Fiato sospeso per la struggente bellezza di Evolution (Quel giorno tu sarai)

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Sono quasi arrivata a destinazione.

Dal treno riesco a scrutare l’insegna “Trieste” e già sorrido: vedo il mare.

Raggiungo il Politeama Rossetti, fiore all’occhiello come Stabile del Friuli-Venezia Giulia, col cuore che batte più velocemente, perché questo teatro rappresenta per me un luogo speciale: ogni volta è come tornare “a casa”.

Il freddo entra dentro il cappotto ma ne vale la pena, perché so già che Evolution (Quel Giorno Tu Sarai), lascerà a bocca aperta lo spettatore.

La sala è piena ed è una vera gioia per gli occhi, anche perché è la serata d’apertura del Trieste Film Festival e l’anteprima nazionale per il film, dopo aver debuttato al Festival di Cannes.

Evolution è uscito nelle sale italiane il 27 gennaio 2022, in concomitanza con la Giornata della Memoria, distribuito da Teodora Film.

Opera struggente, firmata dal cineasta ungherese Kornél Mundruczó che, insieme alla sceneggiatrice Kata Wèber vincono il Premio Eastern Star  2022 del Trieste Film Festival che riconosce una personalità del mondo del cinema che con il suo lavoro ha contribuito a gettare un ponte tra l’Europa dell’Est e dell’Ovest.

Questo film, con Martin Scorsese nelle vesti di produttore esecutivo, è un ritorno alle origini che si sofferma sui traumi ereditati attraverso la storia di una famiglia, che viene narrata da un falso piano sequenza (tecnica del montaggio nascosto).

In questo modo il film riesce a mantenere una consistenza stilistica di fondo che gli permette di essere il migliore dei film, fino a questo momento, di Mundruczó.

Il piano sequenza ha una tradizione ben consolidata nel cinema ungherese: lo ritroviamo con Miklós Jancsó, che lo introdusse per descrivere campi molto ampi, vaste scene di conflitto o di movimento di masse oppure con Béla Tarr, che lo adopera per costruire giochi di luce e di movimenti ripetitivi, lenti, in un tentativo di rappresentazione della monotonia dell’esistenza.

Con Quel giorno tu sarai, Mundruczó sceglie di usare il formato 4:3, ma decide di giocare su più piani, prediligendo un mezzo primo piano ed occasionalmente avvicinando o allontanando la macchina da presa.

Senza ombra di dubbio, i piani sequenza di quest’opera sono tra i migliori dell’epoca recente.

Il titolo originale, Evolution, allude alla difficoltà del superamento di questi traumi, al processo con il quale le generazioni della famiglia protagonista cercano uno sviluppo che, più che superare, attraversa il passato.

La macchina da presa, rendendo omaggio agli eventi storici che influenzano profondamente l’individuo, narra tre storie, tre generazioni, legate dall’essere ebrei nell’Europa centro-orientale, e tre luoghi: Auschwitz, Budapest e Berlino.

Tre storie commoventi che fanno aprire gli occhi allo spettatore, facendogli comprendere quanto il concetto di identità, studio sviluppato dal sociologo Zygmunt Bauman, soprattutto nei giovani, sia flessibile per la progressiva perdita dei confini identitari degli individui (culturali, religiosi, etnici).

Dopo lo straordinario successo di Pieces of a Woman, premiato a Venezia e candidato all’Oscar, la speranza del regista è che coloro che si trovano ad affrontare il peso delle loro storie personali, possano riconoscersi nel film.

Trasmissione del trauma, desiderio e possibilità di liberarsene, dovere della memoria e desiderio di lasciar andare silenzio e un fardello pesante: l’opera tira molti fili di dolorose e complesse riflessioni ed esplora con rara intensità un soggetto travolgente.

Messo in  scena con sorprendente virtuosismo e creatività immersiva anche grazie a Yorick Le Saux, direttore della fotografia (tra i suoi recenti lavori ha filmato Piccole Donne di Greta Gerwig), il film, in 97 minuti, pone a volte l’asticella molto in alto in termini di durezza, irruenza e radicalismo, in cui il messaggio viene bilanciato, ma senza mai renderlo retorico, trascinando lo spettatore nella fenditura di un tempo unico divenuto tale grazie ai più classici artifici del cinema.

È proprio così che riesce ad aprire una personalissima finestra su nuovi orizzonti per un soggetto mostruosamente universale.