School of Feminism: educazione, arte e parità di genere

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Patricia Luján- ph School of Feminism

Si parla tanto di femminismo e di parità di diritti, ma a che punto siamo arrivati e sino a che punto realmente possiamo dire che uomini e donne sono uguali e posti sullo stesso piano?
Il femminismo, per definizione è il movimento di rivendicazione dei diritti economici, civili e politici delle donne teso a porre la donna in condizione di parità sociale, pubblica e privata, con il genere maschile.

Affronteremo l’argomento in via trasversale, rapportandoci ad una realtà che nel corso degli anni ha saputo, attraverso una comunicazione chiara ed incisiva, affermarsi oltre i confini del Paese di origine, utillizzando l’arte come canale e ponte per la divulgazione di un messaggio scevro da equivoci interpretativi.

Alla luce di queste premesse, del messaggio e del senso che questo tipo di arte rappresenta, abbiamo un po’ rivoluzionato le nostra idea di femminismo e, mettendoci nei panni di chi della parità di genere ha fatto la sua ragione di vita, ci siamo chiesti ‘che cos’è il femminismo oggi e come viene percepito all’esterno‘.

Lo spunto di riflessione ci è stato offerto da !Pechos Fuera! il nuovo intervento di CHEAP – il progetto di public art, attivo dal 2013 a Bologna – realizzato in partnership con School of Feminism, attraverso poster affissi sui muri della città che riportano grafiche, foto, testi e claim che hanno come soggetto i seni delle donne.
In pratica manifesti ‘senza veli’ dai contenuti espliciti, per alcuni apparentemente privi di senso, per altri avanguardisti e per altri ancora una provocazione fine a se stessa.

Incuriositi abbiamo indagato sull’origine dell’idea è così, in un viaggio virtuale a Barcellona, abbiamo conosciuto Patricia Luján autrice e fondatrice di School of Feminism che abilmente ha saputo coniugare Femminismo, Arte e Parità di genere.
Giornalista freelance, nata a Madrid oggi vive a Barcellona. Si definisce attivista femminista da quando, nel 2017, è stata invasa da una profonda indignazione dopo aver assistito ad un processo mediatico per lo stupro di una giovane donna da parte di un gruppo di sedicenti definiti “La Manada” (gli animali).

Logo School of Feminism

Patricia, School of feminism è nata da un fatto di cronaca?
«Esattamente, il fatto è stato così ripugnante, mi ha toccata così nel profondo da decidere di dedicare tutto il mio tempo e le mie energie per cercare di trasformare con il mio attivismo la società in modo che la violenza contro le donne cessi di essere una realtà comune, “tollerata” da tutti nel mondo. Ho una figlia di 10 anni. Lei e tutti noi meritiamo un mondo migliore. Sono un ferma sostenitrice del fatto che attraverso la comunicazione si può vendere un’auto, personalmente preferisco portare una rivoluzione. Da questa esigenza è nata School of Feminism».

Che cos’è School of Feminism e qual è la mission?
«School of Feminism è una piattaforma no-profit la cui missione è portare il femminismo nella società attraverso la creatività, l’educazione e la comunicazione. Molte donne e la stragrande maggioranza degli uomini non sanno cosa sia realmente il femminismo e questo provoca allontanamento o addirittura apatia e confronto con qualsiasi cosa, idea o proposta che suona femminista. Per questo è necessario spiegare il femminismo in modo semplice e attraente per tutti. E quando sai che il femminismo è uguaglianza e giustizia per tutte le persone che abitano il pianeta, diventa facile ragionare secondo il pensiero di Chimamanda Ngozi Adichiescrittrice e attivista nigerina Dovremmo essere tutti femministi“. In sostanza attraverso la piattaforma parliamo di femminismo per 365 giorni all’anno e non solo, banalmente, l’8 marzo».

L’argomento è attuale, è un pensiero condiviso da molti.
«Si. È meraviglioso vedere come ogni giorno sempre più associazioni, profili in rete, movimenti globali guidati da giovani chiedono giustizia e la fine della violenza contro le donne, creando e condividendo materiali che inondano le reti, le strade, le scuole tutto l’anno con post, tweet, campagne, libri, laboratori, eventi, club del libro. La scuola del femminismo è l’educazione».

In che senso?
«Crediamo fermamente che, come dice Malala Yousafzai attivista e blogger pakistana, vincitrice del Premio Nobel per la pace (2014) per il suo impegno per l’affermazione dei diritti civili e per il diritto all’istruzione, “L’educazione è l’unico modo per cambiare il mondo“. Attraverso la School of Feminism creiamo materiali che aiutano le scuole e le famiglie a educare in uguaglianza, a coeducare, affinché i bambini si sviluppino pienamente e non assumano come propri i modelli sessisti e stereotipati che il sistema patriarcale impone fin dalla più tenera età. C’è molto lavoro da fare anche con i ragazzi, è necessario educarli e sensibilizzari affinché crescano sviluppando un rapporto sano con le donne. La coeducazione apre la strada all’eliminazione di ogni tipo di violenza».

