Sun Ra – Lanquidity

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Ho sempre sentito parlare di questo disco, ma lo ascolto ora per la prima volta. I dischi che mi piacciono (a partire dal titolo e dalla storia che raccontano) mi danno un’occasione per riflettere, uno spazio nuovo per pensare.

“Lanquidity” è uno di quei dischi lì. Il titolo mi fa pensare allo stato liquido della musica in streaming, dell’arte, delle categorie di pensiero, degli spazi privati/pubblici, e così via. Sun Ra è stato un essere spirituale su questa terra e mi piace pensare che potesse essere perfino preveggente, nel senso buono del termine, cioè quello di lasciare spazio/tempo all’intuizione, messa poi a fuoco con l’aiuto del ragionamento.

Lo stato liquido riempie tutto lo spazio che occupa. Un bicchiere è pieno nella parte in cui c’è l’acqua ed è vuoto nella parte in cui non c’è. Nella zona liquida non c’è spazio: nella zona gassosa ce n’è eccome.

Seguendo il filo della metafora, ho il sospetto che Sun Ra volesse farci assaggiare questo nuovo mondo liquido, offrendoci in anteprima il suo lato migliore, quello sexy, quello spirituale, quello in cui le strade diverse si incontrano (“Where pathways meet”), le emozioni hanno un loro peso (“That’s how I feel”), e si prendono in considerazione altri mondi oltre a quello che ci appare davanti agli occhi (“There are other worlds”).
Astuto com’è, ci lascia presagire anche il suo lato ombra, senza farne apertamente riferimento.
C’è del gas nella sua “Lanquidity”: il gas nell’acqua produce bolle, e in queste bolle ci potrebbero essere possibilità, dubbi, pensieri, perché no ribelli allo stato liquido. Come un negozio di dischi nel 2021. Siamo una bolla gassosa nello stato liquido, ed è qui dentro che io respiro.

“Lanquidity” esce in piena era disco (1978), se ne distacca, ma la sfrutta nel suo lato più gustoso e inclassificabile (perciò liquido) che sono il funk e il groove (alla George Clinton), a cui aggiunge echi di musica orientale, cosmic e fusion.

Benedetto tu sia, Sun Ra.

 

 

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Ascolto musica per tanti motivi, ma il più frequente è perché le canzoni che mi piacciono mi fanno sentire capita e accolta nelle altalene di emozioni quotidiane. Mi sono tanto domandata “in che modo esattamente la musica ci fa stare bene?” o “perché la musica ci può salvare?”, e lavorare per 12 anni in un negozio di dischi mi ha dato esperienze per fare delle ipotesi. Una di queste è che quando un ascoltatore incontra una canzone o un disco che “gli piace”, quei suoni sono un’opportunità per sintonizzarsi sulla stessa frequenza emotiva. Rabbia, malinconia, eccitazione, tristezza, gioia: la musica (o l’arte) che ci piace ci fa sentire da fuori quello che sentiamo dentro. E’ possibile? Ecco perché cercare musica nuova in cui rispecchiarmi, è come trovare tracce di me. Dritte e suggerimenti di ascolto per noi e per i clienti arrivano anche da Antonio Fabbri, che cerca dischi con me alla Casa del disco, ed è un grande “facilitatore” di sintonie.

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