Liliana Cavani compie 90 anni. Su Il portiere di notte, per non dimenticare il secolo breve

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La caduta degli dei di Luchino Visconti 1969, Salò di Pier Paolo Pasolini 1975, ma anche Novecento Atto Primo di Bernardo Bertolucci 1976 e, appunto tra questi incastonato, Il portiere di notte di Liliana Cavani 1974: quattro film che ci dicono di una temperie culturale che cercava di elaborare la tragedia di un secolo incompiuto ancora oggi, strappato da due guerre devastanti e soprattutto reso emblematico da quel naufragio dell’umanità che è stata la Shoah.

Una voglia di ricordare e di capire che, per attraversamento o sola vicinanza generazionale, coinvolgeva ancora con forza non solo quegli artisti o gli intellettuali in genere, ma soprattutto il pubblico quale espressione di una comunità che aveva sete e fame di quelle suggestioni e riflessioni, dentro e oltre l’enigma che pesava e pesa sulle coscienze di tutti.

 

 

Liliana Cavani, regista da non dimenticare di cui festeggiamo in questi giorni i 90 anni, sceglie di affrontare quell’enigma, che è anche colpa collettiva, non tanto ricordando una genesi che in qualche modo ne illumini i tragici meccanismi, come nell’opera di Visconti, o penetrandone gli aspetti coerentemente perversi come l’ultimo Pasolini, ovvero coinvolgendolo in un afflato epico che ne renda catartico il tragico meccanismo, come tenta Bertolucci con i suoi due “Atti”, piuttosto vuole sondare le conseguenze interiori di un dopo ancora incapace di elaborazione e, così, renderne più consapevole non solo chi in quella tragedia è stato precipitato e da quella tragedia è stato inesorabilmente devastato.

Un approccio psicologico che non trascura la Storia ma la analizza ed illumina con la lente di due esistenze singole, reciprocamente coinvolte da una gerarchia, da una differenza che man mano stinge e si ribalta nella confusione interiormente rivelatrice dei ruoli.

Due esistenze che precipitano, quasi metafisicamente, nel rapporto, dalle inevitabili corrispondenze psicoanalitiche, tra carnefice e vittima e dunque, nella sua valenza collettiva e storica, tra oppressore e oppresso.

 

 

Una giovane donna, ebrea superstite di un lager, incontra casualmente a Vienna il suo carceriere, ora portiere di notte in un lussuoso albergo ove, e la sfumatura narrativa è significativa ed esteticamente certo non casuale, si riuniscono ex nazisti suoi commilitoni che vogliono, come è stato per molti purtroppo, cancellare le tracce della loro colpa per evitare punizioni, recitando tra di loro la finzione di un inverosimile processo di riscatto/pentimento.

Da lì l’emergere di una sorta di Sindrome di Stoccolma ribaltata che ripropone, ma simulandoli in una proiezione intima e trasfigurante, i termini della antica prigionia nelle sue tonalità sadiche, in cui si mescolano la prevaricazione fisica e anche psicologica e un emotivo coinvolgimento.

Così facendo i ruoli di dipendenza si confondono e i sentimenti si sovrappongono; infine in un lento scivolare narrativo, in cui ritornano quasi in contrappasso la fame e l’erotismo malato di un tempo, ormai perduti l’uno nell’altra, vittima e carceriere grottescamente mascherati con gli abiti di un tempo si avviano al loro ormai inevitabile destino.

 

 

Sono passati quasi cinquant’anni ma questo film, essenziale nelle sue linee narrative e per le sue corrispondenze sia estetiche che psicologiche, non solo dimostra una straordinaria attualità (la Storia insegna poco, soprattutto quando la si dimentica) che parla a noi oggi, ma anche direi la sua necessità, non soltanto per non dimenticare, ma soprattutto per frenare le derive pericolose che ci circondano e a cui è superfluo qui dare, in sostituzione della coscienza di ciascuno e di tutti, nomi e fisionomie.

C’è un’ultima considerazione che vorrei proporre, e che Il portiere di notte a mio avviso conferma, ed è come la bellezza e l’arte, o meglio la bellezza dell’arte sia spesso il tramite più adeguato per comprendere l’esistenza e i suoi eventi, per la capacità sua propria di elaborare e far elaborare nella rappresentazione anche gli aspetti più tragici e dolorosi che, nella consapevolezza, diventano patrimonio e ‘miglioramento’ del nostro viaggio verso ciò che ci attende.

Anche per questo sarebbe auspicabile, soprattutto per le nuove generazioni, un suo diffuso ritorno alle sale.

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IL PORTIERE DI NOTTE di Liliana Cavani Interpreti e personaggi: Dirk Bogarde (Max), Charlotte Rampling (Lucia), Philippe Leroy (Klaus), Gabriele Ferzetti (Hans), Nora Ricci (frau Holler), Isa Miranda (contessa Erika Stein), Giuseppe Addobbati (Stumm), Amedeo Amodio (Bert), Marino Masé (Atherton, marito di Lucia), Ugo Cardea (Mario), Nino Bignamini (Adolph), Piero Mazzinghi (portiere di giorno), Geoffrey Copleston (Kurt), Manfred Freyberger (Dobson). Produzione: Robert Gordon Edwards per Lotar; soggetto: Barbara Alberti, Amedeo Pagani, Liliana Cavani; sceneggiatura: Liliana Cavani, Italo Moscati; fotografia: Alfio Contini; montaggio: Franco Arcalli; scenografia: Nedo Azzini, Jean-Marie Simon; costumi: Piero Tosi; musica: Danièle Paris.

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Ho conseguito la Laurea in Estetica al DAMS dell'Università di Bologna, con una tesi sul teatro di Edoardo Sanguineti, dando così concretezza e compimento alla mia passione per il teatro. A partire da quel traguardo ho cominciato ad esercitare la critica teatrale e da molti anni sono redattrice e vice-direttrice di Dramma.it, che insieme ad altri pubblica le mie recensioni. Come studiosa di storia del teatro ho insegnato per vari anni accademici all'Università di Torino, quale professore a contratto. Ho scritto volumi su drammaturghi del 900 e contemporanei, nonché numerosi saggi per riviste universitarie inerenti la storia della drammaturgia e ho partecipato e partecipo a conferenze e convegni. Insieme a Fausto Paravidino sono consulente per la cultura teatrale del Comune di Rocca Grimalda e sono stata chiamata a far parte della giuria del Premio Ipazia alla Nuova Drammaturgia nell'ambito del Festival Internazionale dell'eccellenza al femminile.