Cos’è un GAP? Note sulla feroce tombola calviniana di Ateliersi

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ph Paolo Cortesi

 

«Ogni tempesta comincia con una singola goccia. Cercate di essere voi quella goccia»: in queste poche parole della lettera-testamento dell’anarchico e antifascista Lorenzo Orsetti detto Orso, lette in proscenio dall’adolescente Ahmed Lejri al termine del Dialogo ludico sulla Liberazione di Ateliersi troviamo la sintesi, e il rilancio, del folgorante [gæp] Cos’è un GAP?, che Fiorenza Menni e Andrea Mochi Sismondi hanno allestito nel 2019 e ora ripreso (noi vi ci siamo felicemente imbattuti il 5 aprile scorso al Teatro Comunale Laura Betti di Casalecchio di Reno, in occasione del nuovo debutto).

Il dispositivo in cui si è immersi procede, apparentemente e letteralmente, come una tombola.

Ambo, terna, cinquina e tutto il resto.

In premio: libri.

Al posto dei numeri, frammenti del primo romanzo di Italo Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno, che ogni spettatore-giocatore può ritrovare, se fortunato, su una cartella che gli è stata consegnata in apertura.

A condurre il gioco, in scena, Rossella Dassu, Eugenia Delbue, il già nominato giovanissimo Ahmed Lejri e lo stesso Andrea Mochi Sismondi, mentre Fiorenza Menni è in regia seduta fianco a fianco con Vincenzo Scorza, co-autore, assieme a Hazina Francia, del denso, trascinante tappeto sonoro su cui tutto accade.

Trascinante, ammaliante, avvincente: attraverso il meccanismo antico della tombola ci si ritrova a essere tanti ii, per dirla con Edoardo Sanguineti, che danno corpo a un noi che applaude a ogni vittoria (ambo! cinquina! tombola!!), ma il cui incrollabile entusiasmo è ogni volta annichilito da un fragoroso scoppio di bombe durante la consegna dei relativi premi.

 

ph Stefano Scheda

 

La cronaca internazionale di queste settimane non può che echeggiare, in quello che accade qui, ma ciò non faccia pensare a una mera, finanche furba riproposizione scenica, a mo’ di instant book, di fatti nella bocca di tutti, così come il riferimento a Calvino, approssimandosi (nel 2023) il centenario della nascita con la relativa maggior vendibilità dei prodotti culturali a lui collegati (dinamica che, nel sempre più stanco e svuotato sistema delle arti dal vivo del nostro Paese, almeno un po’ paga: alzi la mano chi, anche solo come fruitore di accadimenti d’arte dal vivo, nel 2021 è passato indenne dal settecentenario dantesco o, quest’anno, dal centenario pasoliniano… Ecco, appunto).

Nel caso di [gæp] Cos’è un GAP? l’operazione è più radicale, perché problematizzante.

La raffinata elaborazione del testo, ad opera di Andrea Mochi Sismondi, agisce in maniera iconoclasta sulle parole di Calvino: come giocatori-spettatori ci si ritrova a trattare frammenti in cui si evocano spari, armi, percosse, morti e paure come fossero semplici numeri, utili per un ambo o una cinquina.

Senza neanche troppo allargare o teorizzare, ci si accorge che è esattamente quel che si fa, ahinoi, quasi ogni giorno, per non annegare nel fiume di disumane informazioni in cui tutti siamo immersi.

Ecco, dunque, il GAP del titolo: l’interstizio, lo spazio vuoto in cui cadere, intenzionalmente, la disponibilità ad accorgersi della propria disumanità.

Stare fuori misura, smarginare, un passo a lato dalla comfort zone che tutte e tutti ci costruiamo, ciascuna e ciascuno come meglio sa e può.

 

ph Stefano Scheda

 

Che l’avessero detto o fatti mille altri, in mille altri modi, sarebbe molto facilmente scivolato nel teatro a tesi, che nella maggior parte dei casi significa prediche, retorica, noia e poco altro.

Ma detto e fatto da Ateliersi è un’altra faccenda: anche nel panorama teatrale cosiddetto “di ricerca” o “di sperimentazione”, in cui ahinoi la standardizzazione di tópos e stilemi – dunque la riconoscibilità pro-vendibilità – è ai limiti (e spesso oltre i limiti) del copia-e-incolla, è rara quanto salutare caratteristica di questo ensemble l’esplorare con pervicace visionarietà territori liminali, formati ibridi e inaspettati, non univocamente definibili, così come ciò di cui trattano e i mondi che attraversano.

Il medium è il messaggio, direbbe qualcuno.

Significante e/è significato, direbbero altri.

«Ri-valutare l’intelligenza degli individui e dei gruppi chiamandoli a pensare e ad agire, nei fatti, per la liberazione propria e di tutti», direbbe Goffredo Fofi.

Per cercare di essere noi le gocce. E magari far cominciare, finalmente, una tempesta.