Con “Miracle: Letters to the President” la Corea del Sud vince il Far East Film Festival

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Ogni persona possiede, da sempre, una storia e un sentimento che conserva gelosamente dentro di sé.

Ma per comprendere poco alla volta il collegamento (passato, casa, ricordo) che il regista Lee Jang-hoon crea in Miracle: Letters to the President, prendiamo in prestito questa affermazione del filosofo francese Henri Bergson: “Il passato ci segue, tutt’intero, in ogni momento: ciò che abbiamo sentito, pensato, è là, chino sul presente, che vorrebbe lasciarlo fuori. Noi siamo il nostro passato”. Il Teatro Nuovo Giovanni da Udine accoglie, come in un grande abbraccio, il pubblico della ventiquattresima edizione del Far East Film Festival, che ha deciso di premiare con il Gelso d’Oro, questo dolce inno al potere dei sogni, poiché tocca lo spettatore lentamente e permea, decretando così la vittoria della Corea del Sud sugli altri concorrenti.

E noi, presenti in sala, ci sentiamo privilegiati perché questa a cui stiamo assistendo è una delle tredici World Premiere del Festival.

Un mix a dir poco perfetto tra musica jazz e versi buddisti.

 

 

Uscito nelle sale il 15 settembre 2021, in coincidenza con le festività del Festival Chuseok, al botteghino si colloca all’8° posto tra i film coreani del 2021 in Corea del Sud, con un incasso di 5,61 milioni di dollari e 715.608 spettatori, e per non farsi mancare nulla secondo il Korean Film Council, Miracle: Letters to President è al terzo posto al botteghino coreano nel weekend di apertura.

Segnaliamo che il capolavoro in questione ha già vinto i seguenti premi: Miglior attrice non protagonista a Lee Soo-kyung presso il 58° Baeksang Arts Awards e il Premio Stella Popolare a Sono Yoon-ah presso il 42° Blue Dragon Film Awards.

Ma facciamo un passo alla volta. Ambientato negli anni Ottanta, in un piccolo villaggio di montagna di una regione arretrata della Corea centrale, Gyeongsang settentrionale. Privi di strade che colleghino il villaggio al mondo esterno, gli abitanti sono letteralmente tagliati fuori dalla civiltà. Sebbene ci siano dei binari ferroviari che attraversano l’area, non c’è alcuna stazione e quindi il treno semplicemente passa senza fermarsi. Gli abitanti del villaggio che hanno la necessità di andare in qualche città limitrofa ci vanno a piedi lungo i binari, fino a raggiungere la stazione più vicina, impiegandoci ore qualunque sia la direzione presa.

Il protagonista Jun-gyeong (interpretato da un incredibile Park Jeong-min) ha diciassette anni ed è, sin da piccolo, un genio in matematica. Ha difficoltà nei rapporti sociali e come gli altri abitanti del villaggio cammina regolarmente sui binari compiendo un viaggio di cinque ore al giorno per andare a scuola. Ma il percorso non è solo lungo, è anche pericoloso, con gallerie e ponti da attraversare. Essendo stato egli stesso testimone di incidenti terribili decide di dedicarsi al compito di risolvere il problema. La soluzione migliore, secondo lui, è quella di costruire una stazione ferroviaria all’uscita del villaggio, in modo che i suoi abitanti possano salire sul treno ed evitare il viaggio a piedi.

L’idea di Jun-gyeong è caldeggiata anche dalla sorella maggiore, Bo-gyeong, che con lui ha un rapporto profondo e celeste. Invece il padre, un uomo schivo e poco comunicativo che sembra ancora tormentato dalla morte della moglie avvenuta anni prima, cerca di dissuaderlo; lui, che era stato macchinista, conosce perfettamente gli ostacoli burocratici che possono intralciare il piano del figlio, e il solo fatto di sentirne parlare sembra irritarlo.

