I tanti ii di Santarcangelo Festival

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ph Pietro Bertora | Santarcangelo Festival 2022

 

I tanti ii evocati da Edoardo Sanguineti tornano alla mente accingendosi a qualche nota sull’edizione 2022 di Santarcangelo Festival, che abbiamo seguito moltissimo e non abbastanza.

Moltissimo: siam stati presenti a sette su dieci giornate, abbiamo attraversato decine di luoghi e mondi che più diversi fra loro non si può.

Non abbastanza: perché la vastità -se è caratteristica di qualsiasi forma umana et ultra, e qualsiasi persona almeno un po’ attenta ben lo sa e lo sperimenta ogni giorno- in questa edizione è assunta a tema, finanche a manifesto si potrebbe dire recuperando un termine desueto e battagliero, qui rinnovato con lampi e visioni.

Il nuovo direttore Tomasz Kireńczuk (quando fu resa nota la sua nomina, nel febbraio del ’21, lo intervistammo qui), insieme a uno staff di centoventi persone ha dato la possibilità di manifestarsi, in ventidue diversi spazi, a quarantasei formazioni artistiche – di cui diciassette per la prima volta in Italia – e a un totale di centocinquantanove artiste e artisti.

Centottanta appuntamenti (di cui cinquantadue gratuiti): trentatre spettacoli, cinque concerti, dodici proiezioni, dieci talk, undici dj–set, cinque workshop, quattro giorni di mercatino vintage in piazza. Numeri che, prima e al di là di ogni rendiconto, sono corpi: fisici, sonori, luminosi, architettonici.

Altri corpi, corpi altri.

Vien da pensare a Sanguineti, ancora, alle sue Storie naturali:

Perché quando uno dice «Io» – appunto – che cosa ti pensi che pensa, in fondo? – Nemmeno lo sa, quello che pensa, veramente. – E invece, dice queste cose qui, proprio, prima di tutto – perché dice i piedi dice tante dita – e poi dice la fronte, le cosce, l’ombelico – non so – dice le ginocchia, le ascelle – no?

 

ph Pietro Bertora | Santarcangelo Festival 2022

 

Sia chiaro: nulla di nuovo.

Da sempre (o, restringendo il campo, almeno dalle molte rivoluzioni delle Avanguardie, da un secolo a questa parte) l’artista sempre più spesso si (pro)pone come soggetto ma anche oggetto del fatto artistico.

E il corpo (inevitabilmente) è il medium.

E il medium è il messaggio.

A Santarcangelo Festival -e in questa fase (post)pandemica- con le molte istanze di visibilità e riconoscimento lungamente frustrate ci pare che tale attitudine abbia preso nuovo vigore.

A scanso di equivoci: dal punto di vista di chi scrive tale connotazione “personale” è un dato del tutto neutro. Assumere a motore del proprio fare artistico i propri tanti ii, ancora, invece che le abitudini alimentari degli abitanti della Papua Nuova Guinea, l’evoluzione dell’arte preistorica, il modo migliore per cuocere il cavolfiore o i problemi di ingegneria aerospaziale non è in sé un valore né un disvalore: se è vero che la storia delle arti è innanzitutto storia del come, prima che del cosa, non condividiamo l’opinione romantica (invero affatto diffusa) che la partecipazione dell’artista (emotiva o biografica che sia) alla realizzazione dell’opera costituisca in sé motivo di interesse o di valore.

Un sé osteso ed esteso, che contiene moltitudini si potrebbe dire parafrasando un altro poeta (Whitman), ancorché declinato nelle più diverse consistenze, pare accomunare molte delle proposizioni in programma nell’edizione 2022 del Festival: un fil rouge che decidiamo di evidenziare perché ci pare significante di una tendenza in atto nel proteiforme universo delle arti performative contemporanee.

In altra sede ci focalizzeremo su tre creazioni incontrate (Commune di Maria Magdalena Kozlowska, Doom di e con Teresa Vittucci e Colin Self, Love me di Marina Otero e Martín Flores Cárdenas), in altro momento, su queste pagine, dialogheremo con una delle voci in cui ci siamo, letteralmente, imbattuti (Maria Magdalena Kozlowska).

Come cavie di laboratorio utili al nostro piccolo discorso, invece, nomineremo ora tre opere in cui ciò che è stato dato a vedere, o più spesso a esperire, sia stato in tutta evidenza corporeo, smarginante e liminale.

Enucleiamo queste tre caratteristiche, fra le molte linee curatoriali (le specificità, i femminismi, la trasversalità, la sostenibilità, …), perché traccia a volte carsica, o più spesso emergente, di una preziosa occasione di incontro che ha fatto della larghezza il punctum e dell’inaudito lo studium, potremmo dire per restare un attimo con il sommo Barthes.

Tre opere fra tante. E non certo per merito: lungi da noi l’attitudine critica, invero piuttosto diffusa, di dar voti e raccontare solo i migliori della classe.

Il giudizio lascia spazio alla tassonomia.

Corporeo, smarginante e liminale, si diceva.

 

ph Pietro Bertora | Santarcangelo Festival 2022

 

Al corpo minuto e possente di Catol Teixeira (Brasile) è toccato in sorte di aprire Santarcangelo Festival 2022: un piccolo pieno in mezzo a un grande vuoto, si potrebbe dire con Beckett, questo accadimento -che nel titolo rimanda alla pelle tra le dita– sviluppa su un territorio pienamente epidermico, appunto, un misterioso rituale in cui alcune consistenze e persistenze mimetiche (nascondersi tra la folla, diventarne parte) dialogano ritmicamente con andamenti lievi, sospesi, interposti a esplosioni cinetiche che quasi lasciano tracce percepibili nello spazio (come non pensare alle monocromie del meno ostico fra i mitici Azionisti viennesi, Arnulf Rainer)?

