Laurie Anderson al Ravenna Festival: una rosa è una rosa è una rosa

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ph © Ravenna Festival | Zani-Casadio

 

«Una cosa è contenta d’essere guardata dalle altre cose solo quando è convinta di significare sé stessa e nient’altro, in mezzo alle cose che significano sé stesse e nient’altro»: vien da pensare al Palomar di Italo Calvino, autore a cui in occasione del centenario della nascita il Ravenna Festival ha dedicato l’edizione 2023, leggendo il titolo del concerto di inaugurazione, Let X = X della mitologica Laurie Anderson, 76 anni compiuti due giorni prima e la voce, la visionarietà e il fascino di sempre.

Let X = X: permettere fenomenologicamente (o, meglio, non opporsi al fatto) che una cosa sia una cosa. E nient’altro.

Ce lo ricorda Calvino, appunto.

Ma anche il celebre verso di Gertrude Stein posto a titolo di queste righe.

Ieri sera ce lo ha ribadito Laurie Anderson, in un Palazzo Mauro De André bello pienotto, per l’occasione.

 

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Ciò che è stato dato a sentire e a vedere, ci pare il dato più netto di questa inaugurazione, ha rimarcato l’importanza della dimensione linguistica di ogni atto comunicativo e il precetto strutturalista della primarietà delle relazioni sui termini, nel continuo muoversi tra due polarità forse sintetizzabili con l’antica formula “qui e ora, qui e allora”.

Questa lunare e stralunata contastorie ha dato luogo a una sorta di teatro totale à la Wagner in cui la molteplicità di stimoli sensoriali e immaginali ha creato una wunderkammer sempre in bilico tra rimando all’ineludibile qui e ora di ogni esperienza e costruzione di un immaginario, o fuga nell’allora.

Alcune esperienze proposte alla platea hanno riportato senza posa al presente del vissuto individuale e collettivo: l’urlo liberatorio à la Yoko Ono, la breve sequenza di Tai Chi -arte della meditazione attraverso il movimento- a fine serata, il mutevole impasto sonoro e visuale in molti momenti imprevedibile, finalmente libero dall’anestetizzante salvagente del già noto, manciate di molecole percettive gettate alla ricezione in maniera apparentemente casuale, certo non immediatamente codificabile.

Se e quando la musica è un universo senza univoco centro di gravitazione l’ascoltatore, privato della possibilità di riferirsi a un mondo stabilmente strutturato, dovrà aderire senza alcuna mediazione al mondo creato dal compositore: l’opera strapperà l’uditore alla sua passività.

«La musica non trova la sua struttura definitiva che nell’attualità del tempo vissuto» potremmo sintetizzare con la filosofa Gisèle Brelet.

 

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Al contrario e parallelamente, numerosi stimoli all’altrove, nel concerto di Laurie Anderson: la riproposizione di alcuni brani molto noti, con l’inevitabile scivolamento nel ricordo individuale di tutti e di ciascuno, quando si era -ben più di oggi- nel principio, l’insistita citazione di «eroi», molti dei quali son stati suoi sodali (la già citata Yoko Ono, ma anche John Cage e Chris Burden, tra gli altri), il reiterato ricorso all’immaginario spaziale e alla metafora del viaggio interstellare.

Lo diceva già Immanuel Kant: le opere d’arte esibiscono due caratteristiche definitive. Possiedono bellezza formale e un contenuto rappresentazionale: il potere di eccitare una catena di idee ineffabili, le idee estetiche che, come la bellezza della forma, innescano il libero gioco di immaginazione e intelletto.

 

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Tutto questo Laurie Anderson lo ha fatto -non poteva non farlo, si potrebbe certo specificare- con la propria peculiare sintassi scenica intrisa di voci e suoni sinteticamente trattati e (ri)prodotti, ironiche affabulazioni e note ribattute, attitudine didattica e incedere sincopato, rarefazioni e improvvise moltiplicazioni di significanti e significati.

Detto altrimenti: il qui e ora dell’arte performativa che ontologicamente si consuma e scompare nel suo farsi e darsi, ieri a Ravenna si è allargato e moltiplicato in un sistema aperto e accogliente, cioè un luogo, semioticamente parlando, in cui ogni entità ha valore solo se messa in rapporto con altre.

 

ph © Ravenna Festival | Zani-Casadio

 

Dal punto di vista tematico, quattro sono i principali nuclei referenziali attorno ai quali il dispositivo si è articolato: l’Intelligenza Artificiale (che lei oggi usa per comporre brani musicali, ha raccontato), lo storytelling (qui da intendersi, austinianamente e pragmaticamente, come possibilità di fare cose con le parole), gli eroi e la diade passato/futuro.

A tal proposito, e per concludere, un elemento peculiare della proposizione di Laurie Anderson e compagni è stata l’abilità equilibrista di far organicamente convivere e risuonare polarità tanto difformi, secondo un’idea e una prassi olistica di arte come integrazione di elementi che reciprocamente si stimolano e arricchiscono

Per dirla col Calvino delle Città invisibili (titolo anche del libro-catalogo del Ravenna Festival 2023): «Non solo a vendere e a comprare si viene a Eufemia, ma anche perché la notte accanto ai fuochi tutt’intorno al mercato, seduti sui sacchi o sui barili, o sdraiati su mucchi di tappeti, a ogni parola che uno dice – come “lupo”, “sorella”, “tesoro nascosto”, “battaglia”, “scabbia”, “amanti” – gli altri raccontano ognuno la sua storia di lupi, di sorelle, di tesori, di scabbia, di amanti, di battaglie. E tu sai che nel lungo viaggio che ti attende, quando per restare sveglio al dondolio del cammello o della giunca ci si mette a ripensare tutti i propri ricordi a uno a uno, il tuo lupo sarà diventato un altro lupo, tua sorella una sorella diversa, la tua battaglia altre battaglie, al ritorno da Eufemia, la città in cui ci si scambia la memoria a ogni solstizio e a ogni equinozio».

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