Con il Teatro Testori nasce il teatro-game

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Devo ammetterlo, all’inizio non è stato facile. La capacità di fare due cose contemporaneamente non è mai stato il mio forte e trovarmi a dover seguire uno spettacolo e allo stesso tempo leggere ed interagire in chat è stato all’inizio piuttosto impegnativo. Ma partiamo dal principio.

Il Teatro Testori di Forlì annuncia il lancio di un progetto unico nel suo genere: portare il teatro su Twitch, piattaforma di live streaming particolarmente affermata nel settore gaming e largamente conosciuta ed utilizzata tra gli adolescenti. Nasce così il canale mondoteatro che venerdì 30 aprile trasmette in diretta il suo primo spettacolo, Il migliore dei mondi di Magdalena Barile, per la regia di Michele Di Giacomo e con Camilla Berardi e Michele Di Giacomo. Non si tratta però di una semplice registrazione video di uno spettacolo teatrale, ma di un vero e proprio format interattivo. Insomma, si potrebbe dire che dopo i videogame e i libri-game arriva anche il teatro-game. Ed esattamente come accade nei suoi “cugini d’arte”, anche in questo caso gli spettatori sono chiamati a determinare l’andamento della storia compiendo delle scelte. Decisioni quest’ultime che si innestano, chiaramente, su una trama definita che vede come protagonista la diciassettenne Sofia alle prese con un disastro ambientale che si è consumato a poca distanza da casa sua. Chi è Sofia? È il pubblico a deciderlo che, tramite un sondaggio via chat, immagina per lei un abbigliamento casual t-shirt e jeans, una colonna sonora pop e una serie di caratteristiche comportamentali: è una giovane istintiva, in grado di esprimere a parole il suo affetto per gli altri, mentre ciò che teme di più è la malattia. Ha così inizio l’indagine della giovane protagonista. Sofia è senza ombra di dubbio un’ambientalista che, giustamente, lotta per la salvaguardia del mondo nel quale vive. Il campo dietro casa sua, dove lei e la sua amica Chen hanno progettato di costruire il loro giardino delle piante coraggiose – altra decisione del pubblico di cui, a onor del vero, un’ampia percentuale era anche a favore della costruzione di un bunker per proteggersi dai futuri disastri ambientali –, è stato di recente contaminato da una potente tossina che ha avvelenato l’aria e la terra. Chi sarà stato a seppellire questi materiali tossici nel campo dietro casa di Sofia? Babbo Natale è l’opzione preferita dal pubblico. E Babbo Natale sia! Ed effettivamente alla fine, non di Natale ma di babbo si tratta: un’attenta indagine della protagonista la porta infatti a riconoscere la targa del furgone del padre da cui sono stati scaricati i veleni. Che fare? Mettere davanti la famiglia o la giustizia? Anche in questo caso il giudizio del pubblico è decisivo e mette la giustizia al primo posto.

Nella scelta della storia si riconosce certamente una tematica importante che affronta questioni delicate che stanno particolarmente a cuore ai più giovani ai quali è indirizzato lo spettacolo. A questi è data anche la possibilità di fare una donazione alla campagna della onlus Tree Planted. In questo senso, si può riconoscere allo spettacolo un certo intento pedagogico: insegnare ai ragazzi a prendersi cura del mondo nel quale vivono a partire da semplici scelte come spegnere la luce, ma, andando oltre la questione ambientale, anche l’importanza di fare rete e di avvicinare i coetanei al dibattito politico per far sentire la loro voce. Una lotta necessaria perché il mondo che stiamo loro consegnando è un vero disastro e «No, non andrà tutto bene», come urla disperata Sofia, la cui interpretazione in questo preciso momento viene elogiata dal pubblico in chat.

Ciò che emerge con chiarezza in Il migliore dei mondi è un’interessante forma intermediale che unisce e confonde tra loro linguaggi artistici differenti. C’è il teatro, certo, con l’apertura del sipario, l’allestimento in diretta del palcoscenico, l’entrata e l’uscita dei personaggi dalle quinte. Ma c’è anche il cinema, nella sua forma di video digitale, con i movimenti di macchina, seppur limitati, che modificano i punti di vista dello spettatore, con l’uso del fuoricampo e con la rottura della quarta parete attraverso lo sguardo in macchina. È quanto accade subito all’inizio, quando lo zio cerca Sofia nella platea fuoricampo: nel guardarla e nell’indicarla si sta allo stesso tempo rivolgendo a chiunque si trovi dall’altra parte dello schermo. E c’è poi, chiaramente, il videogioco, con le sue dinamiche interattive e di costruzione della storia. Ma non è tutto. Teatro, cinema e videogioco si trovano uniti inoltre all’interno di un altro linguaggio, quello del social network. Ed è così che la chat non è solamente una barra accanto al video dove cominciano ad apparire commenti ancora prima dell’inizio, ma vera e propria parte integrante dello spettacolo, spazio dove esso stesso viene definito ed elemento di sceneggiatura in divenire. L’interazione del pubblico diventa triplice: tra di loro, con gli amministratori che gestiscono i sondaggi e con Sofia stessa che, di tanto in tanto, si ferma a leggere i commenti di chi la sta accompagnando nella sua indagine. Ma i social sono anche quelli attraverso i quali passa la relazione tra Sofia e la sua professoressa (con una spassosissima parodia della Dad) e tra la protagonista e la sua amica Chen, un personaggio che esiste solo come voce registrata in un audio di una chat proiettata su un grande schermo.

C’è anche un ulteriore aspetto interessante collegato alla chat: si parla dello spettacolo nel suo svolgersi. I partecipanti valutano in tempo reale la loro esperienza in quanto spettatori. Cosa ne pensate dell’interazione? È sfruttata al massimo o si potrebbe fare di meglio? Quanto ci sentiamo effettivamente coinvolti in questo gioco-spettacolo? Ed è così che la discussione va avanti con diversi utenti che condividono la propria opinione: in alcuni momenti il tasso di interazione e di decisionalità è molto forte, in altri meno; si potrebbe fare di meglio, certo; in fondo è un format sperimentale… E così via.

Mi piace chiudere questa riflessione con un commento di una (immagino) giovane spettatrice che si dice contenta di poter finalmente commentare uno show insieme ad altri senza aver nessuno che la intima al silenzio. Un chiaro messaggio che deve far riflettere adulti e operatori culturali sul fatto che non è vero che i più giovani non sono in grado di apprezzare l’arte, in qualsiasi forma essa si presenti. Semplicemente la vivono (e la esperiscono nel vero significato di ‘fare esperienza’) in maniera diversa: più attiva, più partecipativa, più intermediale. Nella sua forma, Il migliore dei mondi testimonia dunque che non deve esserci timore nell’ibridazione e nella sperimentazione.