Dal 2019 raddoppiati i disturbi alimentari in Regione

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In occasione della Giornata Nazionale del Fiocchetto Lilla, istituita nel 2012 per accendere i riflettori sui DNA – Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione – l’Ordine delle Professioni Sanitarie di Bologna ha posto l’accento sui sempre più crescenti casi di disturbi alimentari registrati in Regione negli ultimi anni: raddoppiati rispetto al 2019 e con un esordio in età sempre più precoce.

Le statistiche non sono confortanti e i disagi soprattutto negli adolescenti sono silenti, spesso sottovalutati o imputati ai capricci dell’età e della crescita.  

Con Non ho fame!, il webinar organizzato dalla comunità scientifica bolognese, sono stati analizzati vari aspetti e dati alcuni suggerimenti utili a tutti – soprattutto a genitori, insegnanti, preparatori atletici e sportivi – per riconoscere precocemente gli indizi segnalatori del disturbo che se non tempestivamente diagnosticato può scivolare rovinosamente in una vera e propria malattia con gravi, se non irreparabili, conseguenze.

Il disagio è una sofferenza silenziosa che passa anche attraverso il rapporto con il cibo e colpisce un ragazzo italiano su tre tra i 6 e i 18 anni. Il dato è ben al di sopra della media internazionale, che si aggira attorno al 20% (metanalisi condotta dall’Università de Castilla-La Mancha e pubblicata su Jama Pediatrics). Allarmante è anche il dato anagrafico rilevato a seguito della pandemia da Covid-19, che ha influito sull’aumento della sofferenza emotiva e psichica degli adolescenti e che si attesta attorno ai 10 anni contro un’età media di esordio tipica di 12-25 anni. In crescita sono anche gli accessi ai pronto soccorsi e alle strutture psichiatriche pubbliche. Senza contare i pazienti che si rivolgono ai liberi professionisti.

Come comportarsi di fronte al problema?
Prima di tutto è necessario saper cogliere nella persona i segnali di disturbo alimentare.
Per intercettarli occorre prestare attenzione a particolari comportamenti – dieta ferrea che non ammette “sgarri”, tentativi di evitare i pasti o far credere di aver già mangiato, controllo ossessivo delle calorie sulle etichette dei cibi, controllo frequente del proprio peso e della propria immagine alla specchio, eccessivo uso del bagno in particolare subito dopo i pasti, profonda insoddisfazione del proprio aspetto – e a determinati effetti fisici – disidratazione, crampi, variazione di peso repentine, insonnia, stanchezza, vertigini, svenimenti e disturbi dell’equilibrio, callo sul dorso della mano, irregolarità mestruali, disturbi gastro-enterici. La pratica di queste brutte “abitudini” – allerta la comunità scientifica bolognese – può accentuare o scatenare ulteriori sintomi dovuti al sottopeso e alla restrizione alimentare, come l’isolamento sociale, i frequenti cambiamenti d’umore, l’irritabilità, l’ansia e stati depressivi, la riduzione della capacità di concentrazione e la scarsa capacità di giudizio.

Non da meno, come è determinante intercettare i campanelli d’allarme è necessario saper distinguerli dai disordini alimentari. Ma qui l’occhio attento dei genitori, insegnanti, preparatori atletici e sportivi non basta, occorre capire scientemente se ci si trova di fronte a una temporanea mancanza di appetito, a intolleranze alimentari o si è in presenza di una patologia spesso scaturita da sofferenze e disagi psicologici espressi attraverso malesseri fisici che portano alla malattia. L’intervento di professionisti esperti è fondamentale. I DNA sono malattie complesse, si presentano con molte sfaccettature diverse e le cause non sono ancora note, come sono svariati i fattori che incidono sul benessere dell’individuo-paziente, sui familiari e di tutti quelli che lo circondano.

Non è facile capire il “mostro silenzioso” che si ha di fronte e soprattutto in mancanza di una formazione professionale non si hanno gli strumenti efficaci per prevenire e curare la malattia. Tra le svariate forme di espressione del disagio (cause), studi in materia hanno identificato numerosi fattori di rischio potenziali individuali, familiari e socio culturali, come la bassa autostima, il perfezionismo, l’interiorizzazione dell’ideale di magrezza, l’insoddisfazione per l’immagine corporea, le prese in giro per il peso e la forma del corpo, la pressione sociale ad essere magri che portano le persone ad adottare comportamenti estremi e non salutari di controllo del peso e della forma del corpo, il relazionarsi in ambienti sempre più competitivi, dalla scuola ai cosiddetti “lean sport” che si focalizzano sul mantenimento di standard corporei molto rigidi.

