La nuova Abitudine. Conversazione con Claudia Castellucci

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La nuova Abitudine - ph Andrea Macchia

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Venerdì 17 febbraio (alle ore 21) al Teatro Bonci di Cesena la drammaturga, coreografa e didatta Claudia Castellucci, co-fondatrice di Societas, presenterà la sua coreografia La nuova Abitudine.

Il titolo di questa creazione contiene, apparentemente, un possibile ossimoro. Rispetto alle tue creazioni precedenti quali elementi di novità puoi individuare, nella scrittura coreografica, e quali abitudini compositive, invece, persistono?

L’abitudine compositiva è quella di essere costretti alla musica. È una forma di strana angustia, perché è un gioco sempre nuovo, seppure suscitato dalle leggi del tempo misurato. Siamo sudditi della musica. E, da danzatori, siamo liberati dalla musica che, in questo caso, è una forma di canto russo del XV secolo. In questa danza non c’è nessuna novità rispetto a questo principio di vincolo musicale. Ma se per novità si intende qualcosa di più profondo, allora si può dire che sarà tutto nelle mani dei danzatori, se riusciranno, cioè, a influire sul tempo in modo da crearne uno nuovo e a farlo percepire come tale. Questo lo sapremo.

Nei materiali di presentazione del progetto si legge: “La nuova Abitudine è una partitura ispirata ai canti Znamenny del XVI secolo”. Come hai incontrato questi canti e soprattutto in quale precisa maniera essi hanno ispirato, se non direttamente condizionato, il tuo lavoro?

I canti Znamenny sono canti sorti dalla miscela tra canti ortodossi, di origine greca, e dunque bizantini, e i canti rurali della grande Russia. Dall’Alto Medioevo, queste melodie dal Mar Nero risalgono l’Europa Orientale fino al Mar Baltico. Sono tuttora cantate nelle Chiese della Bulgaria, della Ucraina, della Bielorussia e della Russia. Sono canti che, rispetto alla maggiore tradizione russa, legata alla pompa liturgica, si presentano più modesti, cioè misurati. Sono semplici, anche se semplice non è affatto cantarli, monodici e monofonici, per trasmettere un andamento sicuro e commosso dalla meta celeste. I canti li ho incontrati nella mia frequentazione con la letteratura russa. Dopo un primo ascolto, ho cominciato ad ascoltarli tutti i giorni e presto ho accompagnato l’ascolto con i primi movimenti di danza, che ho subito proposto in un seminario formato da un insieme indiscriminato di persone in piena pandemia, all’aperto. Eravamo in trenta, allo Sferisterio della Rocca Malatestiana di Cesena. Fu importante vedere, in quell’occasione, un insieme che si era fatto grazie al sentimento musicale, al di là delle parole e della tradizione. Abbiamo abitato una matrice che non ci apparteneva e ci siamo stupiti nel riconoscerla come ‘propria’. Il riconoscimento è avvenuto prima della conoscenza, di fatto. Ciò indica la concretezza di questi canti. E la nuova abitudine è rivolgersi a un’altra tradizione, senza bisogno di replicarla o di imitarla o di saperla, ma di farla diventare un nuovo modo di essere.

 

 

In scena vi saranno sei danzatori della Compagnia di danza Mòra. Come lavori con queste persone? Elabori separatamente una struttura che dovrà essere acquisita o parte della scrittura avviene durante le prove? In ogni caso: quale principio regola le inclusioni e le esclusioni, di interpreti e materiali coreografici?

La parte più importante della domanda è quella che dice che vi saranno sei danzatori della Compagnia Mòra. Questa danza, nel caso venga interpretata bene, sarà perfetta soltanto grazie alla circostanza che sarà ballata dalla Compagnia Mòra. Non c’è dubbio che esistano danzatori più abili al di fuori della Compagnia Mòra, ma questa danza non può essere danzata soltanto con la dote dell’abilità, perché questa, al massimo potrà generare ammirazione. La nostra meta è invece la commozione, che proviene dalla capacità dei danzatori di prendere in pugno il tempo, almeno il tempo della cattività, e creare un tempo nuovo. Per fare questo occorre essere capaci di cospirare insieme, di sentirsi, di sostenersi a vicenda, di fare un ampio passo verso l’orizzonte. Perciò, dopo l’episodio del seminario Znamenny allo Sferisterio della Rocca, ho presentato alla Compagnia Mòra i passi fissati e, come al solito, c’è stato un lungo lavoro di ‘politura’ dal grezzo, che è proprio del mio livello. Nella Compagnia Mòra ci sono i talenti della conoscenza atletica, ritmica, strategica, psicologica, quindi io mi trovo in un’imbarcazione piuttosto sicura nell’affrontare il mare, cioè la musica immensa. È stato un lungo lavoro. Ora siamo pronti alla navigazione, ma ci manca il Coro, impedito a lavorare con noi, in quanto formato da persone russe, dunque generalmente e istituzionalmente messe al bando. A Cesena avremo uno pseudo-Coro, formato da persone che servono a ricordare che lì, al loro posto, c’erano persone che cantavano dal vivo.

Ti riferisci alla presenza di un Coro memoriale, in luogo dei Cantanti dell’Orchestra musicAeterna di San Pietroburgo con cui nel 2021 creaste quest’opera. Tra l’irriducibile qui e ora di ogni accadimento performativo e l’altrove -spaziale o temporale- che verrà evocato dove si colloca, la tua danza?

Nel tempo di oggi e nel tempo del Passato, che è l’oggi dell’arte.

 

La nuova Abitudine – ph Andrea Macchia

 

Quanto di questa tua creazione può essere spiegato e cosa, invece, non può che rimanere nella ricezione di ciascuno? Detto altrimenti: provare ad approssimare con le parole un’opera che si realizza con altri mezzi non rischia, paradossalmente, di allontanare dalla sua essenza?

La danza è stata creata per il fatto che a un certo punto ci si è profondamente stancati di parlare, poi di sentire parlare, poi anche di pensare con le parole. Non è una semplice noia. Ci insegna altro. C’è un pensiero e un sentimento che non riescono assolutamente a essere tradotti con nessuna parola. La danza non è nemica delle parole, anzi le ama, quando queste riescono a contenere il non-detto. La danza amò la poesia, quando questa era orale, cioè ritmica, cioè battuta, o per meglio dire ‘levata’. Erano insieme, danza e poesia, poi si misero d’accordo per procedere su strade separate, ma ancora oggi la danza vede di buon occhio la poesia tecnicamente rilevante, ben al di là dei significati verbali.

Precederà lo spettacolo, alle ore 18.30, l’incontro a ingresso gratuito Allegro e leggero come un ombrello estivo con lo scrittore e traduttore Paolo Nori, a cui sarà data l’occasione di esprimere la sua Apologia dell’arte russa. Come è nato questo incontro?

L’abbiamo proposto alla direzione del Bonci che ha accolto di buon grado l’invito. Paolo Nori è un profondo conoscitore della letteratura russa e traduttore di diverse opere importanti. Data la circostanza in cui ci troviamo dopo l’invasione russa dell’Ucraina, dopo il conseguente bando nei confronti degli artisti russi, abbiamo bisogno di mettere in rilievo la cultura russa, e l’importanza della sua radice per la linfa dell’Europa, senza moltiplicare parole inutili sulla guerra.

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