Amleto, uno qualunque

0

.

C’è modo e modo di raccontare un fatto.

Ad esempio, se dico “sono andato a vedere uno spettacolo a teatro” sto comunicando qualcosa, mentre con “sono andato a vedere lo spettacolo Un principe, di Occhisulmondo, al Teatro Testori” comunico qualcos’altro.
La prima frase parla di tutti i teatri e tutti gli spettacoli del mondo che io sono andato a vedere. La seconda parla di uno solo.

Ecco, lo spettacolo Un principe è un modo di raccontare Amleto diverso dal modo shakespeariano. Lo si capisce subito dal titolo. Amleto è un nome proprio di persona che indica subito e in modo specifico di chi stiamo parlando. Un principe è un modo vago per indicare un principe come un altro. L’Amleto protagonista di Un principe, dunque, non è un principe specifico e ben definito, ma uno qualunque.

Infatti indossa una maschera. E la maschera annulla l’identità specifica e ne fa assumere una più universale.

Nello spettacolo, diretto da Massimiliano Burini, non solo Amleto, ma tutti i personaggi indossano maschere.

Una scelta coerente con il percorso artistico della compagnia Occhisulmondo, che delle maschere ha fatto la propria cifra stilistica, tanto da avere un libro a loro dedicato dal titolo Maschere in trappola.

In copertina c’è proprio lui: il principe di Un principe. Tiene la corona in mano, preparandosi a indossarla, esitando, come nella primissima scena dello spettacolo, dove gli attori, nelle vesti dei personaggi di corte, si muovono a scatti alle spalle di Amleto, come incastrati nelle trame della politica, di cui sono tutti marionette, prive di coscienza propria.

 

 

È questo il tema su cui si gioca tutto lo spettacolo. Avere o non avere coscienza. Prendersi o non prendersi le responsabilità. Essere o non essere. Tutto qui.

A queste due frasi è ridotto il famoso monologo shakespeariano nella versione di Occhisulmondo, perché alla fine è questo quello che si vuole dire. Il monologo si fa sintetico per essere universale. Sembra poco nelle corde di quel prolisso di Amleto, ma ricordiamoci che questo non è Amleto, è Un principe.

Attorno al principe ci sono gli altri personaggi, vestiti da Francesco “Skizzo” Marchetti con costumi che ricordano la corte del film Alice nel paese delle meraviglie e rimandano a quel senso di incartamento in sé stessi che contraddistingue sia le marionette dello spettacolo che le carte di Alice. Gli unici ad avere un aspetto diverso sono Ofelia, con un costume che ricorda quello di Milla Jojovich ne Il quinto elemento e Rosencrantz e Guildestern, vestiti di nero ma con il viso bianco e i capelli rossi del pagliaccio, rigorosamente insieme, appiccicati come un solo uomo. E attorno agli altri personaggi c’è solo il buio del palco praticamente vuoto.

A fare da scenografia sono le luci e i movimenti, entrambi studiati con precisione. Le prime disegnano un ambiente contrastato e giocano, soprattutto nel finale con effetti stroboscopici che sembrano congelare le figure a mezzo dei loro gesti. Questi ultimi sono ciclici, ripetuti, spesso frenetici e caratteristici di ogni personaggio, emblematici del suo carattere. Ad esempio il voler nascondere la mano destra, macchiata dell’omicidio, dello zio di Amleto o lo stare sulle punte di Ofelia, il cui destino è sospeso e in balia degli altri personaggi.

Movimenti rigidi, da marionetta, e un fiume di parole (mutuato da Shakespeare) costituiscono il corpo dello spettacolo, almeno fino all’atto finale. Dal momento in cui la pazzia di Ofelia si concretizza, Laerte si prepara alla vendetta e il dramma si avvia al tragico conflitto finale il tono cambia. Le parole si spengono via via, fino a sparire del tutto, forse a voler dire che i personaggi non hanno più la possibilità di parlare e scegliere un’altra strada. I loro destini sono segnati e al silenzio delle voci si sostituiscono la danza e i gesti al ritmo della musica, che non ha più un sapore antico, come il valzer della scena iniziale, ma si fa pop e attuale (nel finale suonano gli Irrepressibles).

Un principe vuole essere un po’ questo: un Amleto pop e attuale, che pesca dal mazzo di carte di Alice, dal quinto elemento, dalla musica di oggi, per confezionare uno spettacolo universale che parli di una maschera in cui l’uomo di adesso può cercare di ritrovarsi.