Al vulcanino di Monte Busca

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Il percorso che voglio proporre per la seconda puntata della rubrica Giretti è di nuovo un sentiero ad anello con partenza da Tredozio, sosta al “vulcanino” di Monte Busca, e ritorno di nuovo a Tredozio.

Questo secondo Giretto si sviluppa ricalcando sentieri segnalati dal CAI, precisamente il 571, il 553 e il 569: unendoli si riesce ad estrarre fuori dal cilindro un trekking di circa 18km, sì lungo ma altrettanto avvincente e meritevole d’essere percorso. Tra boschi a volte incontaminati, a volte con strutture abitative magistralmente inserite e adattate al contesto naturale circostante, la fatica viene ben ripagata; vi è poi la sosta protagonista di questo trekking, il cosiddetto “Vulcanino”, che con la sua malìa la fatica me l’ha fatta addirittura scordare. 

 

 

PARTENZA: IL PENNA ROAD BAR

La partenza ha luogo nel parcheggio di fronte al Penna Road Bar, realtà ai miei occhi sempre affascinante quando vengo a Tredozio, per la particolarità e l’attenzione con cui ha saputo inserire – senza creare squilibri – il clima “tonante” classico dei motociclisti religiosamente fedeli alle Harley-Davidson alla pacatezza che caratterizza ogni piccolo borgo appenninico dalle case in pietra. Tenendo il bar alla propria destra proseguiamo dritto una cinquantina di metri: così facendo, troveremo la salita del sentiero 571 sulla nostra destra ad aprirci il cammino.

La salita in breve tempo diventa decisamente tosta: aumentando progressivamente la ripidità ci fa spezzare subito il fiato. Nonostante si faccia maledire parecchio, fa già assaggiare una porzione del tipo di bosco che a più riprese incontreremo lungo il percorso: maestoso, silenzioso, salubre. Dopo qualche minuto, incontriamo un primo esempio di ciò che intendo quando dico che la popolazione locale ha mantenuto il rispetto della natura nonostante le proprie esigenze: per affrontare certe salite più ripide vi sono dei gradini scavati nel terreno, funzionali e di un’estetica adattata perfettamente al terreno boschivo; non intaccano negativamente l’immagine naturale dell’ambiente in cui siamo immersi, ma anzi gli rendono un fascino tutto suo. Ad ogni modo, finita questa salita, si arriva di fronte a una casa, precisamente di fianco al pollaio e l’orto della proprietà.

Il sentiero procede costeggiando il lato destro della casa, e dopo un centinaio di metri ci porta a una strada di campagna, portandoci a un bivio. Di fronte ad esso noi deviamo a sinistra, e procediamo su questa strada che, grazie alla salita appena fatta, ci regala sulla sinistra un primo panorama sui territori limitrofi a Tredozio. Inoltre, a rendere questo tratto particolare, sugli alberi che sulla sinistra costeggiano la strada vi sono dei cartelli pubblicitari vintage della Coca Cola; ignoro il motivo per cui si trovino lì, ma hanno catturato in modo positivo la mia attenzione.

Finita questa tratta sterrata incrociamo una via asfaltata, ovvero Via S.Giorgio: giriamo a destra, e dopo pochi metri incontriamo uno stretto tornante che da inizio a una dolce salita che dovremo percorrere per un chilometro o poco più. Il punto in cui il percorso devia si trova all’altezza di una casa di campagna (alla nostra sinistra), facilmente riconoscibile per il grande casolare che ha di fronte, al cui fianco si trova una grossa quercia. Per orientarci meglio, sulla vallata alla sinistra della casa si scorge un lago artificiale, che se visto in una bella giornata di sole dà vivacità a un panorama degno di una breve sosta.

Arrivati qui, il percorso continua sulla destra, immergendosi nel bosco. L’inizio di questa stradina è segnalata con un cartello “Il percorso continua sulla strada asfaltata”, ma io consiglio di prendere qui la deviazione per comodità.

Il sentiero è ben segnato dalle solite strisce bianco-rosse del CAI, ed è diretto al Villaggio di Monte Busca. Sono da segnalare due punti in cui bisogna stare attenti.