La Scuola di Femminismo è comunicazione.
«La parola e il movimento femminista per gran parte della società hanno una cattiva immagine e una cattiva comunicazione. Però, se noi spieghiamo in maniera semplice ed attraente cosa sono il femminismo e i suoi valori, vedremo come (quasi) tutti si sentiranno femministi. Al fine di divulgare e educare le persone abbiamo collaborato con istituzioni, tra queste il Comune di Barcellona, creando campagne come #ElPresenteEsFeminista per rendere gli uomini consapevoli della loro responsabilità nel porre fine alla violenza contro le donne. Diciamo: “basta naturalizzare e chiudere gli occhi di fronte a situazioni di violenza contro le donne!. Basta alla violenza macista!”».

Altre campagne?
«Nel 2020, pochi giorni prima dell’inizio della pandemia, abbiamo lanciato la campagna El Ecofeminismo es la Respuesta (L’Ecofemminismo è la Risposta), a sostengono e come risposta alla necessità di un mondo ecofemminista. Anche qui ci prefiggiamo l’obiettivo di abbattere tutti quei meccanismi che alimentano e generano la disuguaglianza di genere e l’ingiustizia globale mettendo al centro la vita, laddove la cura e l’empatia sono necessarie per far cadere le strutture che sfruttano la natura e tutti gli esseri viventi. Collaboriamo anche con associazioni che, come Digital Fems, incoraggiano il sostegno e la visibilità delle donne negli ambienti tecnologici, creando campagne come #FuckGenderRoles per violare gli stereotipi di genere, o progetti come Data Against o Datos Contra El Ruido (Dati Contro il Rumore) che utilizza le informazioni pubblicate dal sistema giudiziario e dalla polizia sulla violenza maschile da utilizzare e diffondere da persone e gruppi sensibili a questa problematica (#NoDataNoJustice)».

Quale metodo e quali strumenti per diffondere i concetti della Scuola?
«Usiamo la creatività e le idee universali come strumenti per diffondere concetti e visioni femministe in un modo che chiunque, di qualsiasi età, possa capirli e sostenerli».

Manifesti Thank a Feminist_ School of Feminism- ph Tanit Plana

‘Thank a Feminist’: brillante intuizione dal risultato performante.
«Diciamo che School of Feminism è iniziata nel 2019 quando abbiamo creato i manifesti Thank a Feminist per commemorare la Giornata Internazionale della Donna, in pochi giorni sono stati condivisi in tutto il mondo, creando una comunità di decine di migliaia di seguaci su Instagram e su Facebook. Abbiamo deciso di condividere tutti i poster in modo che potessero essere scaricati e utilizzati da chiunque. Avevamo due modelli in inglese e spagnolo – prosegue -, ma la gente ha iniziato a chiederli in altre lingue e la magia è avvenuta quando abbiamo iniziato a ricevere, senza chiederle, le traduzioni dei manifesti nelle lingue di tutto il mondo. Oggi ‘Thank a Feminist’, grazie a tutte le femministe che vi hanno collaborato, è tradotto in 19 lingue tra cui greco, russo e cantonese. Curiosamente, la campagna Thank a Feminist ha avuto una grande accoglienza in Italia dove è stata trasformata in una gigantesca mostra, dai colleghi di Cheap. Il Comune di Torino l’ha utilizzato nella sua ultima campagna per la Festa della Donna 2021 – Campagna TAF, stampando dei manifesti che sono stati distribuiti in tutta la città. Nonostante i successi non è ancora finita. Ci sono ancora molti diritti per cui lottare affinché si raggiunga l’effettiva parità tra donne e uomini, ma grazie a tutte le femministe, alla loro lotta e perseveranza, riusciremo a raggiungere l’obiettivo che questo mondo progredisca verso un luogo più giusto, equo e sostenibile».

Vi abbiamo conosciute attraverso la campagna “ỉ Pechos Fuera!”. Raccontaci di più.
«Nel marzo 2020 Zenith Publishing ha pubblicato il libro “¡Pechos Fuera! Un manifiesto por la libertad de los senos […]”, un manifesto per la libertà di tutti i corpi e contro la censura dei capezzoli femminili su Instagram e altre reti. Certo, a confronto con la violenza sulle donne in tutto il mondo può sembrare insignificante e banale lottare contro la censura dei nostri seni. Può sembrare poco importante rivendicare iil diritto di mostrare parte del corpo femminile su reti come Facebook o Instagram. Ma non lo è. Guardiamo oltre. Non può essere abbastanza. Non possiamo permetterci di sentirci dire che dobbiamo coprirci per preservare la sicurezza della comunità».

