Come si ruba un Magnus? Intervista a Davide a Toffolo

0
13
ph Paulonia Zumo

 

Nell’ultima graphic novel di Davide Toffolo due artisti si incontrano grazie ad un fumetto metatestuale, che parla di questa forma di scrittura fatta di idee geniali ed originali ma anche di pseudo furti, poiché il fumetto è caratterizzato dalla riproducibilità, fatta in primis dagli autori che disegnano spesso più tavole simili o identiche, o che si servono di altri disegnatori per permettere ai loro personaggi di vivere all’interno di forme narrative seriali.

Come si ruba un Magnus? Ce ne parlerà l’autore giovedì 16 giugno in una chiacchierata con Carlo Lucarelli per il MystFest a Cattolica.

Cosa ti ha fatto avvicinare a Magnus?

L’età, perché quando ero ragazzino i suoi fumetti erano presentissimi, a 8 anni mi sono innamorato di Alan Ford ma soprattutto mi sono innamorato del suo segno specialissimo, e poi ho avuto la fortuna di crescere come lettore parallelamente alla sua crescita artistica. E’ stato un ricercatore del linguaggio, partito come disegnatore di fumetti popolari per poi diventare un autore segnante per la graphic novel. Come rubare un Magnus l’ho fatto per due motivi, uno sentimentale mio e poi per un motivo reale e cioè che la vita di questo autore è stata così romanzesca che per raccontarla bastava mettere insieme i pezzi e scriverla.

Ma tu quindi Magnus l’hai conosciuto?

Sì, l’ho conosciuto di persona. Questo fumetto si chiama Come rubare un Magnus, ma nella mia vita ci sono stati diversi furti delle opere di Magnus. A 13 anni quando ho vinto il premio del decennale di Alan Ford, ovvero il concorso dove cercavano il nuovo disegnatore di Alan Ford, quella è stata la prima cosa incredibile che mi è successa da bambino. E poi a metà degli anni ’90 feci parte del gruppo di lavoro messo insieme dalla Casa Editrice Granata, che aveva l’obiettivo di serializzare il suo personaggio “Milady nel 3000” e io ero uno dei 4 disegnatori che avrebbero dovuto prendere in mano questo progetto, ma poi non è successo perché Magnus si è ammalato. Ah poi c’è una terza volta, perché sono stato anche allievo di Magnus, nel 1985, in questa scuola di Bologna che si chiamava “Zio Feininger”, che è stata la scuola anche di Andrea Pazienza.

Questa graphic novel alterna momenti della tua vita quotidiana in cui da una situazione quasi banale scaturisce una riflessione profonda sulla tua vita e sul tuo lavoro, che in qualche modo ti lega alla biografia di Magnus. La mia domanda è: il riferimento alla tua vita è una scusa per parlare della vita di Magnus o è la vita di Magnus a fungere da aggancio per parlare di te stesso?

Nei miei fumetti io sono sempre un attore, in particolare in questo faccio la parte di un autore di fumetti che poi è anche la mia vita… (sorride). In alcuni lavori che ho fatto, come questo, uso una parte del mio vissuto per dare una chiave fantastica più universale, il vissuto serve per rendere più credibile e reale quello che sto raccontando, sia nei fumetti che nella musica che scrivo.

Prima ho parlato del fatto che a volte la biografia di un artista può essere il pretesto per mettersi a confronto con la vita di qualcun altro, o magari di tanti altri, di modo che ognuno poi possa ritrovarcisi. Ad esempio è molto interessante l’esperimento all’interno del fumetto in cui cerchi di far vedere i fumetti con i tuoi occhi a una persona non vedente. Com’è scaturita l’idea di inserire questo personaggio nel tuo racconto?

Sì, questa è stata l’idea estrema, provare a raccontare a una persona che non vede com’è un narratore per immagini, l’ho fatto per far capire che un disegnatore non vive solo all’interno della dimensione visiva, ma piuttosto deve il suo lavoro all’immaginario. Questa è stata un’esperienza molto forte nella parte di ricerca del personaggio, per capire quali sono le problematiche di una persona che non vede, per un artista come me che usa la vista come senso principale. Non c’è una sola chiave di lettura però di questa figura, io cerco sempre di stratificare il significato di ciò che disegno.

 

 

Cambiando argomento, fra le tematiche trattate nel libro si parla anche dell’attuale valore del fumetto all’interno del mercato dell’arte. Secondo te qual è il motivo per cui quest’arte non è ancora paragonabile dalla nostra società alla pittura o per esempio alla street art?

In realtà è una questione di tempi e di mercato, succederà e per alcuni autori questa cosa è già successa. Il fumetto non è direttamente parte nel mercato dell’arte, che ha regole specifiche, ma alcuni pezzi rientrano già in questa logica, come la tavola dell’Uomo Ragno di cui si è parlato di recente o alcune tavole di Schulz. Ma quello che mi interessa dire, citando Magnus, è che il vero valore del fumetto non sta tanto nell’originale, che di solito è una specie di semilavorato. La cosa importante del fumetto è l’oggetto-libro e il concetto del libro, cioè quello che il libro racconta. Se pensi che tanti dei film sui Supereroi sono stati creati proprio grazie alla trascrizione di opere di fumetto popolare, possiamo capire quanto può diventare importane la scrittura dei fumetti.

Questo ragionamento ci porta a riflettere sulle motivazioni dell’artista in genere: in un mondo dove chi si interessa a mercato dell’arte ricerca il “valore economico” dell’opera, in questa graphic novel si può intuire che c’è un’altra strada, che è quella di ricercare il “valore dell’opera in sé”. Ci parli del valore che ha per te ciò che disegni?

Gran parte della mia vita l’ho dedicata a disegnare, tutte le energie creative che avevo le ho date a questa forma di scrittura. Il fumetto è stata la mia libertà, perché è un laboratorio artigianale minimale e per farlo non servono grandi investimenti, questa cosa mi ha permesso di fare fumetti anche nei tempi meno floridi, in cui ero povero. Si può ancora dire ”povero”? (ride). Un altro aspetto di questa forma di scrittura è che rimane una forma d’arte marginale, bellissima e forse in qualche modo più pura. Comunque la cosa più pazzesca dei fumetti è che si tratta di una scrittura elitaria, solo chi è stato morso dal morbo dei fumetti può diventare autore. Poi è un laboratorio del fare così piccolo che può stare in una borsa, cosa che mi ha permesso di disegnare in qualsiasi posto, anche mentre ero in giro a suonare. Questo l’ho imparato da Magnus, che diceva che era più auspicabile disegnare con attrezzi semplici, per poterlo fare dappertutto.

Cosa ci dobbiamo aspettare da questo incontro con Carlo Lucarelli, giovedì sera?

Di entrare all’interno della vita di un artista e di farlo in un modo che è mio, con immagini e musica, e con la presenza di un grande autore di gialli che ci permettere di acquisire una chiave di lettura su come risolvere questo mistero: capire chi rubò una delle tavole di Magnus all’interno della mostra organizzata da Paola Bristot nel 2005 a Pordenone, caso da cui scaturisce tutta l’indagine sull’autore fatta all’interno del fumetto.

E a livello musicale?

Suonerò più o meno nella struttura che Magnus dichiara essere quella giusta per ascoltare le cose, ovvero quella che sottende alla mano dello sceneggiatore. La mano sinistra è quella che conta le cinque fasi della narrazione: prologo, personaggi, azione, finale, epilogo. Così sarà scandita la mia musica.

CATERINA CARDINALI