Una luce anche piccola. Conversazione con Silvio Castiglioni

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Silvio Castiglioni

 

Nel decennale della scomparsa di Sisto Dalla Palma e in occasione della celebrazione del centenario di Andrea Zanzotto, l’attore reciterà brani del poema Filò. Lo abbiamo intervistato.

 

Parliamo di maestri? Quando e come è avvenuto il tuo incontro con Sisto Dalla Palma e con Andrea Zanzotto, che presto celebrerete a Milano?

Università Cattolica, anni Settanta. Ero molto attratto dal teatro, io ero iscritto a filosofia, ma la mia prima lezione fu Storia del teatro tenuta da Sisto Dalla Palma. Non ci ho capito nulla. Ero giovane, e troppo eccitato ed emozionato, e non era facile seguire quel professore: dipanava un filo che si ingarbugliava, sostava, si allargava, ripartiva, si tuffava e si annodava di nuovo. Non arrivava mai al punto. Alla fine di un pensiero se ne apriva sempre un’altro, senza soste, che portava altrove. Ti sentivi ipnotizzato, o sospeso su un precipizio. A Sisto Dalla Palma piaceva frequentare le zone oscure dell’anima, là dove il nostro bisogno di teatro si radica nel profondo. Ma questo l’avrei capito molto più tardi. Allora ero semplicemente affascinato dal suo dire. E quando la campanella ci dava la sveglia, io rimanevo lì seduto, ancora imbambolato.

Non so come, ma nel giro di qualche mese facevo già parte della piccola pattuglia di eletti che lui riceveva a casa sua. Si parlava di rinnovamento della scena e del mondo e si sognava un teatro fuori dai teatri. Di lì a poco quella pattuglia sarebbe andata da un notaio a fondare il CRT, il Centro di Ricerca per il Teatro. Io ero il più giovane.

Andrea Zanzotto l’ho conosciuto nel corso di alcune indimenticabili e torrenziali conversazioni telefoniche a causa di Filò, la magnifica poesia in dialetto veneto che reciterò a Milano. Nel ‘76 in partenza per il Friuli, dove ero a fare il militare, un amico mi aveva infilato in tasca questo libricino di Zanzotto, Filò appunto, fresco di stampa, per le edizioni del Ruzante, che mi avrebbe tenuto compagnia nell’inverno di Gemona, durante le guardie alle polveriere a 20 gradi sottozero. Ce l’avevo sempre con me. Ne dicevo pezzi ad alta voce durante le marce. Lo ripetevo anche ai muli del battaglione quando ero solo sotto la tettoia che faceva da stalla con la paura di nuove scosse sempre in agguato.

Il libricino si apre con una lettera di Fellini che chiede al poeta alcuni testi per il Casanova, il film che stava montando. Sono le poesie in dialetto veneziano della prima parte del libro, il Recitativo veneziano e la Cantilena londinese. E poi c’è il Filò vero e proprio, un poemetto nel dialetto stretto di Pieve di Soligo, il vecio parlar di Zanzotto, che ha parole e modi di dire che a me, veneto della Bassa veronese, suonano strambi e oscuri, e tuttavia l’ho sentita fin da subito come la mia vera lingua madre. Potenza della poesia! Più tardi avrei confessato a Zanzotto il timore di sbagliare la pronuncia, ma lui mi incoraggiò: No fa gnente!, disse.

 

Andrea Zanzotto

 

Vorrei ora citare le parole dello storico del teatro Marco De Marinis: «Di una tradizione ci si appropria, non si può non appropriarsi, attivamente, quindi tradendola-tramandandola (anche etimologicamente, tradizione rinvia sia al trasmettere-tramandare che al tradire-falsificare-manipolare)». Ecco, dunque, una doppia questione: cosa porti con te, oggi, di quegli incontri? E come o in che cosa hai tradito questi maestri?

Non so bene come rispondere a una domanda come questa. Quello che oggi sono e faccio, in teatro e altrove, è anche figlio di Sisto Dalla Palma e Andrea Zanzotto. E di tanti altri. Ma io abito il teatro in modo improprio, per cui credo di conoscere soltanto una modalità di relazione rispetto alla cosiddetta tradizione. Io sono un autodidatta. Un ladro di teatro. Un irregolare. Un clandestino. Non ho scuole né diplomi alle spalle, ma solo incontri, e quindi ho la tendenza quasi naturale a tradire-falsificare-manipolare. Mi piace leggere libri, di tutte le razze, viaggiare coi pensieri e con l’immaginazione, e guardarmi intorno. Sempre in cerca di pagliuzze d’oro che possono servirmi nel teatro. Per me il teatro è un luogo di arrivo, non un punto di partenza.

Puoi sintetizzare, a favore dei lettori più giovani, i principali contributi che Sisto Dalla Palma ha dato al teatro e alla cultura italiani?