Poco dopo la prima casa che incontriamo c’è un bivio con una strada a destra che scende e una a sinistra che va dritta in piana: qui teniamo la sinistra.

Arrivati alla seconda casa, il sentiero ci fa costeggiare il lato sinistro di essa: dopo una cinquantina di metri troveremo un cancello alla nostra destra con su scritto “Bestiame al pascolo”, e che ci collega a una strada sterrata. Lo apriamo e richiudiamo per bene, dato che siamo in proprietà privata. Per dare un ulteriore riferimento, una volta passato questo cancello possiamo vedere l’insegna di legno che indica il nome della proprietà (Fondo Sacco).

 

 

VILLAGGIO MONTE BUSCA 

Arrivati a Villaggio Monte Busca il sentiero 571 si interseca con il 553.

Siamo ora nella cima di un monte che in materia di fatti storici non ha nulla da invidiare; tra miti e dati accertati, sia nella storia antica che recente è stato luogo di avvenimenti che non possono non destare curiosità e fascino. A proposito di ibridi tra leggende e fatti certi, quello che personalmente preferisco e che mi attrae di più è l’affermazione di alcuni studiosi che Annibale, nel 218 a.C., iniziò l’attraversata dell’Appennino per scendere verso Roma proprio partendo dal valico del Monte Busca.

Passando ai dati certi, il primo Cicerone a cui mi sono affidato per questo Giretto è Michelangelo Gentilini, giovane tredoziese appassionato del luogo in cui è nato e cresciuto, così come della sua storia e delle zone limitrofe ad esso. Del Villaggio Monte Busca si fa veramente fatica a trovare informazioni, ed entrare in contatto con Michelangelo è stata una fortuna, nonché un’altra piacevole conferma di come allo spopolamento che vivono queste terre da decenni si stia in realtà avviando – gradualmente – una dinamica inversa di ritorno (o decisione di rimanere) a una vita più calma da parte delle ultime generazioni. Certo, per la maggior parte si tratta di una scelta accompagnata dalla necessaria ricerca di un compromesso con le più banali esigenze della vita moderna (un’ottima connessione ad Internet per esempio, o infrastrutture comode per andare a lavoro), ma con un po’ di sacrificio – come spiega Michelangelo – la soddisfazione è assicurata.

Tornando al Giretto, egli mi ha raccontato di come questo Villaggio sia sorto e in parte decaduto. Quel poco che si sente dire in giro è che sia nato esclusivamente per l’esigenza, nel secondo dopoguerra, di valorizzare questa zona per la possibilità di creare un metanodotto grazie al giacimento sotterraneo palesato dalla fuoriuscita di metano distante poco meno di 2km (il famoso “Vulcanino”). Progetto già tentato da Mussolini negli anni ’30 (ne parliamo nel paragrafo successivo), sì, ma realmente preso in considerazione e portato avanti solo negli anni ’60, durante quella crisi economica che vide i prezzi della benzina salire alle stelle. Parliamo di anni in cui il sindaco dell’epoca (Libero Bandini) era impegnato a trascinare Tredozio nello scatto da un’economia prevalentemente agricola ad una che invece presentasse tracce solide di industrializzazione: sforzo che valse la pena in certi ambiti (Tredozio è ad oggi un’eccellenza italiana nel mercato di produzione artigianale di calzature), ma che in questo caso si può dire fu un progetto non andato a buon fine. In quegli anni gli esiti dei rilievi per la possibilità di estrarre metano avevano – ovviamente – tempi di attesa più lunghi, troppo per aspettare: le prospettive sul potenziale di questa zona erano più che buone, perciò si iniziò a costruire un posto che potesse accogliere un flusso di persone sia turistico che residenziale. Avrebbero potuto tenere conto di un forte indizio storico sulla difficoltà nella lottizzazione della zona, suggeritoci sempre da Michelangelo, ovvero che quella del Monte Busca è l’unica delle “cime” limitrofe a Tredozio dove non sorge una chiesa.

