Visita Speleologica alla Grotta Tanaccia

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QUI il link per consultare il percorso.

Cicerone: Katia Poletti.

Per l’amore della scienza 

“La divulgazione scientifica dev’essere gratuita e non una merce”.

Con questa frase, Katia ha messo la ciliegina sulla torta in una delle esperienze più affascinanti che io abbia mai fatto nelle “nostre” zone. Nella Vena del Gesso, ad essere precisi.

Una constatazione detta a cuor leggero, mentre sfogliava le pagine di manuali su lunghissime ricerche scientifiche effettuate lungo gli anni; manuali che riuniscono sforzi su sforzi da parte di gente che, per passione, ha dato vita a pura cultura su carta (adesso anche su più moderni file PDF, consultabili gratuitamente online e di cui vi metterò il link in fondo). Dunque, prima di parlarvi di come concretamente abbia affrontato la mia prima visita speleologica (sì, il Giretto n.7 scende sottoterra), più che volentieri voglio dedicare questo primo spazio a introdurre Katia, o meglio quello che ha lasciato a me e al gruppo con cui ho condiviso quest’esperienza; o meglio ancora, quello che probabilmente lascia ad ogni gruppo di persone che vuole esplorare la Grotta Tanaccia.

Questa frase Katia me l’ha pronunciata a fine percorso, quando – come di consuetudine per ogni Giretto – mi sono fermato a chiedere informazioni sul luogo appena visitato: nelle sue parole ho intravisto quello che si può definire vero amore per la scienza, incondizionato e che infonde negli occhi di chi lo prova una luce ad oggi rara da trovare. Una luce figlia sia di quella magia percepita dai bambini che, senza filtri, si perdono nelle meraviglie della natura che crescendo si danno per scontate, sia di una consapevolezza acquisita negli anni che, avendo visto come spesso il mondo degli interessi economici ombreggi quello dell’arricchimento culturale comune, valorizza chi ancora spera in una barca i cui remi vadano nella stessa direzione – e ciò che fa per rendere questa speranza ancora possibile.

 

 

La visita speleologica – Partenza

Oggi non parliamo di tracce e sentieri da seguire, poiché quella che si effettua è una visita guidata. Una visita prenotabile tramite i contatti trovati sul sito del Rifugio Ca’ Carnè o il numero di Katia (+39 338 870 5910), che attualmente si occupa di organizzare le visite alla Grotta.

Alla Grotta Tanaccia ci si arriva tramite semplici indicazioni su Google Maps (o qualsiasi altra app di mappe online); altrimenti, vi basti sapere che si prende Via Rontana una volta arrivati a Brisighella (SP23, per intenderci la strada che per vari tornanti sale verso il Monticino). Andando su per poco meno di una decina di minuti, a un certo punto troverete sulla destra il cartello marrone con su scritto “Grotta Tanaccia”, e un parcheggio dove lasciare la macchina. Lungo il sentierino che scende a destra del parcheggio si arriva alla struttura in cui ci si prepara per la visita.

Al rifugio si incontra con Katia, che mentre introduce alle prime nozioni della speleologia aiuta a vestirsi con tute e caschetti messi a disposizione dal rifugio. Questi strumenti, così come molte altre necessità della Capanna Speleologica Tanaccia, sono stati finanziati tramite i fondi del programma europeo Life+ Gypsum, a detta dell’organizzazione fondamentali per tenere in vita questa realtà. Qui si può trovare un documento che specifica meglio come questo progetto abbia aiutato.

Una volta resi idonei alla visita, si comincia a scendere lungo il sentiero che porta all’ingresso della grotta.

 

 

La Vena del Gesso: un parco unico al mondo 

Mentre si cammina, Katia spiega come il parco della Vena del Gesso Romagnola goda di fama internazionale per le sue peculiarità, tanto da essere soggetto di numerose ricerche scientifiche di ambiti diversi come archeologia, biologia, speleologia e così via.

