Passeggiando per Image Capital al MAST di Bologna

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Edo Collins, Radhakrishna Achanta, Sabine Süsstrunk, Deep Feature Factorization for Concept Discovery, documento presentato alla Conferenza europea sulla visione computerizzata (ECCV), Monaco, Germania, 2018. Courtesy: École Polytechnique Fédérale de Lausanne (EPFL)

 

Image Capital è la nuova mostra alla Fondazione MAST di Bologna in corso fino all’8 gennaio 2023.

Ho avuto il piacere di visitare la mostra in un tour privato con una mia amica che lavora come mediatrice culturale al MAST. La possibilità di una visita guidata si è rivelata la scelta più vincente; la fruizione di Image Capital richiede infatti tempo e riflessione, sia per la tematica, sia per la portata e diversità di contenuti della mostra stessa.

A cura di Francesco Zanot, l’esposizione nasce dalla lunga collaborazione e ricerca dell’artista Armin Linke e della storica della fotografia Estelle Blaschke. È questo il primo aspetto che possiamo notare camminando negli ampi saloni della Fondazione – si ha l’impressione di passeggiare nella versione fisica e spaziale di una ricerca, di un caso studio. Questo effetto, ricercato nelle stesse scelte espositive del curatore, ci fa subito capire che Image Capital non è una mostra fotografica bensì una mostra sull’utilizzo medium della fotografia nell’industria e nei processi di produzione.

La fotografia ci viene presentata come una ricca fonte di dati, di informazioni da elaborare, archiviare, scambiare, proteggere – in poche parole, un vero e proprio capitale.

 

Pubblicità Kodak per il Recordak Miracode System, 1966. George Eastman House, Legacy Collection

 

Se non hai una memoria fotografica, comprala 

Possiamo tracciare un filo conduttore dell’esposizione nel tema dell’infiltrazione della fotografia nei più disparati aspetti delle nostre vite: politica, scienza, arte, comunicazione, commercio, industria, archivio, memoria, fino a diventare un aspetto pregnante della nostra relazione con il mondo. La fotografia viene quindi indagata nel suo rapporto con il modello capitalista correlato e dipendente dall’informazione e dall’accesso a quest’ultima.

Nella società capitalista la fotografia non domina soltanto l’immaginario, ma molto di più.

La mostra si suddivide in sei sezioni tematiche che esplorano diversi aspetti dell’uso del medium della fotografia. Dopo la gallery interattiva all’ingresso ci imbattiamo in Memory, la prima sezione. Qui viene indagata la fotografia come strumento nell’ambito dell’archivio. In quanto mezzo per antonomasia della riproducibilità meccanica, la fotografia può essere ricreata, vista, replicata, prodotta e riprodotta potenzialmente all’infinito. Nell’evoluzione di numerose discipline (tra cui anche l’astronomia, la storia dell’arte, l’antropologia, le scienze) gli archivi fotografici hanno costituito la colonna portante divenendo la documentazione visiva di cose, luoghi, eventi, persone. Ovviamente, questo aspetto è stato rilevante anche per espandere i sistemi di sorveglianza.

Con l’avvento del digitale e degli smartphone la fotografia si è moltiplicata a profusione, e con questa ipertrofia dell’immagine è diventato ancora più fondamentale il potenziamento di un sistema di archiviazione che organizzasse tutti questi dati. Oggi, infatti, una fotografia scattata dal nostro telefono è difficilmente una fotografia “e basta”: l’immagine è infatti al tempo stesso un codice binario a cui seguono informazioni testuali corrispondenti. In poche parole, oggi le immagini sono metadati generati da ogni singolo scatto. Queste tematiche sono trattate in Access, la seconda sezione della mostra.

In Protection si sposta il focus sulla necessità di protezione dei dati, un’urgenza che nasce già a cavallo del XX secolo e trionfa in pieno clima di Guerra Fredda, dove la paura di avere flussi di informazione persi o danneggiati diviene un aspetto rivelante della società americana. La soluzione pensata è la creazione di sistemi di archiviazione di massima sicurezza, uno di questi luoghi è Iron Mountain, una cava di calcare in Pennsylvania oggi divenuta un’azienda multinazionale miliardaria di gestione dei dati.

