Facile perdersi, in Puerperium di Domenico Russo

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“La foresta è un luogo in cui è facile perdersi”: così si apre il manifesto nel primo numero del semestrale d’arte contemporanea La Foresta, che Domenico Russo e Andrea Tinterri dirigono dal 2019.

Analogamente, si potrebbe arbitrariamente azzardare, è facile (meglio: inevitabile) smarrirsi fra le pagine di Puerperium, silloge poetica che lo stesso Domenico Russo ha dato alle stampe per i tipi di Eretica Edizioni nel 2022, due anni dopo Altri Echi (Ensemble Edizioni).

Se è vero, si potrebbe facilmente obiettare, che la tensione ad uscire dal già noto è tratto unificatore di molti linguaggi della e nella contemporaneità, in questo caso il dato peculiare ci sembra essere il muoversi ininterrotto, come basculando su un piano inclinato, tra coppie di opposti: addentellati autobiografici e osservazione del mondo, truculenza e leggiadria, lirismo e grevità, disillusione e invocazione.

Possibile filo rosso -a connettere testi di misure, tematiche e stili affatto proteiformi- la questione (smisurata) del corpo.

Del suo attendere e patire, del suo smisurarsi e costringersi, del suo attraversare.

Sono in tal senso perfettamente sintetici i titoli delle tre sezioni in cui la raccolta è suddivisa: Puerperium, Studi per un’abitudine troppo controllata e Caverne.

È, questa, una poesia che sovente parla di corpo (a mo’ di sineddoche: “Un bambino mi chiede se sanguinare fa male”, è il primo verso riportato in copertina), ma che parallelamente lo assume come soggetto di linguaggio, lingua-corpo che abita e al contempo forza codici preesistenti.

Fra queste pagine la realtà coincide con il rapporto -ora (s)frenato, ora stupefatto, ora annichilito- che l’io in primis somatico dell’autore riesce a stabilire con essa.

 

Domenico Russo – ph Alessia Leporati

 

Vien da pensare a una genealogia, soprattutto secondo-novecentesca, di poeti che han fatto del superamento del lirismo la chiave della loro indagine: tra tutti Antonio Porta, per quella sua parola-sguardo, metallica e tagliente, attraverso la quale i fenomeni vengono osservati in quanto tali, e in quanto tali restituiti alla scrittura, dunque alla rinnovata, estetizzata percezione.

Al di là di ogni riduttiva schematizzazione certo primeggia, nella ricezione di questi testi, la nutriente esperienza di attraversare un luogo misterioso e multiforme, intriso di segni, mai pacificato.

Zeppo di relazioni: appunto come immergersi, semioticamente, in una foresta.

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