A lezione di pastorizia

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ShepherdSchool, Officine Capodarno_Stalla, ph Luisa Vielmi

Una scuola per diventare pastori? Un mestiere antichissimo, che da generazioni si tramanda da padre in figlio, si sta perdendo.

A professionalizzare la categoria ci ha pensato l’Unione Europea istituendo, con una direttiva, la ShepherdSchool, ovvero un percorso di studi teorico-pratico su come diventare pastori e allevatori.

Il Parco delle Foreste Casentinesi – che si sviluppa nel’Appenino tra la Romagna e la Toscana – ha istituito il corso, l’unico in Italia, ottenendo inaspettatamente centinaia di iscrizioni per solo sei posti.

Quali possono essere le motivazioni che spingono una persona ad abbracciare questo percorso: ritorno al passato, cambio vita, nuovi sbocchi professionali, oppure la consapevolezza ambientalista?

Partiamo con ordine e capiamo che cos’è la ShepherdSchool

“La ShepherdSchool, la scuola per pastori e allevatori, nasce in seno al progetto LIFE (strumento di finanziamento dell’Unione europea per l’ambiente e l’azione per il clima) ShepForBio e porta con sè due obiettivi – spiega Luca Santini, Presidente del Parco Nazionale delle Foreste casentinesi – migliorare lo stato di conservazione di alcuni habitat di prateria caratterizzati dalla ricca biodiversità, attraverso la promozione e la valorizzazione delle professioni funzionali a questo scopo; contribuire a contrastare lo scarso ricambio generazionale che affligge il settore, prevalentemente nelle zone montane. Il Parco Nazionale delle Foreste casentinesi ha accolto il progetto della ShepherdSchool. Nel nome vi è la mission, è una scuola vera e propria, prenderà il via nel mese di aprile nelle aule del centro di formazione Officine Capodarno (Stia) e, sul modello delle esperienze europee, prevede un percorso formativo teorico e pratico idoneo a fornire ai partecipanti gli strumenti utili all’avvio della nuova attività. Grazie al finanziamento europeo l’iscrizione alla scuola è gratuita, come lo è l’alloggio ed il sostentamento per tutta la durata del corso. Partecipare non è per tutti. Le selezioni seguono un protocollo che tiene conto delle esperienze pregresse, attitudini e motivazioni. Al termine del percorso formativo, a chi ne farà richiesta e a seguito di un test finale, verrà riconosciuto l’ottenimento delle competenze nell’ambito del sistema della formazione e dell’orientamento della Regione Toscana, parte attiva nell’organizzazione della scuola”.

Questo è il progetto zero?
«Si, anche se in passato abbiamo realizzato un progetto che non ha niente a che vedere con la Scuola, ma che ha toccato le stesse tematiche. Per due anni abbiamo fatto un affiancamento di volontari che, per esperienza personale, hanno lavorato per quindici giorni accanto ai pastori nelle aziende di allevamento o di caprino situate all’interno del Parco Nazionale. Questa pratica ha messo in connessione la cultura urbana con quella rurale, due mondi che spesso non si parlano, specialmente se riferita ai giovani che il più delle volte non conoscono la storia e cosa c’è dietro ad un determinato prodotto. E passare quindici giorni all’interno di un’azienda ha signicato capire che il mondo a contatto con la natura non ha soltanto gli aspetti onirici che spesso ci si immagina. È un lavoro duro, fatto di sacrificio, gli animali mangiano tutti i giorni, quindi c’è bisogno di molte ore di lavoro giornaliere, per tutto l’anno. L’esperienza si è conclusa con successo perché alla fine due dei volontari hanno deciso di cambiare vita e questo potrebbe essere il punto di contatto con la ShepherdSchool. I dati poi la dicono lunga, su sei posti disponibili per poterla frequentare, sono arrivate oltre cento richieste di adesione. Questo vuole dire che in tanti sentono il bisogno di cambiare vita, anche il campione di quanti hanno fatto domanda è molto eterogeneo, sia da un punto di vista geografico, le adesioni sono arrivate da tutta Italia, che da un punto di vista di genere e anagrafico uomini e donne dai diciotto ai cinquanta anni».

Dal volontariato come esperienza personale alla scuola con scopo formativo la linea è breve?
«Dal lato pratico sono esperienze che si differenziano. La prima era un’esperienza di mero volontariato e non prevedeva alcuno sbocco professionale, mentre la seconda prevede un percorso didattico, con ore in aula, al quale segue un vero e proprio tirocinio mediante l’affiancamento in azienda. Noi comunque abbiamo cercato di capire e di avere contezza di quella che è stata l’esperienza dei volontari. Per ciascuno di loro abbiamo tenuto un diario giornaliero considerando le sensazioni, gli stati d’animo ed i loro pensieri. Tutto questo in futuro servirà per capire come si può modificare l’approccio e la sensibilità di fronte a queste tematiche».