Qual è la logica di questo pensiero?
«Più che di logica si può parlare di paradosso, si può portare una pistola per le strade di mezzo mondo, ma non si può portare una scollatura? Chiediamocelo: un capezzolo è un’arma di distruzione di massa? Un seno uccide? Un seno può ferire la sensibilità di una ragazza o di un ragazzo? Non dimentichiamo che dai seni le nostre madri ci hanno nutriti. Ecco, in questo risiede la logica del nostro pensare e fare, che ogni giorno cozza con la realtà che diventa paradosso».

Manifesto School of Feminism- ph Tanit Plana

È come dire: dal pensiero malevolo alla violenza il passo è breve?
«Faccio degli esempi: la violenza è quando ti toccano i seni senza consenso, violenza è subire uno stupro di gruppo. Violenza è quando qualcuno che mangia in un ristorante è infastidito dal fatto che allatti al seno il tuo bambino. Violenza è quando negano ad una paziente malata di cancro ai seni la ricostruzione estetica, è quando le riviste dettano l’aspetto dei nostri corpi, è la mercificazione dei seni ad uso pubblicitario. Violenza è anche farti sentire inadatta per come sei per andare in un ufficio o per essere seduto in un’aula. La violenza è che devi censurare con stelle o emoji i capezzoli su Instagram. Tutto questo (e molto di più) è la violenza. Ma una semplice tetta non è violenza».

Annosa questione, ma dalle sue parole si evince molto di più.
«Non si tratta di mostrare o non mostrare il seno o i capezzoli. Che ognuno faccia quello che vuole! Si tratta di uguaglianza. Si tratta del diritto di decidere del proprio corpo. Si tratta di non discriminare più della metà della popolazione mondiale. Si tratta di impedire che i nostri corpi vengano oggettivizzati. I nostri capezzoli non sono emoji! I seni femminili sono ghiandole mammarie ipersessualizzate per il consumo maschile. E se non servono a quello scopo, risultano fastidiosi. Voglio ricordare Lina Escoattrice, produttrice e attivista americana – nel 2014 ha lanciato il movimento #freethenipple, milioni di persone in tutto il mondo si sono unite al movimento per denunciare questo tipo di discriminazione e disuguaglianza nelle strade e online. È davvero importante porre fine alla censura soprattutto su Instagram, il canale social più utilizzato dagli under 30, la rete seguita da più di un miliardo di persone nel mondo. Il rischio che si corre è che se questa rappresentazione discriminatoria e sessista si consolida, si perpetuerà per le generazioni a venire».

Instagram, punto dolente?
«Da aprile 2016, curo il profilo Instagram @nipplemagazine, che sotto l’hashtag #STOPnipplecensorship denuncia la necessità di porre fine alla censura su Instagram, raccoglie immagini censurate. Nel giugno 2018 abbiamo fatto la prima esposizione nelle storie di profilo. Abbiamo invitato artisti di tutto il mondo a rispondere con il loro lavoro al tema della mostra “My Nipples Are Not”… Più di cento artisti ci hanno inviato le loro riflessioni. La mostra, per immagini IG, è stata vista da un milione di persone nell’arco delle 24 ore, tempo di durata delle stories (#STOPnipplecensura). Sull’argomento nel 2020 abbiamo deciso di fare un intervento pubblico affiggendo sui muri di via dell’Abbadia a Bologna i poster ispirati al contenuto del libro ¡Pechos Fuera!».

Manifesti dal contenuto più che splicito
«“Quando il petto di una bambina diventa seno? Perché si può mostrare il seno di un uomo ma non quello di una donna?[…]”, queste ed altre domande. Ci sembra sia tempo di prendere coscienza della sessualizzazione dei nostri seni e di normalizzare i nostri corpi. Ogni parte del nostro corpo ha pari dignità. Il nostro intervento è un manifesto contro la censura su Instagram e la lotta per la libertà di tutti i corpi. È un libro trasformato in affissione pubblica. È un invito al sabotaggio e alla disobbedienza».

Sicuramente School of Feminism non le manda a dire. Impiega l’arte e le immagini come veicoli per divulgare messaggi di parità e di uguaglianza. La comunicazione, anche sui social, per educare alla gentilezza e al rispetto dell’altro a prescindere dal genere.
Il movimento chiama alla coesione e solleva un grido di protesta: la violenza strumentalizzata mediaticamente a favore di un senso, frutto di un antico rettaggio, di cattive abitudini e a discapito dell’altr*, del nuovo, del ‘sempre lo stess*’, del più fragile.

Sull’argomento, indubbiamente, l’incontro con Patricia offre moleplici punti di riflessione.

www.schooloffeminism.org