Il rumore di un’esplosione, centinaia di spari in sottofondo, il pianto di un bambino e una melodia che sovrasta il frastuono, riempiendo di un soffio di vita quel silenzio mortale che segue lo scoppio. La macchina da presa si muove leggera in un piano sequenza che unisce volti, storie ancora da raccontare, vite sospese che si aggrappano le une alle altre per restare a galla. Questa è l’incredibile scena d’apertura di Broken Keys, il film di Jimmy Keyrouz in concorso al Soundscreen Film Festival. Un incipit che resta imprigionato tra le ciglia, impresso nella retina e nelle orecchie e che accompagna l’intera visione del film: la onnipresente convivenza della vita e della morte, di quel pulsare dell’esistenza che, pur lieve, si agita sotto strati di desolazione.
È questa incredibile voglia di vivere che anima i personaggi del film a partire dal suo protagonista, Karim, giovane pianista che ha ereditato il talento della sua defunta madre e con il quale ora esorcizza la paura della morte trasformandola in anelito di speranza. È il 2013 e in questo modesto villaggio della Siria l’Isis ha assunto il comando: la guerra imperversa e i terroristi piegano gli animi e i corpi della povera gente che cerca di sopravvivere. Karim vive in un edificio abbandonato, mezzo distrutto dai continui bombardamenti, ma abbastanza grande da accogliere diversi dispersi: una giovane donna che studia e spera un giorno di poter iscriversi all’università, un anziano signore proprietario dell’unico negozio sopravvissuto alla distruzione, un gruppo di coraggiosi ribelli in cerca di nuovi adepti per sferrare un altro attacco contro gli oppressori, un bambino che cerca di preservare la propria innocenza in un mondo che lo vuole adulto troppo in fretta. Da questo triste mondo la musica, e in generale l’arte del bello, è bandita, ma Karim suona ancora, quando cala la notte, quando il frastuono delle bombe si fa assordante. Ma non appena lo fa in pieno giorno, per alleviare il dolore di un amico, il corpo mitragliato da centinaia di schegge, le sue note non sfuggono alle orecchie di un gruppo di terroristi che irrompe in casa e distrugge lo strumento. Il pianoforte era per Karim non solo l’unico ricordo della madre e di una vita che valeva la pena essere vissuta, ma anche la sua unica possibilità di poter fuggire da lì, pagando con il ricavato della sua vendita il viaggio verso Vienna. Quel giorno però un’altra grave tragedia si consuma: a quelle tristi mura viene sottratto il padre ribelle del piccolo Ziad. I sentimenti di solitudine e abbandono portano il bambino ad offrirsi per aiutare Karim a trovare i pezzi per riparare il pianoforte, in cambio di denaro per potersi procurare un’arma con la quale liberare suo padre. Ma l’impresa non è tanto semplice e in poco tempo Karim si trova ad attraversare il deserto diretto verso la città cuore del conflitto per rintracciare un ex negoziante di musica, proprietario di un pianoforte identico al suo.
Ha inizio con questo viaggio l’evoluzione del suo personaggio che da uomo senza parti e amor di Patria si trasforma in eroe. In questa città incontra una coraggiosa donna ribelle, anch’essa in fuga per raggiungere ciò che resta del suo gruppo, che lo aiuta a trovare l’uomo e il pianoforte. Procuratosi i pezzi e separatosi dalla donna, Karim fa ritorno al villaggio dove scopre che Ziad, rimasto solo e privo di riferimenti, si è unito alla scuola dei terroristi e ha sottratto una bomba, nella convinzione, disperata, di poter liberare suo padre. Salvare Ziad diventa la nuova missione del protagonista, un nuovo tourning point nella sua trasformazione: lo prende sotto la sua ala e lo coinvolge nella riparazione del piano. Ma è solo in seguito a un tragico evento, quando ormai tutto era già pronto per la partenza, che l’evoluzione del personaggio è davvero compiuta, con un finale che è un inno alla libertà, alla vita che vince la morte, alla speranza e alla dignità umana.
Ciò che sconvolge per l’intera durata del film è quello stesso sentimento evocato nel principio: quel pulsante desiderio di vita che emerge nella morte. Questa compresenza di opposti è resa evidente nell’alternarsi continua di immagini di guerra, di desolazione, di gesti d’odio e di corpi morti con quelle di uomini e donne che leggono e studiano, facendo della cultura un’arma di salvezza, che mettono al mondo figli e si prendono cura di quelli rimasti orfani e di bambini che giocano, corrono e si schizzano nell’acqua strappando timidi sorrisi agli adulti. Gli elementi e i simboli della vita e della morte si alternano e si sovrappongono nelle dimensioni dell’immagine e del suono, restituendo il ritratto di un’umanità soffocata sotto le macerie dell’odio. E in questo gioco di contrasti perfino il burqua, simbolo di oppressione e cancellazione del sé, diviene arma di salvezza che cela agli occhi di chi non sa guardare quel desiderio di vita che si prepara a combattere una guerra di cui la musica si fa carta vincente, simbolo di libertà e umanità ritrovate.
È grazie a queste caratteristiche, unite al tratto delicato, umano e mai dissacrante del regista, che Broken Keys è stato selezionato per il Festival di Cannes 2020 e come candidato libanese agli Oscar 2021. Un film che si ispira a fatti reali e che fa della guerra in Siria e del terrorismo islamico un war movie denso di emozioni come i grandi film drammatici, con una sceneggiatura ben strutturata che segue il percorso di crescita e presa di responsabilità dell’eroe.
Broken Keys rappresenta anche la maturazione come regista di Jimmy Keyrouz che amplia così il suo precedente cortometraggio Nocturne in Black e aggiunge il suo personale contributo alla produzione che il cinema asiatico degli ultimi anni sta cercando di portare all’attenzione della cinematografia mondiale.
Visto da noi al Soundscreen Film Festival e disponibile online su OpenDDB venerdì 1 e sabato 2 ottobre – info: soundscreen.org/it/