati dalla seconda alla settima pagina. Una perdita di interesse progressivo della stampa che rende ancora più importante l’impegno civile dell’Associazione, che non è solo un dovere ma anche un diritto che la gente ha perso a causa del bombardamento mediatico. I cittadini devono essere consapevoli del proprio Paese per poter combattere per lui. Nel momento in cui il consorzio umano che costituisce la società è reso ignorante, viene abbrutito nel sapere e non partecipa più, viene allontanato dalla partecipazione sociale, ecco che allora quello che è un diritto si perde e si pensa sia solo un dovere».

Qual è il ruolo delle arti nel continuare a raccontare questi eventi ?

«Fare film su questo episodio, come su altri, è importante, ma sono come piccole gocce nel mare. L’Associazione e una parte della società civile si è veramente messa a disposizione per lavorare perché ci fosse coscienza collettiva. Chiaramente è una battaglia. L’impegno dell’Associazione, il fare dei film, l’impegno mio e di altri come me che si sono cimentati in un racconto è un modo perché la democrazia vinca. La gente deve sapere, deve essere consapevole, deve avere un’idea del Paese e deve pretendere che il Paese funzioni in un certo modo. I cittadini devono pretendere che la società sia pulita, giusta e con un grado di umanità che la qualifica. Fare dei film, che è una cosa piccola, è un contributo, una goccia che va in quel mare. Sicuramente si perde. Ma, in fondo, il mare è fatto di gocce, per cui si tratta di un’altra goccia all’insegna della democrazia, della verità, della chiarezza, della civiltà. Ogni film è diverso a modo suo e ciascuno dà il suo contributo. È importante che si facciano queste cose, è importante che ci siano delle persone che non si sono mai fermate nonostante le resistenze e che hanno continuato a impegnarsi e a dare il buon esempio. Avere coscienza civile è un diritto, non solo un dovere».