Dal 2022 al 2024 guiderà il Festival. L’abbiamo intervistato.
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Il Consiglio di Amministrazione di Santarcangelo dei Teatri ha scelto la tua candidatura tra 66 ricevute (37 italiane e 29 dall’estero). Quali sono gli elementi peculiari che caratterizzano il progetto che hai presentato?
Nella mia proposta progettuale ho usato quattro parole-chiave attorno alle quali vorrei costruire la prossima progettualità per Santarcangelo Festival. Queste parole presentano anche il mio modo di pensare al Festival e alle sue funzioni: rethink, rebuild, react, resist. Descrivono un Festival che, invitando artiste, artisti e presentando opere d’arte, prova non solo ad analizzare criticamente la realtà ma anche a reagire a ciò che accade attorno.
Cosa vorresti mantenere, del Santarcangelo Festival che hai conosciuto?
Sicuramente vorrei che Santarcangelo Festival rimanesse un Festival critico, sensibile ed empatico. Vorrei che rimanesse un luogo di sperimentazione in cui si presentano e si incrociano le nuove tendenze delle arti performative. Vorrei che rimanesse un luogo in cui si guarda verso il periferico, in cui si sentono voci non così tanto presenti nel dibattito pubblico.
Tra il 2005 e il 2006 hai vissuto a Roma, dove hai sviluppato un progetto di ricerca dedicato al teatro futurista italiano pubblicando nel 2008, in polacco, il saggio Dall’arte in azione all’azione nell’arte. Filippo Tommaso Marinetti e il teatro dei futuristi italiani. Tre cose di quello studio che rimangono vive in te?
Ci sono tante cose nel modo in cui i futuristi italiani hanno pensato al loro teatro che mi sembrano ancora molto interessanti. Ma se mi chiedi di nominarne tre andrei verso: la sintesi, che mi sembra molto vicina alla drammaturgia contemporanea; l’interesse verso eventi e interventi nello spazio pubblico; la fascinazione del nuovo, dello sconosciuto e la voglia di partire sempre da zero.
Nel 2008 hai fondato il Teatr Nowy a Cracovia, dal 2011 al 2019 sei stato collaboratore, programmatore e curatore del Dialog – Wrocław International Theatre Festival. Cosa di quelle esperienze porterai in dote a Santarcangelo?
Tutte e due le esperienze sono state formative. Dal Teatr Nowy sicuramente porto l’esperienza di creare qualcosa dal niente, da zero. Ma anche l’esperienza del lavoro con giovani artiste e artisti. Credo che soprattutto il programma chiamato “Laboratorio del Nuovo Teatro” possa essere un importante punto di riferimento per il mio lavoro a Santarcangelo: è stato creato per dare ad artiste, artisti e compagnie uno spazio di libertà e indipendenza artistica. Il Laboratorio mi ha fatto capire ancora una volta l’importanza di questo tipo di sostegno per gruppi che sono proprio all’inizio del loro fare teatro. Da Dialog-Festival porto invece una sensibilità per i temi sociali e politici, e la certezza che il Festival crei una possibilità di dialogo e scambio. Lavorando per Dialog ho anche sperimentato la pressione politica e la censura economica: il confronto con il potere non è stato facile. Ma mi ha dato la possibilità di esperire solidarietà verso valori comuni (libertà di creazione, indipendenza dell’arte, diritto di partecipare alla cultura). E questa esperienza mi ha dato una forza veramente enorme, la convinzione che valga la pena difendere i valori che reputiamo più importanti.
Come accennato, nel 2018 hai inaugurato il Laboratorio del Nuovo Teatro: termini che accomunano, secondo molti storici, autori ed esperienze ben diversi fra loro ma accomunati da un’analoga tensione alla radicale trasformazione della funzione (e della fruizione) dell’accadimento scenico. A cosa serve oggi, il teatro, secondo te?
Mi sembra che oggi abbiamo davvero un forte bisogno di vicinanza, di stare insieme, di accettare le nostre necessità, sensibilità e debolezze. Credo che il teatro non solo crei uno spazio sicuro per questo, ma che ci porti anche a vivere la vicinanza. Allo stesso tempo chi fa teatro ci aiuta non solo a capire meglio la nostra società, ma anche ad immaginare la sua futura trasformazione.
Quale rapporto tra la presenza di artisti conosciuti e nomi nuovi o appartati, italiani e non, credi sia auspicabile, per il Festival degli anni a venire?
Credo che il Festival debba avere una sua varietà, ma programmare il Festival non è una questione matematica in cui dobbiamo capire le quantità giuste di questo o quello. Il Festival deve creare incontri che non si possono vedere in un contesto diverso, incontri sorprendenti. Io credo veramente in un dialogo tra artisti e opere d’arte, e di questo mi occuperò lavorando per il Festival. Credo che molto più importante di decidere se presenteremo più artisti conosciuti o sconosciuti, più stranieri o italiani sarà capire dove ci portano tutte le sensibilità ed individualità che invitiamo a un Festival.
Certamente ci saranno artiste e artisti italiani e stranieri, gruppi che il pubblico del Festival segue già da tanto tempo e altri che saranno a Santarcangelo per la prima volta.
Nei materiali che annunciano la tua nomina sei definito, tra le altre cose, critico teatrale. Come intendi questa funzione?
La funzione della critica teatrale mi sembra cruciale. Innanzitutto ci porta una nuova prospettiva in cui possiamo rivedere il nostro lavoro, inoltre connette artiste, artisti e istituzioni d’arte con il pubblico.
Per finire: una parola che guiderà il tuo lavoro?
Speranza.
MICHELE PASCARELLA
info: santarcangelofestival.com