Oltre a spiegarci anche come le rocce di questo parco raccontino le dinamiche ambientali delle ere che si sono susseguite (con cambi di clima, biomi e faune agli antipodi), mi hanno affascinato in particolare due argomenti esposti da Katia: l’uso umano di questo sito lungo i millenni e la storia che si aggira attorno alla sua scoperta.

In primis, grazie ai ritrovamenti archeologici è appurato che le zone siano state abitate nell’età del rame, del ferro e del bronzo: complici soprattutto le ceramiche ritrovate in quelle che dovevano essere le abitazioni. In secondo luogo, le statuette votive legate al culto di una divinità – probabilmente l’acqua, dal momento che in queste grotte è un elemento molto presente (se non protagonista, dal momento che si sono formate per via del corso incessante dell’acqua lungo la storia).

La sua scoperta, invece, viaggia tra mito e leggenda: è l’archeologo friulano Giovanni Mornig, detto “il Corsaro” e che negli anni ‘30 portò alla luce moltissime delle 304 grotte esplorate nel Parco della Vena del Gesso, colui a cui dobbiamo la scoperta della Tanaccia.

Nella storia recente, quest’ultima è stata coinvolta in un progetto del Comune di Brisighella non andato a buon fine: negli ultimi anni del ‘900, si è cercato di rendere questo sito di grotte la “Frasassi Romagnola”. Impianti di illuminazione, collegamenti pià facilitati per le visite: un progetto fallito che, però, ha dato vita alla Capanna dove ora si gestiscono le visite – andato in malora in quegli anni poi riportato alla vita grazie alla Federazione Speleologica Regionale dell’Emilia Romagna.

Ad ogni modo, lungo il sentiero scopriamo che l’ingresso naturale è franato da circa mezzo secolo (c’è chi dice per cause naturali, chi per colpa dell’uomo), e che l’ingresso da cui entriamo noi è di tipo artificiale. Arrivati davanti al portone di ferro, Katia apre le porte per l’inizio del tunnel da cui partirà la visita: con un paio di film horror che tornano alla mente, ci si addentra in un misto tra carica e la cosiddetta “strizza”.

 

 

L’interno della Grotta 

Non descriverò le fasi della visita per filo e per segno (come per ogni Giretto precedente), poiché per fortuna si vedono posti talmente straordinari che parole o immagini non possono tenere testa all’esperienza fisica.

Tra la Sala dei Pendenti e la Sala del Guano, così come i camini che salgono nel buio più totale e la cascatella interna, il percorso ti permette di esplorare tanti lati

di quest’ecosistema sotterraneo dalle formazioni geologiche e fauna decisamente particolari. Perciò, non vi resta che prenotare una visita!

Posso solo dire che, nel passare tra un argomento all’altro lungo il tragitto, non ho fatto a meno di notare un dettaglio che ha dato un sapore speciale a quest’esperienza: la mimica facciale di Katia, dal sorriso e pieghe del viso sempre più solari ad ogni metro guadagnato nel buio pesto della grotta. L’amore e la felicità nel fare quello che più si ama fare, nel seguire la propria passione.

La libertà di lavorare per vivere, e non vivere per lavorare

Finita la visita si torna alla capanna da cui si era partiti.

Arriva il momento di salutarsi, e di pagare il biglietto della visita (15€, se ve lo stavate chiedendo). Ed è qui che sento il bisogno di fare una premessa, al fine di non sembrare incoerente con il primo paragrafo dell’articolo: naturalmente la visita ha il suo – giusto – costo perché, come tutti ben sappiamo, il sostentamento quotidiano ogni realtà deve in qualche modo procurarselo. Il discorso che ho fatto all’inizio va un po’ più a fondo, e spero lo abbiate colto: parlo di persone che hanno fatto della loro passione l’albero maestro del proprio tempo libero, che si è amalgamato al tempo dedicato al lavoro senza creare attriti sgradevoli.