Ad ogni modo, il Villaggio ha avuto (ed ha tutt’ora) modo di vivere ed essere vissuto: in primis, grazie l’albergo-ristorante a destra della strada, che una fonte scritta fornita dal nostro Cicerone ci dice essere risorta dalle ceneri della vecchia casa padronale, distrutta dagli eventi bellici della seconda guerra mondiale (il 22 giugno 1944 fu qui sgominata una formazione SS dalla banda partigiana Corbari-Casadei), al quale è stato attribuito il nome di “Caverna del Monte Busca”; in secondo luogo, grazie all’unica discoteca – ancora all’attivo, sebbene poche volte l’anno – di Tredozio, la “BruscaDisco anni ‘70”.

Ringraziando Michelangelo, torniamo ora sui nostri passi: superando queste due ultime, resilienti icone di un monte difficile da domare, troviamo una scalinata in pietra sulla destra. Seguiamo la segnaletica CAI, che a fine della scalinata con un paio di tornanti ci fa girare prima a destra e poi a sinistra. Arriviamo in una strada a vicolo cieco, che termina con l’entrata di un’abitazione. Poco prima di essa, sulla destra, c’è un cabinotto con una salita abbastanza rustica al suo fianco. Da qui saliamo e, stando sempre attenti alla segnaletica, ci facciamo guidare da essa fino ad incrociare una strada sterrata (Via Solare di Sotto).

È a questo incrocio che inizia la deviazione verso il Vulcanino di Monte busca: 1,8km sia per andare che per tornare, ma che valgono decisamente la pena di essere percorsi. Arrivarci è semplice: percorriamo in discesa Via Solare di Sotto e, una volta arrivati alla piccola rotonda del Villaggio, prendiamo la prima uscita a destra fino a ricollegarci con Via Monte Busca. Tenendo sempre la destra, dopo poco meno di un chilometro si arriva al Vulcanino.

 

 

IL VULCANINO DI MONTE BUSCA 

Il Vulcanino di Monte Busca è sicuramente tra le attrazioni più spettacolari dell’Appennino Faentino.

Si tratta in realtà di una fontana ardente, perciò, in questo caso, chiamare questo fenomeno vulcano o vulcanino è un errore. Difatti, viene da molti chiamato “il vulcano più piccolo di Europa”, ma, nonostante la realtà dei fatti, alla fine anch’io sento di abbandonarmi a questa sua denominazione popolare, poiché l’alone di fascino che gli è stato disegnato attorno lo rende sicuramente più suggestivo e avvincente di come lo vestirebbe la verità scientifica.

Data la sua fama, ci si può aspettare che di informazioni a riguardo – storiche e non – se ne possano trovare a iosa. E in effetti è così: ciò mi ha permesso il lusso di avvalermi di un secondo Cicerone, che ho deciso di contattare a riconferma della risorta attenzione romantica dei giovani romagnoli verso l’Appennino.

Ciò mi ha portato a conoscere Lorenzo Taccioli, fondatore di un blog il cui focus principale sono i borghi, le città e la natura della nostra penisola, che ha saputo unire magistralmente i mezzi di informazione più “moderni” con il bisogno senza tempo di tenere salda la memoria della propria terra, Romagna o Italia che sia. Troviamo le sue spiegazioni più dettagliate riguardo al Vulcanino qui.

Invece che consultare e trascrivere ciò che potevo trovare sul web da altre fonti più istituzionali, ho scelto di introdurre Lorenzo come Cicerone per la spontaneità che traspare dal suo lavoro, o meglio dal suo tempo libero, e valorizzarlo: questo perché come lui stesso mi ha rivelato “tutto quello che viene pubblicato è quello che mi piace fare nel tempo libero, poiché nel resto del tempo lavoro in un’agenzia creativa di cui sono il project manager e ne gestisco il team di lavoro”. Per questo motivo, sono più che felice di condividere con voi il suo impegno: da cosa nasce sempre cosa, e ogni volta mi piace vedere come camminare in natura, in un modo o nell’altro, mi porti a scoprire questo genere di persone.

