Giochi di verità. Rappresentazione, ritratto, documento. Fotografia al femminile in mostra a Soliera

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Elisabetta Catalano, Giosetta Fioroni fotografa Talitha Getty nel suo studio, Roma 1967, courtesy Collezione Donata Pizzi

Vero e falso si contaminano, in una riflessione che disancora l’idea di realtà da quella di verità e spinge verso l’idea di libertà. S’intitola Giochi di verità. Rappresentazione, ritratto, documento la grande mostra promossa dal Comune di Soliera e dalla Fondazione Campori con oltre 80 fotografie provenienti dalla Collezione Donata Pizzi, nata per sostenere e valorizzare le più significative interpreti nel panorama fotografico italiano dalla metà degli anni Sessanta ad oggi.

Curata da Marcella Manni, l’esposizione è stata inaugurata lo scorso sabato 8 ottobre e continua fino al prossimo 15 gennaio 2023 all’interno del Castello Campori di Soliera (Mo), meglio noto come il Castello dell’Arte. La mostra ripercorre la storia della fotografia italiana, mettendo in luce le evoluzioni concettuali, estetiche e tecnologiche che si sono sviluppate negli ultimi decenni.

La centralità del corpo, il rapporto tra memoria privata e collettiva, le dinamiche e i riti della vita familiare, sono elementi costitutivi e identitari che si leggono oltre le singole voci delle artiste e i momenti storici in cui sono vissute o vivono e operano.

Meris Angioletti A slight ache, 2017 stampa digitale su carta fotografica 40×33 cm © Meris Angioletti Courtesy Collezione Donata Pizzi

«Con Giochi di verità – spiega il sindaco di Soliera Roberto Solomita – proseguiamo un percorso avviato nel 2018, che ha visto il nostro Castello Campori configurarsi come contenitore per mostre di elevato spessore artistico, sia per la qualità delle opere esposte che per l’elaborazione di pensiero che le ha accompagnate. Dopo Intra moenia – Collezioni
Cattelani, le fotografie di Un paese ci vuole, la personale di Arnaldo Pomodoro e quella di Mauro Staccioli (queste ultime due esposizioni hanno avuto anche un’estensione ancora ben visibile nel tessuto urbano, e penso all’Obelisco per Cleopatra in piazza Lusvardi e al Portale in via Nenni), proponiamo un coinvolgente percorso dentro la straordinaria
Collezione Donata Pizzi. Nessun compiacimento, tuttavia. Il fatto è che siamo convinti che, attraverso vie inattese e mai convenzionali, l’arte sia davvero capace di produrre senso, quantomeno di fornire strumenti di interpretazione della realtà».

«La Collezione Donata Pizzi, anche in virtù dei criteri stringenti che la caratterizzano, offre numerosi spunti di lettura. Nel considerare gli spazi del Castello dell’Arte e una necessaria selezione di opere e artiste – spiega la curatrice Marcella Manni – ho scelto di affidarmi alle immagini e alle complesse architetture di segni e simboli che ci offrono. Giocando, appunto, con paradigmi che pertengono all’ambito della ricerca teorica sul mezzo fotografico e sui criteri e le presunzioni di verità che il contesto contemporaneo della comunicazione, non solo visiva, ci obbliga ad affrontare. La rappresentazione del corpo è sempre stata usata come strumento per affermazioni identitarie e di genere, il reportage ha conquistato e avuto il ruolo di azione politica e di cittadinanza attiva, la documentazione privata o pubblica di usi, costumi, riti, ha perseguito con determinazione la possibilità di entrare e affrontare, con lo scudo dell’ironia, questioni sociali tra stereotipo di ruoli e emancipazione. La storia degli usi della fotografia in Italia che si deduce dai lavori delle artiste è un efficace e immediato strumento per mettere alla prova l’attualità di istanze e, allo stesso tempo, affrontare il non visto, il nascosto e celato».

Francesca Catastini, Medusa, 2014 dalla serie ‘The Modern Spirit is Vivisective’. Stampa ink-jet 84 x 60 cm © Francesca Catastino Courtesy Collezione Donata Pizzi

«All’inizio della mia carriera – conclude Donata Pizzi – si lavorava realizzando reportage in bianco e nero, l’ambito di indagine della fotografia era quello di ripresa e di registrazione degli eventi. Con il passare del tempo, complici i cambiamenti sociali, politici e anche l’evoluzione tecnologica del mezzo, il linguaggio e gli ambiti di ricerca si sono ampliati per comprendere anche esiti concettuali che anni prima erano impensati. Come questo passaggio è avvenuto è la storia della Collezione».

Fino al 15 gennaio 2023

Soliera (Mo), Fondazione Campori, Piazza Fratelli Sassi 2. Info & Orari: T. +39 059 568580 | info@fondazionecampori.it | www.fondazionecampori.it