Agisce per insistite, sfiancanti reiterazioni (basculare, rotare il busto, fletterlo in avanti) questa proposizione misteriosa e ammaliante: un’idea e una prassi di arte come esperienza, lontanissima da ogni intento narrativo, che il pubblico può ricevere per via cinestetica, grazie all’empatia con ciò che accade in scena che anni di studi sui neuroni specchio hanno ormai anche scientificamente validato. Catol Teixeira revoca la figura dello spettatore riformulandone il ruolo in termini di partecipazione e mobilità nello spazio. Non opera d’arte, dunque, ma opera dell’arte. la peau entre les doigts, questo il titolo originale, è una performance che dà luogo a un corpo collettivo, mobile, multiforme.

 

ph Pietro Bertora | Santarcangelo Festival 2022

 

Smarginante, si diceva: si potrebbe forse dir questo, letteralmente, di Echoes di Cristina Kristal Rizzo, la cui fruizione è sdoppiata tra il qui e ora della scena davanti ai nostri occhi e il qui e allora della medesima scena ripresa e trasmessa in diretta streaming.

La doppia visione comporta, o almeno alimenta, una percezione temporalmente sfalsata e prospettivamente rovesciata: occasione per guardarsi guardare, direbbe il filosofo.

Meglio: per accorgersi del proprio sguardo.

Vien da pensare al progetto Verifica di esistenza di Franco Vaccari, in cui il visitatore si trovava appaiato all’immagine che di sé era appena stata realizzata, durante l’attraversamento dello spazio espositivo.

In Echoes ciò accade sia ai corpi danzanti che a quelli guardanti: si è insieme, in una comune sperienza di delocazione.

Ancora: nel 1735 Alexander Baumgarten, in un suo breve trattato pre-Aesthetica, ragiona sulle idee, distinguendole tra noetà (quelle “pensate”) e aisthetà (quelle “sentite”), a loro volta suddivise in sensualia (le sensazioni percepite col corpo, qui e ora) e phantasmata (le “sensazioni assenti”, di cui resta traccia nella memoria o che sono prodotte dall’immaginazione).

È proprio lì, nella fessura tra sensualia e phantasmata, che si collocano le evanescenti, smarginanti figure di Echoes.

 

ph Pietro Bertora | Santarcangelo Festival 2022

 

Liminale.  Igor Cardellini e Tomas Gonzalez (tra le loro molte collaborazioni, in comune un nome certo significante: Jérôme Bel) hanno proposto al Centro Commerciale Le Befane di Rimini l’esperienza L’Âge d’or.

Armati di cappellino azzurro, cuffie e borsetta con logo, qualche decina di spettattori sono stati accompagnati dalla straordinaria performer Emilia Verginelli in una sorta di visita guidata negli spazi esterni ed interni dello shopping center.

“Con quella pacata amara indifferenza dell’attore che conosce i polli della sua platea”, per dirla con Ennio Flaiano, Verginelli racconta storia e caratteristiche architettoniche, astuzie e dinamiche manipolatorie di quello spazio monumentale e di chi l’ha progettato, propone piccoli esercizi di sguardo sui luoghi e sulle persone che lo attraversano, nonché una danza sfrenata con tanto di lancio di abiti e calzettini all’interno di un negozio di abbigliamento al suono della trascinante Nothing’s gonna stop us now.

Man mano che la visita procede, la componente critica rispetto alle molte induzioni al consumo di cui i visitatori sono inconsapevolmente oggetto si fa più evidente ed esplicita.

Dopo un po’ ci si trova tutti uniti contro il Centro Commerciale, se così si può dire.

Poi la visita termina, e mentre l’autobus ci riporta a Santarcangelo ci giriamo in mano i gadget che gli addetti de Le Befane hanno fornito a tutti i partecipanti.

Vien da pensare che se la Direzione del Centro Commerciale, che certo non si può definire ingenua né sprovveduta, dà la possibilità a L’Âge d’or di aver luogo nei propri spazi è perché, nonostante tutto, sa di averla vinta.

Di aver vinto in partenza.

D’improvviso ci si ritrova, accaldati e un po’ assetati, parte di un gregge: sensazione straniante e a suo modo illuminante, per noi che ci pensiamo così alternativi, consapevoli, critici.

In limine tra le regole e le dinamiche della società (dei consumi o dello spettacolo fa poca differenza, ora) e un modello altro che d’improvviso appare più vago, forse più lontano.

 

ph Pietro Bertora | Santarcangelo Festival 2022

 

Per finire: questi tre atti linguistici, utili exempla per il nostro piccolo ragionamento, ci parlano di illusione, di mistificazione, di visioni del mondo -e dei rapporti che lo regolano- determinate e parziali.

A Santarcangelo Festival 2022 sono stati inseriti in un discorso, questo ci preme ribadire, che accoglie, mette in relazione e problematizza i peculiari, radicali o al contrario ordinari e normati posizionamenti di tuttə e di ciascunə.

Un discorso in cui gli ii diventano noi: ci vogliono maestria, e una visione, a farlo accadere.

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PS grazie a →
Tomasz Kireńczuk per questa larghezza: aria dopo una salita
Irene Guzman e Matteo Rinaldini per l’invito e l’accoglienza
Laura Gemini per i puntuali e visionari resoconti, che ci han nutrito ogni giorno
Elena Sorbi, le cui scritture in questi mesi stanno raccontando con cuore, cultura e intelligenza la luminosa possibilità d’esser fuori posto
Mario Bianchi per un regalo meraviglioso (a proposito d’esser fuori posto, e di manifesti, e di Avanguardie): Storia e antologia del surrealismo di Maurice Nadeau. E per il dono della sua amicizia

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