Teatri nella Rete, una scommessa vincente. Questo sembrano testimoniare i numeri di visualizzazioni, circa 180.000 dal 1 dicembre al 31 gennaio, registrati dal progetto di ATER Fondazione che negli ultimi mesi ha promosso undici appuntamenti teatrali in streaming gratuito. Undici spettacoli che hanno coinvolto altrettanti teatri nella realizzazione di un progetto condiviso. Roberto De Lellis, direttore della Fondazione da settembre 2020, ci racconta l’esperienza vissuta, il suo pubblico e l’incerto futuro che attende il mondo dello spettacolo dal vivo.
Teatri nella Rete si è rivelato un successo. Quali sono state secondo lei le caratteristiche vincenti del progetto?
«Secondo me le caratteristiche sono state prima di tutto l’alta qualità degli spettacoli scelti. Tra questi c’erano, tra l’altro, due prime assolute, ovvero il nuovo spettacolo di Peppe Servillo dedicato a Lucio Dalla e la produzione di Monica Casadei su Fellini, che hanno sicuramente destato la curiosità perché non erano state mai viste prime, neanche a teatro. Tra le caratteristiche vincenti direi anche la buona qualità delle riprese. Insomma, secondo me, abbiamo lavorato bene sulla qualità del prodotto, che riguarda sia la scelta degli spettacoli sia il modo di proporli. Aggiungerei poi l’aspetto collaborativo: undici teatri che lavorano di comune accordo attraverso una comunicazione finalmente concertata, che prima non esisteva, ha dato sicuramente i suoi frutti. Io sono arrivato ad ATER a settembre 2020, prima di me non esisteva neanche l’ufficio comunicazione e la sua creazione è stata sicuramente un vantaggio, perché ha permesso la moltiplicazione degli strumenti informativi. Avere undici pagine Facebook che lavorano in concomitanza produce un effetto molto potente. La tecnologia, se attivata in maniera sinergica, diventa uno strumento formidabile per raggiungere gli spettatori, anche se a casa e distanti. Quindi credo siano stati sostanzialmente questi i valori: la qualità del prodotto e la capacità di comunicarlo in maniera comune e collettiva. Quando si coinvolgono undici teatri la possibilità di contattare un alto numero di persone è più ampia. Inoltre, ciascun teatro si è trovato non solo a realizzare il progetto a casa sua, ma ha di fatto trasmesso anche tutti gli altri spettacoli, quindi ogni luogo ha usufruito di undici spettacoli e non solo di quello realizzato da lui. L’unione, per dirla in maniera molto banale, fa la forza».
Quali sono stati gli altri elementi di novità introdotti?
«Costruire attorno agli spettacoli dei momenti di approfondimento credo sia stato un altro elemento di novità rispetto ad altri. Per esempio, abbiamo raccontato il territorio con dei piccoli backstage che avevano l’obiettivo di far conoscere non solo il teatro dal cui palco si sarebbe realizzato lo streaming la sera stessa, ma anche di raccontare un po’ la città, con piccoli accenni alla sua storia. Abbiamo poi raccontato anche gli artisti, grazie a dei webinar dove abbiamo approfondito con loro quello che si sarebbe visto nei giorni seguenti. Anche questo è stato un altro elemento che ha completato l’offerta. Questo insieme di cose sicuramente ha portato qualcosa al risultato del progetto».
Fare teatro in streaming significa però reinventarsi un nuovo linguaggio…
«Sì, certo, sicuramente. Abbiamo puntato molto sulla danza, perché secondo me è più fotogenica del teatro, la si vede con più facilità in video. Come pure la musica e i concerti, infatti buona parte della programmazione era costituita da questi appuntamenti. E abbiamo cercato di intersecare questi linguaggi con il teatro: ad esempio lo spettacolo a Cattolica con Massimo Popolizio insieme a Fabrizio Bosso è stato effettivamente la perfetta unione tra teatro e musica. Non a caso forse è stato il più visto di tutti in assoluto».
Sul successo del progetto in effetti i numeri parlano chiaro: i backstage e i webinar sono stati altamente apprezzati, registrando rispettivamente circa 17.000 e 10.000 visualizzazioni. Allo stesso modo, i dati testimoniano come Shadows. Omaggio a Chet Baker sia stato effettivamente uno tra gli spettacoli più visti con oltre 20.600 visualizzazioni, seguito dal Concerto di fine anno della Filarmonica Arturo Toscanini con oltre 10.600 spettatori e dallo spettacolo di danza Felliniana con oltre 10.300 visualizzazioni. Un grande successo è stato registrato anche da La Conta di Natale i cui appuntamenti hanno registrato oltre 70.000 visualizzazioni. Anche il piano di comunicazione sui social è stato premiato ed ha contribuito al successo del progetto: infatti su 73.139 visualizzazioni totali dei soli spettacoli il 76,52% degli spettatori ha avuto accesso agli spettacoli tramite Facebook.
