Sarò al tuo fianco: speranza e amore nel film sociologico dei registi Vareikytė e Dejoie

0
115

 

Mi trovo a Trieste come studentessa di Cinema per il Trieste Film Festival, e quest’opera è la quinta, e ultima, che mi aspetta per la seconda giornata di proiezioni. Il Cinema Ambasciatori, situato sull’alberato corso XX settembre, si riempie pian piano di respiri e cuori emozionati, ed è una vera gioia per gli occhi… Meraviglioso vedere la sala piena. Regia firmata da Virginija Vareikytė (cineasta lituana) e Maximilien Dejoie (sceneggiatore e regista torinese che in questa sua opera cura anche la fotografia), il documentario Būsiu su tavim (I’ll stand by you) fa viaggiare la macchina da presa in Lituania, Italia e Svizzera. Durante la visione risuonano queste parole in sala: “Guardavo fuori dalla finestra anche se sapevo che non sarebbe tornato”, “Voglio davvero che tu viva”. Secondo il World Health Organization, la Lituania è tra i Paesi al mondo con maggior tasso di suicidi e il primo in Europa. Si stima che nel 2016 il più popoloso dei Paesi Baltici contasse una media di quasi 29 decessi per suicidio ogni 100 mila abitanti, un dato che posiziona la Lituania al terzo posto nel mondo, inferiore solo alla Corea del Sud e alla Groenlandia. Un triste primato che si cerca di studiare e combattere ma che risulta spesso di difficile comprensione e prevenzione. Proiettato nell’ambito di “Inconvenient Films”, il Festival di diritti umani di Vilnius e presentato in anteprima a “DOK.fest a Monaco di Baviera, è stato prodotto da M&N Yacht Consultant (Italia), Dok Mobile (Svizzera) e In Script (Lituania), con il sostegno di Film Commission Torino Piemonte – Piemonte Doc Film Fund.

 

 

Allo scopo di contrastare una situazione sempre più drammatica, la psicologa Valija Šap e la poliziotta Gintarė Meškienė cercano di salvare la loro cittadina da un’epidemia di suicidi mai vista prima. Offrendo empatia e compassione porta a porta, vogliono ridurre il numero record di suicidi nella loro cittadina in Lituania, per raggiungere persone anziane e abbandonate, entrando in contatto diretto con loro, cercando di infondergli positività, ascoltando sia gli sfoghi che le loro tragedie umane.

Il suicidio è una sfida radicale: un’evidente libertà del singolo che sceglie di sottrarsi a tale coesione. L’individuo è isolato, propriamente non esiste. Nel celebre studio del sociologo Émile Durkheim Il suicidio (1897) si evince che il suo oggetto di ricerca non è il suicidio di singoli individui ma il tasso dei suicidi che si riscontra in una data società. Come ci viene spiegato nel documentario d’altronde. Ciò che Durkheim ha mostrato è che il numero complessivo di suicidi presenti in un dato anno in una società è sempre in relazione con il grado di integrazione sociale che la società medesima consente.

Film fortemente ottimista, ricco di vitalità che raccoglie il biennio più nero per la demografia del paesino rurale Kupiškis – 2015/2016 – per dar vita a una prospettiva futura rosea in cui il demone del suicidio possa essere solo un ricordo. I due registi hanno scelto di seguire, nell’arco di quattro anni, Valija e Gintarė nel loro lavoro proprio per lo spirito con cui sanno affrontarlo, e per l’ottimismo che non le abbandona mai – nonostante la sofferenza e la disperazione delle persone con cui interagiscono quotidianamente – neanche quando si trovano a messaggiare di notte con qualche potenziale suicida ormai giunto all’estremo della sua sofferenza.

 

 

Il punto di forza è la conoscenza profonda della comunità in cui si vive e la volontà di fare rete per essere tutti responsabili del miglioramento sociale. Ad esempio, una delle soluzioni adottate per indurre un anziano a sentirsi meno solo e ad allontanare pensieri negativi è stata quella di metterlo in contatto con un’altra signora anziana, con il suo carico di sofferenze, che riempisse il vuoto quotidiano percepito dall’uomo. L’opera è piena di calore, in forte contrasto con il ghiaccio e la neve che ammanta le aie e i terreni che compaiono nel film, e i registi giocano proprio con questa contrapposizione mostrando un’alternanza di stagioni, fino alle giornate assolate che possono consentire pic-nic sul prato. La stessa regia è piuttosto ricercata e utilizza in maniera funzionalmente affascinante il fuori campo concentrandosi su dettagli, particolari dell’ambiente naturale e casalingo; spesso si fa ricorso alla camera fissa, utilizzata come non penseremmo mai in un documentario per avvalorare il fuori campo. Quello che emerge è l’importanza di darsi una mano, di sostenersi vicendevolmente e, soprattutto, di essere disposti ad ascoltare gli altri, in particolare nei momenti in cui manifestano disagi che non vanno sottovalutati specialmente in una società come quella attuale che promuove l’individualismo e non l’ascolto. Il tocco musicale di Eugenio Mazzetto dona ancora più sostanza, ad un’opera dove la telecamera di osservazione rende il pubblico testimone, riuscendo a donare 73 minuti di bellezza, mista ad ansia, dentro un documentario che ha il sapore soprattutto di speranza.

Previous articleBastard Sunday di Enzo Cosimi, dedicato a Pasolini
Next articleOROSCOPO MARZO-APRILE 2022
Da quando ne ho memoria, questi sono i miei più grandi amori: canto, teatro, lettura e cinema. Sono una Studentessa del Corso di laurea DAMS presso l’Università degli Studi di Messina. Appassionata di storia dell’arte, letteratura, storia, musica, fotografia e di mummie, il palcoscenico ha fatto parte della mia vita dall'età di 6 anni e da allora non l’ho più lasciato, in qualsiasi veste. Allieva Regista per la Summer School alla Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi di Milano, amo scrivere, in particolar modo poesie e racconti. Pratico volontariato dall’età di 10 anni e Gagarin è la mia prima collaborazione di scrittura come aspirante critica cinematografica.