Sisto Dalla Palma è stato un intellettuale cui piaceva mettere le mani in pasta, uno storico, un critico e anche un politico. Sapeva vedere in profondità il lavoro degli artisti, come pochi, ne intuiva le traiettorie, gli esiti, senza mai correre il rischio di improvvisarsi teatrante, anzi, adoperandosi per creare buone condizioni per il lavoro teatrale, che è sempre un lavoro rischioso, e comporta la possibilità del fallimento. Era aperto al nuovo e lungimirante. Ha diretto il Piccolo Teatro e la Biennale, ha lavorato come amministratore e legislatore per fissare le norme che disciplinano l’erogazione dei contributi pubblici e, soprattutto, ha fondato a Milano il CRT Centro di Ricerca per il Teatro, che ha tracciato per anni un sentiero battuto da molti artisti della ricerca teatrale in Italia quali Santagata / Morganti, Remondi / Caporossi, Lombardi / Tiezzi, Barberio Corsetti, Carlo Cecchi, Leo de Berardinis, Emma Dante e tanti altri. Inoltre, dobbiamo soprattutto al CRT se in Italia abbiamo conosciuto alcuni grandissimi del teatro quali Jerzy Grotowski, Tadeusz Kantor, Eugenio Barba, Bob Wilson, Meredith Monk… Infine: Dalla Palma ha smosso le acque stagnanti del teatro indicando una strada per rifondarlo nella comunità e nel sociale, fuori dai teatri. Un uomo di grandissimo spessore, non privo di difetti, ovviamente. Bisognava stargli alla giusta distanza. Per non restare delusi da alcune sue discutibili scelte.

 

 

Al di là del coincidente anniversario perché avete scelto Zanzotto, per celebrare Dalla Palma? E perché proprio con la lingua dialettale di Filò piuttosto che con altri suoi testi, all’apparenza più colti?

L’idea è venuta ad alcuni colleghi e docenti della Cattolica che sapevano quanto Sisto Dalla Palma stimasse Andrea Zanzotto e quanto amasse soprattutto quel testo, scritto in un dialetto molto vicino al suo, (Dalla Palma è di Feltre, Zanzotto di Pieve di Soligo) e che aveva sentito molte volte recitato da me. Come si dice nell’invito all’evento milanese «un poeta, un testo, una lingua, un rito fabulatorio e un attore molto amati da Sisto». Ricordo benissimo quando Sisto Dalla Palma ha scoperto che lo recitavo a memoria… me l’ha sentito dire la prima volta a casa sua. Gambe accavallate, occhi socchiusi, piedone oscillante a battere il tempo. È rimasto folgorato e da allora ogni tanto lo chiedeva. «Dai, Silvio, dime ‘l filò». Anni dopo m’è toccato anche sostituire il Poeta che non era potuto intervenire a un incontro cui era stato invitato. «La scelta di celebrarlo proprio con la recita di Filò – continua l’invito – non è un suffragio teatrale, alternativo a quello accademico o religioso, ma l’inizio di un comunitario studio della sua opera e rilancio dei suoi orizzonti culturali, quanto mai lungimiranti e fecondi, ai quali, siamo certi, sarete lieti di contribuire».

Il rito teatrale contiene, per sua natura, la perimetrazione ed il rifiuto di un vuoto, la definizione ma anche la negazione di una mancanza. In che modo ciò che Sisto Dalla Palma e Andrea Zanzotto hanno fatto potrà nutrire il nostro tempo a venire, secondo te?

Io ho una prospettiva molto, molto parziale, e non credo di avere né consigli né visioni che possano nutrire il nostro tempo a venire, come dici tu. Ti posso dire quel che prescrivo a me stesso, quel che credo vada bene per me, sperando che questo si riverberi su chi mi sta intorno. Se il lavoro ben fatto è premio a se stesso, e se tu abiti il teatro, se fai teatro, se, soprattutto, sei attore – come nel mio caso – quindi portatore di una luce, anche piccola, in mezzo alla gente, non hai alibi, non hai giustificazioni, come diceva Leo de Berardinis, devi essere sempre al lavoro. Dunque: a me stesso prescrivo, per quanto riguarda Sisto dalla Palma, di cercare sì la potenza e l’intimità del teatro, ma anche di non dimenticare di aprirlo, il teatro, di spalancarne le porte, di liberare l’accesso anche a chi non è mai entrato o non si è mai accostato, anche a chi sembra ignorarne le regole e i riti. E se i teatri sono chiusi per la pandemia andiamo nei boschi a celebrarlo, il teatro. Quanto a Zanzotto poi, è un poeta inesauribile e multiforme, ed è così ricca la sua produzione non solo poetica (ci sono magnifiche prose, illuminanti) che ogni tanto apro a caso il librone dei Meridiani, e lui mi aiuta a fare il punto. E non è escluso che, dopo Filò, io incominci a mettere nella memoria altri frammenti o poemi che vorrei portare ad altri senza il filtro della pagina scritta.

Grazie.

 

MICHELE PASCARELLA

 

16 dicembre 2021, ore 17.30 – Milano, Università Cattolica del Sacro Cuore – evento su invito, per confermare e iscriversi: dip.scienzecom@unicatt.it