Anello Lago di Ponte – le Piane – Gigante del Tramazzo – Lago di Ponte

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Link per consultare il percorso qui.
Senteri CAI percorsi: 559 – 553 – 565.
Ciceroni: Michelangelo e Pier Luigi Gentilini.

La malìa della nebbia in alta quota

Per chi viene dalla pianura la nebbia risulta spesso – se non sempre – una scocciatura; poche volte ne si riesce a interpretare una qualsivoglia bellezza, a farsi avvolgere completamente e abbandonarsi per un attimo al suo fascino sfuggente e dalle sfumature malinconiche.

“Andare a fare trekking con la nebbia? Cosa c’è di bello nel non vedere nulla attorno a sé?”, queste le domande che sento ricorrere più spesso. Beh, con questo Giretto sulle vette del Tramazzo ho acquisito una freccia di risposta per niente male al mio arco: provate la nebbia d’alta quota, e vi ricrederete.

Dipende naturalmente da quanto essa sia fitta, ma negli anni ho notato dettagli assodati che mi rendono costantemente ammaliato le poche volte che riesco a incontrarla: in alta quota la nebbia è dinamica, veloce tanto da dare vita a scorci e panorami ma anche lenta tanto da riempire di solennità il più semplice e scontato dei sentieri; a volte va e viene, ammorbidendo la visuale nella foresta per poi riempire gli occhi di colori nitidi e sgargianti. Insomma, se si impara ad accoglierla nel modo giusto, la nebbia sa dare un apporto tutt’altro che seccante e noioso a una domenica in natura: dategli una possibilità 🙂

 

 

Arrivo al Rifugio Casa Ponte 

Per iniziare questo Giretto mettiamo nel navigatore Rifugio Casa Ponte, struttura a fianco dell’omonimo lago poco sopra Tredozio, e lasciamo la macchina nel parcheggio dedicato ai visitatori.

Spesso mi son chiesto perché si chiamasse così, visto l’evidente assenza di un ponte che poteva suggerirne facilmente il nome; ma, come al solito, per saperne di più sulle zone tredoziesi ci corre in soccorso il nostro Cicerone Michelangelo.

La denominazione deriva dal nome del podere in cui è stato installato questo lago artificiale (appunto podere Ponte), per la necessità locale di attingere a un bacino acquifero per il proprio acquedotto. Poi, con l’abbandono delle campagne, è diventato parte del confine nord del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi.

Una piccola premessa sì per conoscere pillole di storia locale, ma anche per essere coscienti del fatto che stiamo entrando nelle cosiddette Foreste Sacre: non so voi, ma a me reca sempre un certo fascino mettere piede qua dentro.

Partenza

Tenendo il rifugio alle spalle ci incamminiamo nel sentiero che inizia in fondo al parcheggio – sentiero CAI 559, il quale costeggia brevemente il lago fino a portarci all’inizio della dura salita che dovremo affrontare per poco meno di un’ora. Quest’ultima ci porterà in cima al Passo del Tramazzo: è tutta dritta lungo il CAI 559, e capiremo d’essere arrivati quando ci immetteremo in una strada sterrata.

Qui, alla nostra sinistra, vedremo il cartello marrone con su scritto “Tredozio” barrato in rosso (e sotto suo fratello con su scritto “Portico – San Benedetto”): proseguiamo in questa direzione. Qualche decina di metri più avanti, gireremo nella salita a sinistra indicata dal cartello con su scritto “Monte Collina 00.30h”: qui cambiamo sentiero CAI, che diventa il 553.

In questa salita, dopo qualche minuto, dobbiamo stare attenti a seguire il sentiero 553 che devia leggermente a sinistra rispetto alla strada principale. Se seguite la mia traccia GPS vedrete che io sono andato poco più avanti, e che mi sono ricongiunto al sentiero tagliando per il bosco: divertente, ma comunque un errore che potete evitarvi prestando un po’ più attenzione di quanto abbia fatto io.

Ad ogni modo, seguendo il 553 arriveremo a fianco della Capanna Gurioli (piccolo e storico capanno fondato nel ‘47 da cacciatori locali di colombacci), poco dopo il quale ci ritroveremo a intersecare nuovamente una strada sterrata.

Prendiamola a sinistra, e dopo 5 minuti ci troveremo a sinistra l’inizio del sentiero CAI 565: andando in direzione Ca’ Valdanda (che incrocieremo in poco tempo), ci avviamo verso il cosiddetto Gigante del Tramazzo.

 

 

 

 

Al cospetto del Gigante e ritorno al parcheggio 

Chi è un pochino esperto delle nostre zone, di queste foreste riuscirà a riconoscere fin da subito l’identità: se non si notassero i cartelli nella strada che porta al rifugio, basterebbero pochi passi per intuire di essere nel Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi. Ed è proprio da Lago di Ponte che, tra l’altro, parte il meraviglioso Sentiero delle Foreste Sacre: un itinerario che da qui raggiunge il Santuario La Verna, e che come suggerisce il nome porta a immergersi in questo diamante verde della nostra terra – se non dell’Italia intera!

Ad ogni modo, torniamo al Giretto: superata Ca’ Valdanda arriviamo a un bivio, al quale continueremo la passeggiata deviando a sinistra, continuando il 565 (la direzione sbagliata verso destra indica Pian di Bepi).

Scendendo lungo il sentiero arriveremo in un’altra strada sterrata: teniamo la sinistra, e dopo poco arriveremo a un’altra svolta del sentiero 565 che, deviando sempre a sinistra, ci porterà dritti ai piedi del Gigante del Tramazzo.

