Sovvertire il tempo, a Londra

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Il fatto è che a Londra trovi di tutto e in genere se cerchi qualcosa c’è. Il tempo a disposizione è un indicatore relativo, può causare stati di saturazione sia che se ne abbia poco o molto. Nel mio caso era poco, con valigia al seguito e un treno da prendere direzione campagna, East Sussex.

Dopo aver camminato e in parte sostato tutta mattina ai Kyoto Gardens di Holland Park, desideravo un’esperienza di raccoglimento, un guanciale d’erba per così dire, in grado di attutire l’impatto scenico della metropoli.

 

 

La Woolf nel racconto breve A zonzo: avventura londinese è alla ricerca di una semplice matita ma lo fa con il piglio della “street haunter”, un termine non facile da tradurre perché letteralmente suona come “colui o colei che infesta le strade”, nel flusso ininterrotto della città. E’ un andar per strada dove l’andamento dei pensieri segue il movimento casuale degli abitanti della città. Lei si dava sempre dei piccoli compiti, tipo comprare un bottone, un nastro per incartare un regalo, una penna anzi una matita dalla mina morbida.

Io cercavo una tazza di tè.

Non cercavo una tazza di tè qualsiasi, cercavo la mia (possibilmente giapponese) e non sapevo dove l’avrei trovata.

Mi era già capitato di berne a Londra ma, come accade nelle grandi città, non puoi davvero far affidamento su nulla: Google Maps mi diceva che quel luogo non esisteva più. Allora ho scelto la sala da tè più vicina, perché il mio amato East End era davvero troppo lontano da raggiungere nel tempo a disposizione. Decido di prendere un autobus, di quelli a due piani, e di godermi le strade dall’alto, stringendo la valigia tra le ginocchia. L’indirizzo è Denman Place a Soho, il che stride con la mia idea di Londra: troppo centrale, troppo affollata, troppo turistica. Quando arrivo davanti al piccolo negozio che fa angolo tra la strada e una galleria coperta vedo un foglietto appeso alla porta che spiega che è in atto un “private tutorial” e riapriranno alle 13.00. L’orario del treno si avvicina e l’idea del “tutorial” mi mette a disagio, mi ricorda un’idea asettica di apprendimento a distanza ma mi convinco che sono mie interpretazioni soggettive. Decido che non ho meglio da fare se non aspettare ed entrando nella piazzetta esclusiva sui cui si affacciano boutique e gallerie precluse alle mie possibilità, cerco una seduta qualsiasi per poi scoprire che sono tutte riservate ai prestigiosi avventori dell’hotel. Mi siedo comunque pensando alla frase che dirò se venissi colta in flagrante ma nessuno si avvicina, nessuno mi degna di uno sguardo. All’una in punto mi affaccio alla vetrina e noto che il “tutorial” sta terminando. Entro.

 

 

Andando a ritroso posso dirvi che la tazza di tè l’ho bevuta ma complice l’ansia della partenza non ne ho tratto nulla di intenso come avevo desiderato. Mi sono lasciata persuadere nel concedermi una seconda possibilità ovvero prenotare un tea tasting per l’inizio della settimana successiva. Poi ho preso il treno e ho accantonato la promessa di quell’esperienza per tutti i giorni che ho trascorso lontana da Londra, nella quiete dei South Downs.

Arriva lunedì, scampata alla marea della Victoria Station rifaccio il percorso di qualche giorno prima, appagata stavolta dalla beata sicurezza che avrò la mia tazza di tè. Mentre si compie l’attesa mi perdo a curiosare nelle viuzze laterali, sbircio la piazzetta esclusiva, noto che molti negozi sono chiusi e il paesaggio umano è sovvertito: rumorosi lavori in corso, operai affaccendati, dog sitter tentacolari, i passi frettolosi di chi non ha proprio tempo di guardare le vetrine. Io invece il tempo ce l’ho ma è quello del fuori, delle cose che sbattono e urtano, di quel “nastro perpetuo di vedute, di suoni e movimenti in costante mutamento”*.  Sulla porta un fogliettino indica che la riapertura è posticipata e penso che quello sul foglio è il mio tempo, anzi no è un tempo a disposizione, che non è la stessa cosa. Entro.

Ricordo l’invito asciutto ad accomodarsi su uno sgabello, la mia richiesta imbarazzata di ricaricare il cellulare, questo oggetto che lì dentro, soprattutto, acquisisce un peso ingombrante ma meno della valigia che trova invece riparo sotto una mensola. Non mi servono. Sfoglio il libro che poi acquisterò, Tea stories: Japan, ma lo faccio in modo distratto perché penso ai rumori della strada e a quanto siano inopportuni, stonati, a quanto mi manchino i suoni agresti dei giorni precedenti. Dal libro, però, riconosco la bella signora bionda che sta preparando l’occorrente per l’incontro e leggo il suo nome, Ausra*.

Ausra è un altro suono che si immette tra me, il fuori e il dentro. Gradualmente si fa spazio un altro tempo: nel tocco di quelle porcellane e dei vetri che tintinnano appena, nel bollitore acceso che invita a prendere posto al banco centrale, nelle numerose piccolissime tazzine bianche. Regnano semplicità e pulizia, una metodica del gesto, pochi essenziali elementi.

Vi hanno mai chiesto se conoscete una cosa in particolare? E voi rispondete di sì senza esserne poi davvero certi. Mentre rispondo su quale sia il tè giapponese che prediligo mi ascolto affermare “chissà cosa ho bevuto e come l’ho bevuto fino adesso”. In quel tempo disarticolato fluiscono nella mia bocca e nel mio naso liquori del tutto sconosciuti dai nomi conosciuti: Shizuoka Sencha, Uji Gyokuro, Kukicha, Hojicha, Kiobancha.

 

 

“Udire l’indicibile, contemplare l’invisibilescrive Kakuzo Okakura. Risfoglio il libro che ho acquistato, tengo il segnacolo sempre fisso ad una pagina e rileggo “Gyokuro is a study of subtlety“. Questo è un invito a provare, a ribaltare la prospettiva di una città, dei suoi perimetri percorsi da sciami umani, andando alla deriva.

Il libro che consiglio è Lo zen e la cerimonia del tè di Kakuzo Okakura, da leggere anche se non appartenete al popolo del tè perché riesce a far scaturire note di cui forse siete ignari. “Per chi è nella giusta disposizione d’animo, il capolavoro diventa una realtà viva“, a me quel giorno è accaduto.

Se siete a Londra, magari vagate con una valigia, senza familiari possessi o porte conosciute, potrete riportare con voi un tesoro della città e di un altrove, una matita o la vostra tazza di tè.

 

*Virginia Woolf, Londra in scena, Mondadori
* Ausra Burg  è la proprietaria di My cup of tea, 5 Denman Place, London