Un’amalgama che io sento di dover esaltare – o perlomeno valorizzare. Queste sono passioni fondate sulla ricerca che, con la speranza di diventare scoperta, inevitabilmente si trasformano in mulini culturali: ogni successo loro lo è anche per la società, anche se spesso quest’ultima vira la sua attenzione su ben altro; ma che, puntualmente, non appena si crea l’occasione per venire in contatto con la scienza rimane a bocca spalancata.

Questo è ciò che è successo a me e ai miei compagni di Giretto, ignari di aver “dietro casa” così tanto da scoprire (e chissà quanto altro c’è ancora!). Perciò, spero che questo Giretto funga da altoparlante e stimoli i lettori a fare non solo quest’esperienza, bensì a cercarne altre simili nel nostro ricco territorio.

Nel frattempo, riguardo questo Parco Regionale potete trovare materiale gratuito interessante sul sito della Vena del Gesso (video, panoramiche interattive, spiegazioni scritte ecc). E se proprio volete buttarvi nella speleologia, date un’occhiata al sito del Gruppo Speleologico Faentino. Provare quest’esperienze dà vita a giornate decisamente fuori dal comune 🙂

Se la divulgazione non dev’essere una merce, il destinatario di quest’ultima deve sicuramente comprendere il valore intrinseco di questa sua qualità: come si diceva una volta, un fosso si fa con due sponde.

 

 

MAGNÊ

Se la Romagna a volte tende a celare queste sue incredibili particolarità, di certo non si può dire lo stesso in termini culinari: l’Appennino brulica di rifugi, ristoranti od osterie pronte ad accoglierti con taglieri e piatti di pasta fatta in casa fumanti. E questa zona del brisighellese non è da meno: se cerchi la cucina tipica romagnola, al ristorante del Rifugio Ca’ Carne la trovi nelle sue sfumature più belle.

Partendo dai taglieri di salumi e formaggi, passando da cappellacci al ragù di Mora Romagnola, tagliatelle (rigorosamente grossolane) alla salsiccia di Mora e scalogno e dal cinghiale in salmì, il traguardo raggiunto con peschine dolci e grappe della casa devo dire che va ben oltre la soddisfazione. Il sapore autentico della cucina casereccia, unito all’atmosfera accogliente trasmessi dalla struttura stessa (interni e mobili di legno tipici dei rifugi), rende questo posto un colpo sicuro ogni volta che si cerca ristoro in queste zone romagnole.

Se ci si guarda attorno si vedono vasetti di confetture, creme, sottoli e bottiglie di amari etichettate “Azienda Agricola i Sapori di Fontecchio”, realtà i cui ragazzi hanno preso in gestione proprio il rifugio. Se i sapori tradizionali qui meritano di essere chiamati tali, è per l’ottimo lavoro da loro eseguito nel fornire materie prime di qualità da loro prodotte.

Dunque, sia per l’esperienza di “trekking sotterraneo” che di gastronautica, per questo Giretto il mio consiglio è uno solo: organizzate un bel gruppo di amici con cui andare, perché ne verrà fuori una di quelle giornate difficili da scordare; e che, diciamocela tutta, fanno bene all’animo.

Fatelo, per amore della scienza e un buon piatto cappelletti.

 

 

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Sono ragazzo faentino di 25 anni fortemente innamorato della propria terra, la Romagna. Le mie passioni principali sono viaggiare praticando trekking, cucinare e scrivere, ma soprattutto la costante ricerca dello stupore: è proprio quest’ultima mia tendenza ad essere la brace ardente che tiene viva la fiamma delle altre. Tutto ciò si traduce in una vita dinamica – a volte troppo – in cui cerco di voler scoprire sempre di più, di passare ininterrottamente da un’esperienza all’altra; e documentare ciò che scopro, cercando di trovare sempre il miglior modo possibile per esprimere le sensazioni che ho provato.