 

 

Un’azione che Joon-kyeong svolge regolarmente è scrivere una lettera al Presidente, chiedendo appunto di costruire una stazione. Sono passati anni, tante lettere sono state inviate senza ricevere risposta, ma la parola “arrendersi” non è nel dizionario di Joon-kyeong. Queste missive continuano a essere scritte, anche con l’aiuto di una compagna di scuola, Ra-hee, di famiglia benestante e che vive in una città più grande.
È lei a dargli il sostegno maggiore, aiutandolo a mantenere una corrispondenza con l’ufficio del Presidente.

Nonostante il regista usi la parola miracolo nel titolo, la macchina da presa ci parla di qualcosa di molto più vicino, vale a dire casa, legame e desiderio. Sia casa come luogo, sia persone che sono l’obiettivo di tornare a casa. L’uso del colore di Kim Tae-soo è realizzato talmente bene che fa assaporare, per tutta la durata del film, un’atmosfera antica, quasi malinconica.

Infatti, sin dalle prime inquadrature lo spettatore riesce a percepire l’aria di altri tempi, con grazia e delicatezza, Lee Jang-hoon tratteggia la storia ed i suoi protagonisti facendoli vibrare di passione, che sia inespressa o palesata, raccontandola altresì con immagini suggestive ed evocative ma con tocco leggiadro, coinvolgendo empaticamente lo spettatore sia nel dramma che nella commedia. Non mancano infatti, nell’equilibrata costruzione della narrazione, momenti di commozione intrecciati con altri di candida comicità, di cui memorabile rimarrà quando, a sugellare uno dei momenti clou, saranno le note di Reality del Tempo delle Mele.

 

 

Sebbene sia stato parzialmente romanzato, Miracle: Letters to the President si basa su una storia vera che è altrettanto eccezionale. Opera seconda del regista Lee Jang-hoon, che ha dimostrato un inconsueto talento per la narrazione struggente nel suo film d’esordio, Be with You (2018). Anche in questo film Lee mescola l’umorismo a un tono dolcemente nostalgico, con alcuni momenti che colpiscono lo spettatore con forza considerevole.

Negli scorsi decenni, il genere melodrammatico era un caposaldo del cinema coreano, ma l’industria cinematografica oggi lo ha quasi completamente accantonato. Per questo è stato incoraggiante vedere arrivare un regista in grado di portare il genere su un livello diverso.

Altro aspetto molto emozionante, è stato sentire la lingua del luogo, il Gyeongsang-do satoori, pronunciato per tutto il film. Forse, però, l’interpretazione più toccante è quella dell’attrice al quarto posto nei titoli: Lee Soo-kyung (interprete in The Odd Family: Zombie on Sale di Lee Min-jae), la sorella di Jun-gyeong.

“Bisogna aprire le porte, uscire e andare avanti”. Questi due fratelli fanno prendere vita allo schermo in ognuna delle scene in cui appaiono insieme, ed è ciò che gli spettatori forse, oltre il toccante finale, ricorderanno maggiormente di questo film triste ma edificante.

Preparate i fazzoletti perché le lacrime scendono da sole, ma vi possiamo assicurare che si ride di gusto… 117 minuti in cui lo spettatore prova molteplici sensazioni, anche quelle che non ha potuto vivere anagraficamente.

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Dreams are my reality
The only kind of real fantasy
Illusions are a common thing
I try to live in dreams
It seems as if it’s meant to be
(Reality – Richard Sanderson)

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Da quando ne ho memoria, questi sono i miei più grandi amori: canto, teatro, lettura e cinema. Sono una Studentessa del Corso di laurea DAMS presso l’Università degli Studi di Messina. Appassionata di storia dell’arte, letteratura, storia, musica, fotografia e di mummie, il palcoscenico ha fatto parte della mia vita dall'età di 6 anni e da allora non l’ho più lasciato, in qualsiasi veste. Allieva Regista per la Summer School alla Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi di Milano, amo scrivere, in particolar modo poesie e racconti. Pratico volontariato dall’età di 10 anni e Gagarin è la mia prima collaborazione di scrittura come aspirante critica cinematografica.