Far capriole a Civitonia, festival inaccadente

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ph Andrea Pizzalis

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“Perché realizzare un’opera quando è così bello sognarla soltanto?”: vien da pensare al finale di Decameron con Pier Paolo Pasolini nelle vesti dell’allievo di Giotto che di spalle si e ci interroga su questa paradossale e al contempo lapalissiana verità, sfogliando i due preziosi volumi che l’editore Nero ha da poco pubblicato dando un referente materiale, un corpo -ancorché cartaceo- al corpus di pensieri, desideri e immaginari alla base di Civitonia, festival di arti performative immaginato per Civita di Bagnoregio da Giovanni Attili e Silvia Calderoni.

“La scelta del luogo non è casuale” si legge nella home page del sito dedicato al progetto, altro luogo che dà corpo- ancorché virtuale- a questo accadimento “Civita vacilla sotto i colpi inesorabili della turistificazione di massa, fenomeno che minaccia da tempo le sorti di questa terra. Rispetto a questo scenario apparentemente ineludibile, può l’arte svolgere un ruolo riparatore?”.

 

ph Andrea Pizzalis

 

Questa domanda rilancia e indirizza quella posta in apertura di queste righe su Civitonia e i suoi artefici: i già citati Attili e Calderoni, in dialogo con le visioni estetiche -dunque, etimologicamente, conoscitive- di Chiara Bersani e Marta Montanini, CHEAP, Fratelli D’Innocenzo, Daria Deflorian, Francesca Marciano e Valia Santella, Eva Geatti, Francesca Pennini e Vasco Brondi, Alice Rohrwacher, Simona Pampallona, Anagoor, Alessandro Sciarroni, Michele Di Stefano, Giorgiomaria Cornelio, Pietro Gaglianò, EXTRAGARBO, Emanuele Coccia Annalisa Sacchi, tuttə impegnatə a inventare e riflettere su progetti atti a riscrivere il proprio e altrui rapporto col reale.

Per far ciò si son rese necessarie una separazione e una struttura.

Separazione da vincoli produttivi ed economici (ogni artista ha avuto l’utopica possibilità di progettare no limits) e dai consueti ambiti d’azione (moltə han felicemente debordato formati e discipline d’appartenenza), dando luogo ad accadimenti immaginifici, oltre che immaginari: spettacoli, rituali partecipati, installazioni, dispositivi interattivi, esposizioni nello spazio pubblico, proiezioni, atti di parola e tanto altro.

La struttura (in primis quante e quali persone coinvolgere, poi il teatro-in-forma-di-libro e il sito che han reso atto linguistico, dunque intenzionalmente comunicativo, ciò che è stato immaterialmente creato) rimanda a un altro forse ineludibile paradosso, che a noi ricorda Monte Verità.

 

Esercizi a Monte Verità, inizi ‘900

 

In questo caso come in quello, a rendere possibile uno scavo nelle possibili maglie dell’esperienza del e nel reale, dunque del corpo-mente di ciascunə in relazione con uno spazio (naturale nel caso di Monte Verità, “cartolinizzato” a Civita di Bagnoregio), quindi qualcosa che riguarda, a livello elementare, tuttə, è di fatto un’élite, un selezionato manipolo di artistə e intellettuali con svariati pregressi legami amicali e/o progettuali.

Forse non può che esser così, come ogni Avanguardia (militare o artistica che sia) ci insegna?

 

 

A proposito di Avanguardie (e di neo-avanguardie): come non pensare a Yoko Ono, alle molte azioni concettuali e/o materiali richieste al fruitore perché l’opera potesse completarsi e, dunque, letteralmente esistere?

 

Yoko Ono, Half A Room, 1967 (part)

 

Opera aperta, la chiamava Umberto Eco: erano i primi anni Sessanta, la faccenda scalcia ancora.

Nei testi che danno luogo alle creazioni del festival si fa costante riferimento, ancorché da differenti prospettive, alla problematizzazione dello sguardo, secondo un’idea d’artista come chi, ancor prima che in possesso d’una specifica perizia, abbia rispetto al non-artista una più acuta attenzione: “La poesia è un dono fatto agli attenti” diceva Paul Celan.

Molta attenzione, nel progetto Civitonia, è stata posta anche ai gesti comunicativi (tra cui un finto, ancorché verosimile, reportage fotografico dal mai realizzato festival) che l’hanno resa percepibile, dunque esistente, nella comunità di riferimento (quella delle realtà del contemporaneo, che tutte o quasi le persone qui coinvolte abitano quotidianamente) et ultra, con relative insofferenze anche istituzionali, come i curatori han raccontato, lo scorso 6 marzo a Urbino allə studentə di Scienze della Comunicazione del corso di Laura Gemini (per inciso: ce ne fossero di più, in Italia, di docenti così disponibili e attentə a intercettare e amplificare ciò che di più vitale e sfrangiato si agita, nei mondi troppo spesso affatto strandardizzati e normalizzati delle arti e del linguaggio).

 

ph Andrea Pizzalis

 

Civitonia, autonomizzando l’opera dal proprio supporto sensibile, dà luogo a un capovolgimento, come definito nel sottotitolo dell’opera, vertiginoso, rocambolesco.

Lungi dal voler ridurre la nutriente ricchezza degli immaginari messi in azione con qualche esempio a mo’ di sineddoche o peggio con qualche riassuntino, l’invito è a perdersi tra quelle pagine (dalle quali trasuda, peraltro, un’inaspettata quanto salutare ironia).

E ritrovare, etimologicamente, grande teatro: luogo di sguardi, luogo di visioni.

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