Per candidarsi alla ShepardSchool occorre avere delle competenze specifiche e pregresse?
«Non necessariamente. Per accedere al programma i sei partecipanti saranno selezionati da una commissione istituita ad hoc che baserà la sua decisione su una griglia di requisiti predeterminati. Uno di questi è che i partecipanti siano veramente determinati a cambiare vita e intraprendere questo percorso come il lavoro del proprio futuro».

A fine corso è previsto l’inserimento in azienda?
«Si, il numero limitato dei partecipanti è dovuto anche a questo. Sei sono le aziende all’interno del Parco che hanno aderito al Progetto».

Qual è il modello di allevamento di queste aziende?
«L’allevamento è all’aperto, i pascoli sono nel territorio dei comuni del Parco Nazionale e sono aziende agricole che fanno allevamento di ovino e di caprino, trasformazione e produzione di latticini e derivati».

È possibile una collaborazione con aziende di altri paesi dell’UE?
«No, perché questi sono progetti molto legati al territorio. Questo è possibile qua, ma è anche il motivo per cui per noi è molto importante l’esperienza, soprattutto quella pratica che prevede un affiancamento sul campo.
Le faccio un esempio – continua Santini – nel nostro territorio, l’Appennino intendo, la forte espansione del lupo comporta frequenti predazioni su animali domestici. Il dato in teoria renderebbe impossibile l’attività di allevamento. Noi invece, contrariamente a questa credenza, all’interno del Parco abbiamo sei aziende che quotidianamente lavorano a stretto contatto con tredici branchi di lupo».

Quali misure adottate per gestire la presenza dei lupi?
«Mentre fuori dai confini del Parco Nazionale le predazioni sono all’ordine del giorno, all’interno dello stesso, nonostante la presenza del lupo sia molto forte, negli ultimi tre anni non abbiamo avuto predazioni perché, insieme agli allevatori che vi lavorano, abbiamo messo in atto dei sistemi di prevenzione attiva: i cani da guardiania ed il ricovero notturno delle gregi. Con questi due semplici accorgimenti abbiamo praticamente annullato la predazione sugli animali domestici, rendendo l’allevamento possibile anche in luoghi di predazione. Naturalmente i costi aggiuntivi per potersi proteggere, visto che il lupo è un bene della collettività, e preserva la biodiversità, sono a nostro carico, per questo motivo il Parco Nazionale fornisce i cani da guardiania in comodato alle aziende, così anche l’alimentazione e l’assistenza veterinaria. Mentre fuori dal Parco i costi aggiuntivi potrebbero essere a carico di qualsiasi altro ente pubblico deputato alla gestione faunistica».

ShepforBio e pieno rispetto per l’ecosistema. Adottate le stesse misure nel processo di produzione e trasformazione?
«Gli allevamenti hanno tutte le caratteristiche per essere inseriti all’interno di un’area naturale. Per quanto riguarda le produzioni parliamo di allevatori che hanno un numero limitato di capi, al massimo 400-500 capi. Non si parla di allevatori che hanno, per dire, 1500 capi, o di allevamento intensivo. Il pascolo è allo stato brado, vive all’aria aperta e viene ricoverato la notte, durante il giorno è protetto dai cani da guardiania preventivamente selezionati sia per essere aggressivi nei confronti del predatore che per essere mansueti con l’uomo, in considerazione anche del fatto che in un parco nazionale c’è una discreta affluenza di turisti e visitatori».

Quali gli sbocchi professionali a fine percorso? »
«A fine percorso si valuta se gli allievi hanno le competenze per iniziare o incrementare un’attività di tipo agro-silvo-pastorale, rispettosa della natura e degli animali che si vanno ad allevare e soprattutto dell’utente finale che va a consumare un alimento sano».

L’attestato finale potremmo definirlo come una sorta di “patentino” ecosostenibile?
«Si, potremmo definirlo tale. Un “patentino” all’esercizio di questa attività svolta in modo corretto, nel pieno rispetto degli animali, della produzione alimentare che si va ad immettere nel mercato e dell’ambiente nel quale si opera, dove la finalità ultima è l’ecosostenibilità».

Per maggiori informazioni consultare il sito lifeshepforbio.eu/SheperdSchool.