Vertigine della lista. Su Kashimashi di Teatro Nucleo

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Teatro Nucleo, Kashimashi - ph Daniele Mantovani

Un femminile linguisticamente indomito è quello messo in vita da Natasha Czertok in un assolo popolato e folgorante. Alcune note.

Vertigine della lista è un saggio di Umberto Eco pubblicato da Bompiani nel 2009. Tratta dell’uso della lista come modalità espressiva nella letteratura e nell’arte.

Vien da pensare a questo monumentale atto del pensiero, accingendosi a scrivere alcune note sul nuovo, folgorante spettacolo di Teatro Nucleo, Kashimashi, parola giapponese che evoca l’incontro fra donne.

A una prima lettura, è ciò che propone la straordinaria autrice e interprete, Natasha Czertok: una carrellata di figure femminili, costruite e offerte allo sguardo mediante millimetriche variazioni mimiche, posturali e toniche che modificano radicalmente, anche in dialogo con il suono sapientemente disegnato da Vincenzo Scorza, il colore in cui si è immersi, comico o grottesco, drammatico o lirico, misterioso o estroflesso.

Questo già basterebbe: uno spettacolo espressione di solido artigianato teatrale che pone al centro un corpo-voce abituato a parlare a (e a creare con) i molti. Nel sempre più asfittico ed esile panorama contemporaneo è merce preziosa, rara.

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Teatro Nucleo, Kashimashi – ph Daniele Mantovani

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Ma, azzardiamo, c’è (almeno) un secondo livello di lettura possibile di questo assolo popolato, e riguarda il linguaggio.

L’ineluttabilità tragica del linguaggio, si potrebbe forse sintetizzare.

Occorre tornare per un attimo alla vertigine di Eco.

Il saggio inizia formulando la distinzione tra due modalità di rappresentazione, che lui chiama forma e lista. La forma è una rappresentazione completa, conclusa, finita, dotata di ordine e gerarchia, che non incoraggia a vedere altre cose che quelle che rappresenta. La lista, o elenco, o catalogo, si usa quando di ciò che si vuole rappresentare non si conoscono i confini, quando le cose da rappresentare sono in numero molto grande, o quando qualcosa si riesce a definire solo elencandone le proprietà, che sono potenzialmente infinite.

È pienamente nel campo della rappresentazione, ciò che è dato a vedere: i pochi oggetti poveri che questo corpo-teatro (per dirla con Nancy) mette in vita -una parrucca, una testa di tigre, un naso da clown, un abito bianco e svolazzante à la Marylin- collocano Kashimashi in un modello tutto sommato canonico di teatro-che-abbiamo-in mente.

Ma vi è di più.

Ineluttabilità tragica del linguaggio, si diceva: un po’ alla volta, davanti ai nostri occhi, la lingua (qui intesa come sistema organizzato di segni) prende il sopravvento.

Diventa il punto, per noi parlati (più e prima che parlanti).

In una scena in questo senso esemplare, la Figura si trova ad essere eterodiretta da una voce maschile registrata che, come le note di un copione o di una sceneggiatura, le dà sempre più stringenti indicazioni su come dire le battute (indicando le pause, le risate, i volumi, …).

Non è tanto un gioco di forza tra autore e interprete, né solamente tra uomo e donna ma, allargando, è questione del potere soverchiante del linguaggio.

Teatro Nucleo, Kashimashi – ph Daniele Mantovani

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Si è certo nell’ambito della rappresentazione e della convenzione teatrali, si diceva: da qui si parte.

Eco, ancora.

Il saggio prosegue esplorando vari aspetti della lista come modalità di rappresentazione. Si può fare una distinzione tra liste pratiche (che si riferiscono a oggetti esistenti nel mondo esterno) e liste poetiche, che hanno una finalità artistica.

Kashimashi sembra usare fenomenologicamente le prime per arrivare alle seconde: immagini che creano immaginari, parole (segni) che realizzano mondi. 

Anche quando la “Marylin” biancovestita estrae da uno scatolone un ventilatore e lo piazza a terra, davanti a sé, a evocare il celeberrimo svolazzamento, non è solo un’azione di servizio, vien da azzardare, il suo far tutto da sola,  ma la precisa volontà di mettere  in evidenza il dispositivo, il linguaggio della scena.

Arte come questione del come, prima ancora che del cosa.

Ancora, e in maniera ancor più radicale: Natasha Czertok riceve gli applausi “tenendo” l’ultima delle Figure da lei interpretate, una sorta di feroce clown che non (la) abbandona nemmeno nel momento in cui, convenzionalmente, gli attori -persone e non più personaggi- salutano gli spettatori.

È pur vero che nell’etimologia del termine persona vi sono le maschere, teatrali e non: questa chiusura “che non chiude” pare perfetta  nel restituire, a chi la vuol vedere, una fonda domanda sui segni che  attraversiamo e che ci attraversano,  rendendoci parte di un insieme immensamente grande o sconosciuto, che non si riesce a descrivere altrimenti.

In sintesi: Kashimashi dice il non poter (evitare di) dire.

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MICHELE PASCARELLA

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Visto al Teatro Julio Cortazar di Pontelagoscuro (FE) il 25 novembre 2021 – info: https://www.teatronucleo.org/wp/kashimashi/

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