 

Armin Linke, Kunsthistorisches Institut in Florenz – Max-Planck-Institut, Fototeca, Firenze, Italia, 2018. Courtesy: l’artista e Vistamare Milano/Pescara

 

Un’intera biblioteca entra in una borsetta 

Ad aprire la seconda parte della mostra vi è Mining, sezione dove ci si concentra sul concetto di estrazione dell’immagine, ovvero il processo di raccolta, lettura e sfruttamento delle stesse. Ad oggi l’analisi digitale delle fotografie (computing) è un elemento chiave nell’estrazione. I così detti Big Five (Apple, Amazon, Meta, Google, Microsoft) hanno sviluppato tecnologie sofisticate per sviluppare software di riconoscimento delle immagini – la così detta “computer vision” che identifica automaticamente oggetti e modelli. Questo tipo di tecnologia è adoperata in ambito dell’industria manufatturiera e dell’agricoltura e il suo fine ultimo è arrivare a un modello di comunicazione macchina e macchina che tagli fuori l’intervento umano. La fotografia diventa il fulcro per l’apprendimento automatico delle macchine (machine learning), un elemento presente nei nostri stessi smartphone tramite gli algoritmi che influenzano la nostra navigazione nel web.

Imaging si concentra sulla capacità di visualizzazione della fotografia. Questo strumento, infatti, ci offre una visualizzazione che trascende le possibilità dell’occhio umano. Se un tempo le immagini fotografiche costituivano un archivio che permetteva la catalogazione del reale, oggi il reale si crea partendo dalle immagini fotografiche. Le sempre più diffuse pratiche di rendering 3D hanno portato alla creazione di immagini fotorealistiche applicate nel design, nell’architettura, nei videogiochi, immagini che divengono basi di partenza per la creazione di oggetti concreti.

Fin dal suo esordio, la fotografia ha costituito una forma di valuta. Questo aspetto diviene ancora più evidente nella pubblicità ed è profondamente correlato alla riproducibilità del mezzo fotografico, dove le immagini vengono riciclate, riutilizzate e riproposte. Nel capitalismo informatico l’immagine costituisce merce di scambio, ed è questa la tematica di Currency, l’ultima sezione che chiude il cerchio della mostra, ritornando al fulcro della narrazione, ovvero all’immagine come capitale.

 

Fotografo sconosciuto, pubblicità per Recordak con etichetta “Tutti questi assegni in 30 metri di rullino. Un bel risparmio”, 1955 c. Università di Rochester, Libri rari, Collezioni Speciali e Conservazione (RBSCP), Kodak Historical Collection

 

Il mezzo è messaggio

Una mostra complessa e articolata, quella di Armin Linke ed Estelle Baschke, in cui ogni sezione apre a mille nuovi approfondimenti e interrogativi che non possono trovare un’unica risposta.

L’esposizione risulta molto coerente con la linea del MAST, dove si prediligono i temi di arte e tecnologia interconnessi. Si ha l’impressione di trovarsi in mezzo a un’ottica superpartes, un punto di vista che non celebra il progresso tecnologico con ingenuo positivismo, né si butta in timori di orwelliane previsioni sull’iper-controllo dei media sulle vite dei consumatori.

Image Capital è il risultato di una ricerca e di una tesi, in quanto tale, lascia che sia lo spettatore a tratte le sue conclusioni e fare le sue riflessioni. È infatti un punto focale per Armin Linke che il visitatore della mostra si avvicini a queste tematiche considerate di difficile comprensione ma che in realtà ci coinvolgono dal profondo. Possiamo dire che il fine ultimo della mostra sia quasi pedagogico, di educare lo sguardo per essere consapevoli e preparati, per una coscienza e conoscenza proattiva del capitale nell’era dell’immagine.

Per una migliore fruizione della mostra consiglio vivamente una visita guidata: è gratuita, su prenotazione, mercoledì, venerdì, sabato e domenica dalle 11 alle 16.

 

fino all’8 gennaio 2023 – Image Capital, Armin Linke, Estelle Baschke, a cura di Francesco Zanot – Fondazione MAST, via Speranza 42, Bologna – ingresso libero