Alla (ri)scoperta dell’arte bolognese del “secolo lungo”

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A due passi dalle due Torri, lungo Strada Maggiore, si nasconde la piccola Piazza di San Michele, dove al civico 4/C il 20 aprile 2023 è stato inaugurato il Museo Ottocento Bologna. Piccola solo in apparenza, la sede espositiva rivela un’ampia collezione permanente dedicata agli artisti bolognesi del “secolo lungo”, strutturata in un percorso che attraversa le principali correnti di questo rigoglioso periodo artistico e che si arricchirà di mostre temporanee su specifici focus. Patrocinato dal Comune di Bologna, il Museo Ottocento Bologna è ente no profit e centro di formazione e di ricerca.

La curatrice è la giovane storica d’arte, archivista e perita esperta Francesca Sinigaglia, già proprietaria dell’Archivio Fabio Fabbi, che qui racconta l’ideazione del percorso espositivo, tra dipinti, artisti e attività di formazione. 

L’Ottocento e il primo Novecento è stato un periodo florido per l’arte bolognese, ma ad oggi sembra in parte dimenticato. Qual è stata la sua portata storico-artistica e perché questo vuoto finora? 

L’interesse per la pittura bolognese tra ‘800 e ‘900 c’è stato principalmente a livello di critica d’arte: sono stati molti gli studiosi ad aver valorizzato questo periodo artistico, penso tra tutti a Franco Solmi (direttore della GAM), ma anche a Paolo Stivani, Claudio Poppi, Elena Gottarelli e Alessandro Molinari Pradelli con i suoi studi su Maiani. Il vuoto però credo nasca dal fatto che la critica d’arte si è concentrata prevalentemente sui grandi nomi nazionali, da Guido Reni a Gandolfi, fino ad arrivare a Giorgio Morandi. Si trovano numerose pubblicazioni e, negli anni, sono state realizzate diverse mostre, ma l’arte dell’800 bolognese non ha mai avuto una sede fissa.  Mi trovo inoltre d’accordo con quanto l’assessore alla cultura della regione Emilia-Romagna Mauro Felicori ha condiviso durante la conferenza stampa, ovvero che l’Ottocento è un secolo difficile da collocare: troppo poco recente per essere considerato contemporaneo, ma nemmeno così lontano da connotarlo come antico. Per la città e in generale per gli studi è dunque quantomai importante una sede fissa che dia attenzione a questo secolo e spazio non tanto ai grandi nomi, quanto allo sviluppo dell’arte bolognese. 

Il nuovo Museo Ottocento si compone di 12 sezioni espositive con una collezione permanente di 85 opere divisa per nuclei tematici. Quali sono i principali focus e come è pensato il percorso museale? 

È un percorso ricco ma anche semplice, per non appesantire il visitatore. Si parte dal periodo delle Accademie legate alla pittura neoclassica, come il Cimabue e Giotto di Andrea Besteghi, in cui rappresenta Cimabue che riconosce in Giotto, bambino, il genio. Le sezioni poi si diramano attraverso l’approfondimento dei vari stili d’epoca: il periodo Goupil, mercante francese che diffuse opere ispirate al Settecento; e il periodo neo-pompeiano, un revival di gusto legato agli scavi e alle scoperte archeologiche di Pompei. Segue il Realismo, con artisti come Luigi Busi con Il paggio e la duchessa, grande opera inedita che, in una fantasmagoria di dettagli, rappresenta una donna che mangia un melone e viene servita da un servo pigmeo che le porta un carillon. Tra i realisti anche Luigi Serra, o Raffaele Faccioli con il suo Concerie in via Capo di Lucca. Si continua con il Naturalismo, in cui si trova per esempio Luigi Bertelli, importantissimo artista autodidatta da San Lazzaro di Savena; e con la pittura di Fin de Siècle, quando i mutamenti di gusto portano a percorsi legati all’illustrazione. In quest’ultima sezione, spicca il triestino Marcello Dudovich che, trasferitosi a Bologna, se ne innamora e si ritrae davanti al suo studio insieme alla moglie con alle spalle San Domenico; e troviamo quadri di grande rilevanza come Le pescatrici nell’Arno di Fabio Fabbi. Lo stesso artista è parte della sezione dedicata all’orientalismo, insieme al fratello Alberto Fabbi. Segue il periodo del Simbolismo, una sala che potrebbe fare invidia a tutta Italia, dal momento che si trovano i quadri di Mario De Maria (tra cui L’alunna, ispirata a un’opera dell’amico Gabriele D’Annunzio) e di Augusto Sezanne (tra cui tre dei venti dipinti del ciclo veneziano), fondatori della Biennale di Venezia. Il percorso si conclude con i Secessionisti, ovvero artisti che nel periodo della secessione romana (1913-16) portarono la pittura ottocentesca nel nuovo secolo. 

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In quanto giovane storica dell’arte, curatrice e archivista, come si pensa oggi una sede espositiva? 

Penso sia importante che una sede espositiva oggi si componga sia di opere d’arte sia di documentazione storica, ed è quello che ho cercato di fare con il Museo Ottocento. Per esempio, l’angolo orientalista vede i fratelli Fabbi a confronto, ma si completa di materiali come fogli di viaggio, diari, etc. Una sede museale a mio parere dovrebbe quindi poter documentare la visione artistica non soltanto attraverso le opere ma anche con le fonti, perché le due si relazionano e si irradiano vicendevolmente. 

Il Museo sorge in pieno centro, in Piazza San Michele, integrandosi con il tessuto museale di Strada Maggiore e non solo. In che termini si svilupperanno le relazioni con gli altri poli museali della città?

È ancora tutto da costruire, ma ci saranno di certo collegamenti con le sedi museali attorno a noi. In particolare la direttrice di Musei Civici Bologna Eva Degl’Innocenti si è dimostrata molto interessata a creare delle collaborazioni, le modalità e i progetti sono da scoprire. Il Museo dell’800 nasce già come un punto di riferimento per la città, perché tra gli obiettivi primari c’è quello di informare i visitatori su dove possono trovare in giro per Bologna, altre opere degli artisti esposti. 

Il Museo Ottocento è una sede espositiva, ma anche un centro di ricerca e formazione. Come si struttureranno e quali saranno le opportunità per studenti e ricercatori? Sono previste inoltre attività collaterali (incontri, approfondimenti, workshop, etc) per la cittadinanza e i visitatori?

Grazie alla convenzione con l’Università di Bologna, sono già stati coinvolti studentesse e studenti per il tirocinio curricolare, che si occuperanno delle visite guidate. Si tratta di un percorso volto a formare ragazze e ragazzi sulla storia dell’arte ottocentesca bolognese, sia sul piano teorico sia su quello pratico. L’approfondimento e lo studio avverranno anche attraverso la realizzazione di una rivista del museo, la gestione dei social e altre iniziative in via di definizione. Sono in programma inoltre attività collaterali, come workshop dedicati a specifici focus, come quello dedicato al restauro. Il Museo è una realtà no profit: il ricavato, escluse le spese, andrà in nuove acquisizioni e in borse di studio per ricercatori in storia dell’arte dell’800-‘900. Si intende in questo modo costruire una rete di “amatori del bello”, che possa contribuire in concreto alla realizzazione di un progetto capace di innescare un circolo virtuoso intorno all’Ottocento bolognese.