Ritratto di Flavia Mastrella

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Flavia Mastrella - ph Annalisa Gonnella

Qualcuno poteva forse pensare che,
col trascorrere degli anni,
il fenomeno Antonio Rezza-Flavia Mastrella
fosse destinato a trovare un po’ di pace,
se non il senso della ragione;
e invece questa ragione ha sviluppato i suoi artigli
fino al raggiungere la follia pura,
ma elaborando il pensiero con un’acutezza
così forsennatamente logica
da fare a pezzi la sedicente realtà,
assunta e cavalcata
con criteri rigorosamente matematici.

Franco Quadri

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Non chiamatela scenografa! Flavia Mastrella è un’artista visiva che costruisce i quadri di scena, gli habitat, lo spazio, il suo spazio, che Antonio Rezza abita e anima. I due sono inseparabili dal 1987. Insieme hanno realizzato opere teatrali e cinematografiche, libri, documentari, mostre, trasmissioni televisive, pur mantenendo parallelamente ognuno la propria indipendenza artistica.

«I miei allestimenti scenici interagiscono con l’azione, si amalgamano alla rappresentazione, sconvolgono i contenuti dei testi di Antonio in senso visivo, determinano personaggi e movimenti, parlano il linguaggio della forma e del colore. Ogni singolo elemento ideato per l’allestimento ha un senso indipendente ma non estraneo alla storia che poi andrà ad accogliere; i quadri di scena sono il contrario della maschera, e grazie all’intervento corporeo di Antonio si trasformano in sculture vive».

Nel recente spettacolo Hybris notiamo un cambiamento radicale rispetto ai precedenti spettacoli. L’habitat, glaciale e quasi ospedaliero è fatto di pura energia cinetica e trame spaziali. Non ci sono più i quadri e le stoffe.

Domina lo spazio la porta con tutta la sua ingombrante pesantezza materiale e simbolica a incorniciare la soglia del caos in un mondo a sua volta completamente scardinato e alla deriva. Infatti, pur avendo perso del tutto il suo vecchio significato e la scontata utilità, viene ancora usata nella sua primordiale accezione: la si chiude e la si apre in mezzo al nulla spostandola continuamente nello spazio.

Ci sono pochi altri oggetti: una sedia a rotelle (che non è quella detestata del teatro di narrazione), una cyclette ellittica che funge da strumento rieducativo, un trasportino per uomo. Sullo sfondo della scena si possono scorgere due sculture aeree puramente decorative di cui una sonora fatta di antiche campanelle.

In questo accostamento selvaggio di elementi cosi disparati e eterogenei, Flavia ripercorre la teoria della deriva di Guy Debord. La sua è un’esplorazione dello spazio in chiave completamente libera e sovrana: come Antonio, Flavia è aliena a qualsiasi gerarchia del potere e del sapere. Se così non fosse le sue sperimentazioni non produrrebbero risultati così accattivanti e stimolanti per la crescita artistica dello stesso Rezza.

Flavia è molto attenta alla dimensione della soglia, che in Hybris si può letteralmente toccare con mano.

Da sempre è affascinata dal residuo, dallo scarto, dagli objets trouvés, in una parola: dall’ibrido. La sua arte è naturalmente sovversiva perché mette in prima piano ciò che la gerarchia del bello istituzionalizzato aveva deciso di espellere. Il suo universo creativo è fatto di ininterrotte contaminazioni, nomadismi estetici spinti all’estremo, libero arbitrio assoluto.

L’incontro con Antonio, che ha prodotto l’inarrestabile fenomeno Rezza-Mastrella del quale parlava Franco Quadri.

Flavia lo descrive così:

«Non avevo mai osato lavorare in simbiosi con un corpo vivo ma, quando ho incontrato Antonio, mi è sembrato un mio simile, un comunicatore disperato profondamente diviso, con lui ho ripartito a tratti il mio vuoto. Ci siamo trovati operativi all’inizio del fenomeno della globalizzazione, ai bordi del pensiero umanista, nel periodo della descolarizzazione. Antonio e io siamo individualisti, corrosi da un’educazione consumista, ironici che non si rassegnano alle norme espressive imposte dalla cultura del bello fuori, esposti alle sollecitazioni visive, all’incoerenza del possesso e all’ipocrisia relazionale».

E come puntualizza Antonio… «Quando ci vedono arrivare è troppo tardi!».

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NB Il virgolettato è tratto dal libro di Flavia Mastrella e Antonio Rezza Clamori al vento. L’arte, la vita, i miracoli, Il Saggiatore, Milano 2014.

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