Quali sono Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione (DNA)?
Sono diversi, tutti associati da forme comuni ma hanno diverse espressioni. Primo fra tutti, che si presenta già dalla prima infanzia, è il PICA, ovvero l’ingestione di sostanze non alimentari, come la terra. Tra i più comunemente conosciuti: l’anoressia nervosa, la bulimia nervosa, il disturbo da alimentazione incontrollata, le abbuffate e l’eccesso di attività fisicaOramai noto, invece, è il forte legame tra DNA e Sport. Uno settori più colpiti è quello sportivo con alte percentuali di rischio: richieste di regolare il peso, esaltazione di perfezionismo e dedizione, viaggi e pasti fuori casa. In questo frangente il coach svolge un ruolo importante, sia per carisma che per autorevolezza, poichè, oltre la famiglia, è il punto di riferimento per l’atleta, è indispensabile nella prevenzione e nell’identificazione del problema e può facilitare la terapia attraverso l’incoraggiamento. Tra i disturbi specifici nello sport troviamo anche l’anoressia atletica, si basa sull’erronea convinzione che un basso apporto calorico porti a un miglioramento nelle performance; o la dismorfia muscolare che per lo più riguarda uomini adulti dediti al culturismo. È un disturbo subdolo perchè è socialmente accettato e non suscita alcun campanello d’allarme. Oppure ancora l’ortoressia, l’ossessione per il cibo salutare o presunto tale; la triade femminile (o maschile) dell’atleta, ossia il deficit energetico che può portare a conseguenze severe quali decalcificazione delle ossa, osteoporosi e disfunzioni mestruali.

Come intervenire. La terapia.
Per comprendere appieno la malattia gli specialisti fanno riferimento alla metafora dell’iceberg: quello che noi vediamo è in realtà la modalità di espressione di un disagio psicologico che difficilmente emerge in modo visibile. In alcuni casi la persona con disturbi alimentari può avere un aspetto sano, ma avere disagi fisici e psicologici importanti. Spesso frutto di autoimposizione, il disagio è egosintonico, ossia diventa parte della propria identità, della persona e dell’immagine che si è sviluppata di sé stessi e di ciò che si desidera. Da qui la difficoltà del paziente a riconoscere il problema e ad avviare una terapia.

La soluzione passa attraverso diversi canali. Lo stesso Ministero della Salute ha messo a punto un documento Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione: Raccomandazioni per i Familiari, volto ad aiutare i genitori e le famiglie fornendo delle prime risposte su come riconoscere i sintomi dei disturbi della nutrizione e dell’alimentazione, a comprenderne la natura e a fornire un orientamento sulla scelta del trattamento. Più centrato, invece, sulle gestione delle dinamiche e relazioni familiari è il manuale Disturbi dell’alimentazione: una guida pratica per i familiari (Ed. Positive Press, 2016) a cura del Dott. Riccardo Dalle Grave.

Nella pratica le cose cambiano.
I soggetti – familiari o educatori – che si relazionano con una persona con evidenti sintomi di DNA devono chiedere aiuto a un professionista e avviare insieme un percorso di cura.

A chi rivolgersi?
I DNA richiedono un approccio multi-specialistico, fondamentale nell’individuazione precoce delle problematiche, nel trattamento e soprattutto nei percorsi riabilitativi, di prossimità o al domicilio, permettendo ai pazienti un reinserimento graduale e controllato nella quotidianità, anche al fine di attenuare il rischio di ricadute. Fondamentale è anche il ruolo svolto dai familiari e dalle persone più prossime al paziente – educatori, insegnanti, allenatori -, devono essere alleati del trattamento e non della malattiaIl nostro Sistema Sanitario offre il supporto medico-terapico partendo dal Medico di Medicina Generale, in alternativa dal Pediatra per arrivare ai Centri Specialistici AUSL. Questi a loro volta interesseranno un’Equipe medica multidisciplinare di liberi professionisti – medico specialista in scienza dell’alimentazione, psichiatra/neuropsichiatra infantile, dietista, fisioterapista e psicologo – formati ed esperti nel trattamento dei DNA.

L’importante è che ci sia piena circolarità e comunicazione tra i professionisti dell’equipe. Il trattamento è efficace se è coinvolta l’intera equipe con il supporto sia dell’Educatore Professionalesostiene il paziente in un percorso di motivazione al cambiamento e lo accompagna nella riappropriazione della propria quotidianità e delle relazioni sociali, emotive e di vita, che del Dietista – valuta insieme al medico specialista lo stato nutrizionale del paziente e ne svolge la riabilitazione attraverso diverse pratiche come i training di familiarizzazione con il cibo e i pasti assistiti.

Tutte le informazioni su www.guidaservizi.fascicolo-sanitario.it