Antonio Bacciocchi: un libro sul Soul scritto, appunto, con l’anima

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Bacciocchi racconta la Soul musica e lo fa con una tale naturalezza da permettere a chiunque di entrare in contatto con un mondo musicale ampio come il mare. L’autore, da musicista ha militato come batterista in una ventina di gruppi (tra cui Not Moving, Link Quartet, Lilith), incidendo una cinquantina di dischi, aprendo per Clash, Iggy and the Stooges, Johnny Thunders, Manu Chao, Siouxsie, Brian Auger, ha scritto una ventina di libri dove la musica, appunto, rimane il fulcro di una narrazione di facile assorbimento, ma distante dall’essere banale.

Nella chiacchierata che segue, Antonio ci prende per mano, la sua è una mano callosa, di quelle che hanno frantumato bacchette della batteria e scritto libri a penna senza mai fermarsi. E fra le righe, fra le risposte attente che ci ha concesso scopriamo una voce originale, essenziale, che si porta appresso una lunga storia di vita vissuta tra musica, narrazione e conoscenza. 

La soul music è un vasto territorio, anzi, vastissimo. In che modo si decide di condensare tutta la storia in un unico volume? Un lavoro piuttosto difficile, vero?

Un lavoro necessariamente sintetico e limitato. Avrei avuto bisogno di dieci volumi per essere esaustivo. In questo senso ho voluto fare qualcosa di impostazione enciclopedica, cercando di raccogliere le fasi salienti della storia del soul, dalle origini ad oggi, con il principale intento di stimolare i lettori ad approfondire ulteriormente. È stato davvero difficile restare entro i limiti editorialmente prestabiliti. 

Nel tuo scritto fai emergere il lato umano, viscerale e intimista della musica. Quasi a voler dichiarare che, in fin dei conti, l’aver etichettato certa musica come soul – anima – non è un caso. È così?

Esatto. A 60 anni, dopo 45 trascorsi ad ascoltare (suonare, produrre e scriverne) musica di ogni tipo, ho realizzato che il filone più intensamente intimista e “vero” è proprio la soul music. Che, sempre a seguito di questa riflessione, credo sia l’unica che abbia saputo costantemente rinnovarsi, senza ripetersi e autocitarsi in continuazione come nel caso del rock o del jazz. Il groove ritmico del soul ha continuato a evolversi e a caratterizzare la musica moderna nel corso degli anni.

 

 

Sei a tutti gli effetti un narratore dei principali movimenti che hanno coinvolto la musica e le generazioni passate, mi viene in mente il tuo impegno nel raccontare il Mod in Italia. Malinconia o semplicemente cronaca di un tempo passato?

Cronaca e resoconto storico, il più possibile fedele, avendo fatto a lungo parte sia della scena mod, sia, in maniera tangente, di quella punk e hardcore, di realtà che altrimenti sarebbero rimaste dimenticate e finite nell’oblio o, ancora peggio, nell’approssimazione di internet, dove, non di rado, si trovano imprecisioni e sciocchezze. Sono testi ad uso per le generazioni attuali e future che vogliano conoscere più cose su espressioni (sotto/contro) culturali che hanno perso l’anima “eversiva” di quei tempi. 

Prima di ogni altra cosa sei un batterista. Nella tua lunga carriera ci saranno stati sicuramente dei momenti pivot, attimi che hanno arricchito il tuo percorso. Ti va di confidarcene qualcuno?

Aprire i concerti di gruppi di un certo livello (Clash, Johnny Thunders, Iggy Pop, Siouxsie, Manu Chao, Brian Auger) mi ha permesso di approfondire da vicinissimo realtà di riferimento, capire certe dinamiche e venire a contatto con alcuni miei idoli. I due tour in America con il Link Quartet mi hanno fatto invece conoscere una dimensione del tutto diversa dalla nostra. Lavorare per 20 anni nel mio studio di registrazione è stata invece l’occasione per conoscere modalità espressive (il liscio, ad esempio, o la musica per le pubblicità) che ho sempre considerato secondarie e invece hanno tanto da insegnare a un musicista.