Secondo lei il pubblico che ha partecipato a questi eventi è lo stesso di quello che di solito frequenta le sale teatrali?
«Penso di sì. È difficile affermarlo con certezza, perché il pubblico non lo vediamo. Possiamo immaginare. Su questo le statistiche non ci dicono molto: ci danno dei numeri ma non ci dicono poi chi c’è veramente dietro. È chiaro che chi cerca certi contenuti è perché in qualche modo è già sensibile all’argomento. Credo e immagino che si tratti principalmente di persone motivate nei confronti dell’arte, della cultura e dello spettacolo».
L’offerta di Teatri nella Rete è fruibile gratuitamente. Secondo lei, è possibile costruire un pubblico online disposto a pagare per i contenuti offerti esattamente come accade dal vivo?
«Secondo me sì. Questi eventi sono stati fatti in forma gratuita, anche a causa delle difficoltà delle procedure da attivare e del poco tempo a disposizione. Abbiamo messo su un progetto in appena 15 giorni e la gratuità era un fattore indispensabile. Io però sono convinto invece che si possa chiedere al pubblico di partecipare anche a pagamento. Ad esempio, al momento stiamo facendo un ciclo di lezioni sulla danza contemporanea: è un format educativo gratuito a numero chiuso, per un totale di 100 partecipanti. Probabilmente non avremmo sbagliato ad offrirlo a pagamento, perché abbiamo avuto tali e tante adesioni in pochissimi giorni che siamo stati costretti anche a chiedere a qualcuno di rinunciare. Forse se avessimo invece chiesto un contributo avremmo selezionato meglio le persone e avremmo accontentato effettivamente quelle che si presentavano per prime. È una cosa a cui penso e in prospettiva faremo senz’altro un passo in questa direzione, specialmente per quanto riguarda le attività formative ed educative perché sono quelle che secondo me rimarranno anche dopo la pandemia».
Nell’ottica dunque di una futura ripartenza, non pensa che questi mesi in cui si è fruito di cultura in forma gratuita sul web potrebbero avere conseguenze negative sul mondo dello spettacolo dal vivo?
«No, non credo, perché le persone hanno molta voglia di tornare. Ce lo hanno già dimostrato l’estate scorsa, quando eravamo tornati a fare spettacoli all’aperto ed erano a pagamento. Credo anche che le persone capiranno che c’è bisogno di dare un aiuto, perché non possiamo rimanere completamente senza incassi. Certo, gli incassi non sono tutto, non ci ripagano completamente, però danno una mano. Come si può vedere dagli ultimi dati c’è un crollo vertiginoso delle entrate e, parallelamente, della partecipazione. Quando si tornerà all’aperto, cosa che credo e spero succederà quest’estate, sicuramente il pubblico ci seguirà. Su questo sono abbastanza sicuro».
Come immagina una futura ripartenza?
«Purtroppo ancora non riusciamo a capire quello che succederà. Di fatto i teatri non sono stati mai aperti da un anno a questa parte. Abbiamo avuto, è vero, l’estate, dove abbiamo ripreso a far spettacolo e durante la quale avevamo sperato che tutto tornasse alla normalità. A settembre avevamo tutto pronto, manifesti, brochure, tutto. Poi però purtroppo non siamo più riusciti ad aprire. Per cui i teatri, in quanto edifici fisici, sono chiusi da un anno. Si deve ancora capire come si riuscirà a rimettere in pista la situazione. Soprattutto vedremo quanti sono riusciti a restare a galla, perché, come in tanti altri settori, anche nel teatro ci troveremo di fronte alla scomparsa di tante compagnie e situazioni non assistite che, non avendo alle spalle una storia di finanziamenti e di riconoscimenti da parte degli Enti, non hanno potuto galleggiare in questa situazione. Qualcuno ha dovuto proprio cambiare lavoro per sopravvivere. Come sarà e come ci sveglieremo l’indomani non lo so e soprattutto si tratterà di capire a quel punto se il teatro e tutto lo spettacolo dal vivo sarà anche in grado di dare una risposta nuova sul piano culturale. Io al momento vedo ancora poche proposte e poche produzioni, c’è molta timidezza nel rimettere mano alla situazione. È tutto da scoprire, siamo un po’ all’ascolto in questo senso. C’è speranza nel futuro, confidiamo, perché questo virus continua ad essere imprevedibile».