Ceramica oggi

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Giovanni Cimatti

Un artista faentino che sin dall’infanzia già aveva intuito quale fosse la sua strada. Un mondo, il suo, che per molti adolescenti di oggi è del tutto sconosciuto. Vista la particolare situazione attuale, con i musei chiusi, abbiamo voluto incontrare Giovanni Cimatti, un artista le cui opere sono esposte al MIC di Faenza e in altri musei internazionali, per discutere della sua carriera e di questo difficile momento storico, specie per l’arte faentina per eccellenza.

Cimatti è nato a Faenza il 27 aprile del 1949 e tuttora qui risiede. È un ceramista che ha insegnato negli Istituti d’Arte di Siena e al Ballardini di Faenza e ha iniziato la propria carriera artistica negli anni Settanta. Ha realizzato personali in Belgio, Giappone, Olanda, Korea e Svizzera. Ha sviluppato un nuovo metodo di cottura che ha chiamato Raku Dolce, le cui particolarità sono l’uso di lucide argille di colore arancio, la bassa temperatura di estrazione dal forno e una leggera fumigazione.

Come è nata la tua passione per la ceramica?

«Ricordo i primi giorni alla scuola elementare di via Castellani quando un mio compagno mi regalò una pallina di una cosa strana: solo poi ho capito che era argilla. La prima cosa che modellai fu un pesciolino che lasciai nell’acqua e logicamente si sciolse. Avevo più attitudine verso il disegno e il maestro suggerì ai miei genitori che l’indirizzo poteva essere l’Istituto d’Arte Ballardini: loro ne furono felici. Probabilmente perché mia madre, quando era in attesa di me, aveva lavorato nella bottega Gatti e quindi conosceva bene quel mondo. Dico sempre che se non fossi nato qui, non avrei fatto il ceramista. La ceramica a casa mia c’è sempre stata e questo profumo di argilla che circolava ha fatto sì che diventassi quello che sono oggi».

Chi sono stati i tuoi maestri e quanto sei stato influenzato artisticamente da loro?

«Ho lavorato con grandi maestri; non solo a scuola come studente, ma anche nelle loro botteghe. Angelo Biancini chiese ad Alfonso Leoni, che era il mio insegnante di Plastica, se aveva uno studente per aiutarlo e lui gli suggerì il mio nome, così per tre anni lavorai per lui al mattino durante la scuola, mentre al pomeriggio o la sera andavo in bottega: da Ivo Sassi, da Gianna Boschi e da Arturo Locatelli. Ho sempre evitato di parlarne, così che nessuno di loro sapesse che io lavoravo anche con gli altri, infatti con la scusa che dovevo aiutare mio padre andavo a turni da ognuno e tutti loro mi hanno formato e aiutato a crescere sotto aspetti diversi».

Quali influenze riconosci con maggiore chiarezza, oggi?

«Angelo Biancini mi ha insegnato a vedere le cose in grande formato, Alfonso Leoni a giocare all’infinito con le forme e le tecniche, Gianna Boschi a vedere il mondo attraverso la mitologia, Arturo Locatelli a fare esperienza di architettura e Ivo Sassi a fare ceramica davvero».

Quali sono stati i maggiori successi e insuccessi riscontrati nella tua carriera?

«Mi ha aiutato ricevere premi in concorsi e inviti a mostre, ma ho avuto stimoli anche dagli insuccessi: arrivano per farti capire di stare più attento a come ti muovi. Per esempio, anni fa, lavorai in uno studio di architettura a Ferrara, per il progetto di un installazione architettonica nel centro storico. Fidandomi, lasciai i miei disegni del progetto nel loro studio. Mi risposero poi che non se la sentivano perché la proposta era troppo costosa. L’anno dopo, mi trovavo a Ferrara e vidi installate in un palazzo le cose che avevo disegnato io. Avevano ovviamente trovato un realizzatore disposto a lavorare per un prezzo inferiore al mio».

Quanto è cambiato il tuo lavoro dopo il Covid?

«Ho uno spazio dove svolgo attività di ricerca continua, anche se gran parte del mio lavoro lo presentavo in mostre che ora sono ferme. Prima della pandemia facevo molti corsi di ceramica, durante i quali insegno alcune delle mie tecniche, ma quest’anno a causa di questa situazione sono riuscito a farne solamente tre, dato che non si riesce a mantenere il distanziamento sociale, poiché c’è sempre bisogno di mettere le mani nell’argilla insieme al proprio studente».

Come si possono sostenere le piccole imprese artigianali in questo periodo?

«Sul piano economico uno dei principali problemi è legato ai costi elevati della tassazione per l’energia impiegata per cuocere la ceramica. Ma il primo problema è il veloce modificarsi del gusto e dei desideri. Sono cambiati i canali di acquisto/vendita e si possono aiutare le imprese a trovare quelli giusti».

di Anna Piancastelli, Asia menni, Michela Molino, 3BU, Liceo Torricelli-Ballardini, Faenza