Ci troviamo di fronte a un enorme faggio: altro circa 35m, dal diametro di 5m e una età stimata di oltre 300 anni, viene localmente chiamato il Faggione del Tramazzo (nonché la “Grande Madre”, complice la presenza di grandi “mammelle” sul tronco dovute alle cicatrici di vecchi rami caduti). Devo dire che provare ad abbracciarlo da una certa sensazione di impotenza, ma stranamente anche d’accoglienza: di fronte a certi colossi qualcosa dentro si smuove sempre. Inoltre, ai suoi piedi troverete lastre di pietra dove fermarvi per un meritato riposo.

Qui ci troviamo in una delle parti più antiche di quello che è considerato il polmone verde attorno a Tredozio, un territorio non entrato nelle manovre di disboscazione a favore dell’agricoltura. Questo ci porta a una piccola delucidazione sulle strutture abbandonate o diroccate che abbiamo incrociato lungo i sentieri – suggerita sempre Michelangelo: non si tratta di poderi mezzadrici, ma strutture per la coltivazione selvicola e gestione del bosco (es: mulini per le castagne); ormai la natura qui si è ripresa gli spazi di cui era stata privata, ma pensare alla vita produttiva in questi luoghi fa sempre viaggiare la fantasia verso tempi che probabilmente non torneranno più.

Il ritorno è alquanto semplice: basta seguire il 565, prestando attenzione a un’unica piccola deviazione che può trarre in inganno: dopo qualche decina di minuti di camminata, al termine di una discesa e alle rive di un ruscello, c’è una svolta a sinistra targata CAI 563 e l’indicazione “Lago di Ponte 00.30h”. Noi qui non prendiamo questa svolta e proseguiamo dritto guadando poco più avanti il ruscello, seguendo la strada che dopo una cascatella e una capannina diroccata ci porta a un bivio di cui prenderemo la sinistra: da qui ci troveremo al centro di una radura, nella quale il sentiero continuerà dritto fino a portarci di nuovo nella foresta e, conseguentemente, ai piedi del Rifugio Casa Ponte.

E ora alla sagra!

 

 

MAGNÊ

Questo Giretto è stato programmato sì per godersi le sacre foreste, ma anche per gustare un piatto tipico tredoziose nella sagra a lui dedicata: la Sagra del Bartolaccio, o meglio “e’ bartlàz”.

Presentabile come un piccolo crescione ripieno di piadina (chiedo venia se dico un’eresia), il bartolaccio si presente a forma di mezzaluna e ben cicciotto, ma per discuterne i dettagli storico-culturali e gastronomici mi aiuta – per fortuna e con molta più credibilità di me – il noto cuoco di quello che era il Ristorante Mulino S. Michele di Tredozio, Pier Luigi Gentilini:

“Il bartolaccio è un piatto della tradizione contadina tredoziese, ma la sua connotazione si perde nei meandri della cucina povera delle famiglie del paese. È noto che piatti simili sono presenti in tutta la parte dell’appennino Romagna-Toscana con diversi modi di preparazioni e nomi (tortello alla lastra e rustichello, ad esempio), ma solo nella vallata tredoziese ha la denominazione di bartolaccio.

Si tratta di un impasto di acqua e farina, dal quale si ricava una sfoglia sottile ripiena di un composto di patate bianche, guanciale, pecorino, pepe, e dalla cottura fatta sopra una lastra di pietra.

Le versioni “moderne” hanno sostituito il pecorino con parmigiano, mente la cottura viene fatta in piastre radianti; i puristi vedono la cosa come tradimento alla tradizione, di fatto il risultato è un ingentilimento del prodotto finito, forse più contemporaneo agli stomaci di oggi.

Leggende e diciture sul perché di questo nome sono del tutto arbitrarie e prive di sostanziale fondamento: di fatto rimane un piatto che i contadini facevano nelle giornate invernali scaldandosi attorno al fuoco del camino, sul quale veniva messo una robusta lastra di pietra dove ciascuno se li cuoceva a proprio piacimento”.

Insomma, costretto ad inginocchiarmi alla rivisitazione moderna lo vedo cotto alla piastra e servito bello caldo, apripista di un menù altrettanto invitante: ad accompagnarlo ci sono polenta con ragù, polenta con cinghiale in salmì e la “paciarella”, un piatto a base di polenta scottata alla piastra con all’interno verdure tra le quali siamo riusciti a scorgere fagioli e porro.

La fila per mangiare è segnale di un ristoro molto piacevole, e si aspetta volentieri: a fianco non mancano stand gastronomici di ogni tipo (prosciutti, dolci a base di castagne, caldarroste ecc.); è consigliata un’attesa in compagnia di una calda bottiglia di vin brulé. Questa sagra, presente nel territorio da quasi 30 anni, negli ultimi 20 ha dovuto ampliare la durata aggiungendo il secondo week-end di novembre, complice la grande richiesta. Un buon segnale, no?

Com’è normale che sia, ci sono stati pareri contrastanti sulla bontà di ciò che viene proposto: gioco la democratica carta del “de gustibus”, e trovo un punto di incontro comune nell’affermazione che, in queste stupende – e purtroppo ultimamente molto rare – giornate di vero autunno, il gusto di scaldarsi con cibo e vino a tavola con amici non ha prezzo.

Gustiamoci le diversità di ogni stagione, finché ancora possiamo. La caduta delle foglie, l’odore di funghi ogni volta che s’alza il vento, la convivialità che nasce nell’istinto comune di cercare tepore e compagnia con cui goderselo: magari prossima volta invitiamo la COP28.