Oltre a ciò, si aggiunge un’altra curiosità suggerita sempre da Michelangelo: se qualcuno vi introducesse al dibattito su di chi sia la “proprietà” del Vulcanino, se di Portico o di Tredozio, sappiate che la risposta giusta è la seconda. Nonostante Portico si avvalga del fatto che la fiamma ardente stia nel suo versante del monte, la difesa del territorio di quest’ultima è sin dal Medioevo a carico del Castello di Monte Sacco. Anche se il castello è andato distrutto secoli fa, l’ultimo statuto a cui si può fare riferimento è proprio del comune di Tredozio, a cui apparteneva il territorio del fortino, e che afferma l’eredità di questa protezione. I secoli passano, ma carta canta.

 

 

CHIUSURA DELL’ANELLO 

Il tratto di ritorno verso Tredozio non ha bisogno di molte indicazioni, è ben segnalato e c’è bisogno di attenzione in quattro punti.

Tornando indietro per Via Solare di Sotto, continuiamo su di essa fino ad incrociare il sentiero 569. L’incrocio vede quest’ultimo sentiero iniziare con una discesa alla nostra destra, che troviamo all’altezza dell’abitazione con numero civico 12.

Arrivati all’agriturismo Ca’ de Monti, tenere la destra e continuare a scendere.

A un certo punto ci si imbatte in una radura, e in fondo ad essa una grande casa di campagna. Sul suo cancello possiamo notare le strisce bianco-rosse del CAI: si apre il cancello, si richiude e si continua costeggiando la casa sulla sinistra.

Usciti dal bosco ci troviamo di fronte ad un’altra radura: alla prima abitazione che incontriamo sulla sinistra andiamo dritto una trentina di metri e giriamo a sinistra, percorrendo la strada sterrata; percorrendo quest’ultima ci si trova di fronte a una casa leggermente diroccata, e tenendo anch’essa alla nostra sinistra curviamo a destra rimanendo nella radura e seguendo il sentierino che si intravede a malapena nel prato che stiamo calcando.

Percorrendo un altro paio di chilometri ben segnalati si arriva a Tredozio.

 

 

MAGNÊ 

La scelta del posto in cui andare a mangiare è stata abbastanza casuale, dettata dalla classica voglia di fermarsi nel posto che più ispira lungo la strada. Per fortuna in questi borghi appenninici è difficile sbagliare, e capitando alla Locanda Guelfo ho scoperto un luogo perfetto per finire il Giretto.

Appena si mette piede nel locale si nota subito la cura nei dettagli, ai miei occhi decisamente azzeccati per dare alle sale un tono a suo modo elegante, ma che, comunque, non si priva di quella sensazione di accoglienza casereccia romagnola.

Casereccia ma non per questo incurante di chi si siede a tavola: oltre al servizio gentile ed impeccabile, il menù propone un perfetto compromesso tra tradizione e ricerca innovativa del gusto. Con chi mi ha accompagnato ho condiviso due piatti che rispecchiano perfettamente questa caratteristica: cappelletti tredoziesi con crema di parmigiano, croccante di guanciale e semi di papavero tostati da una parte, e pappardelle rosse della Nonna con aglio fondente dall’altra. Una maniera sublime per finire un altro Giretto che, del buon vivere, anche questa volta ne ha saputo gustare sia fatiche che piaceri.

 

Link per consultare il percorso. Ciceroni: Michelangelo Gentilini e Lorenzo Taccioli.

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Sono ragazzo faentino di 25 anni fortemente innamorato della propria terra, la Romagna. Le mie passioni principali sono viaggiare praticando trekking, cucinare e scrivere, ma soprattutto la costante ricerca dello stupore: è proprio quest’ultima mia tendenza ad essere la brace ardente che tiene viva la fiamma delle altre. Tutto ciò si traduce in una vita dinamica – a volte troppo – in cui cerco di voler scoprire sempre di più, di passare ininterrottamente da un’esperienza all’altra; e documentare ciò che scopro, cercando di trovare sempre il miglior modo possibile per esprimere le sensazioni che ho provato.