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Mugugnava, il tizio seduto di fianco a noi ieri sera alla Casa del Teatro di Faenza mentre Mauro Lamantia / Antonio Gramsci ci (gli) parlava con veemente assertività.
Mugugnava da pazzi: mm.
Mmm!
Mmm.
Come quando qualcuno ci parla e noi emettiamo piccoli suoni per «confermare fattivamente la nostra partecipazione allo scambio comunicativo», come si suol dire in psicologia della comunicazione.
Mugugnava senza posa: in tutta evidenza si sentiva parte di quel discorso.
Ma facciamo un passo indietro.
Anzi, due.
Primo passo indietro: stiam parlando di Gramsci Gay, monologo popolato di Studio Doiz, prodotto dal proteiforme gruppo ravennate insieme ad Accademia Perduta/Romagna Teatri e presentato ieri sera nell’ambito della rassegna Teatri d’Inverno – sguardi sulla drammaturgia contemporanea.
Secondo passo indietro: per capire di cosa stiam parlando riportiamo integralmente la perfettamente sintetica presentazione dello spettacolo presente nel programma di sala e nella pagina ad esso dedicata nel sito della Compagnia.
«1920. Lo sciopero delle lancette – 200 mila lavoratori pronti a instaurare la rivoluzione comunista in Italia – è stato un grande fallimento. Un Antonio Gramsci non ancora trentenne si confronta con gli operai torinesi per convincerli che la strada dell’agitazione è ancora quella giusta da percorrere.
2019. Su un muro del carcere di Turi viene imbrattato un famoso murales dedicato a Gramsci, che proprio in quel carcere aveva passato cinque anni della sua prigionia scrivendoci il grosso dei suoi Quaderni. Una mano anonima ha scritto “gay” sulla fronte del fondatore del Partito Comunista Italiano. Nello spettacolo Nino Russo, il vandalo di fantasia del murales, viene colto in flagrante e trascinato in commissariato per un interrogatorio molto diverso da quello che si aspetta.
Questo spettacolo unisce i puntini per riflettere sul rapporto fra politica e indifferenza, impegno e disillusione, fuoco e cenere».
Detta così, abbiam pensato prima dell’inizio, il rischio è quello di uno spettacolo a tesi.
Peggio, di uno spettacolo da boomer: da «una volta era meglio».
Una cosa tra predica e scoramento, che non servono a nessuno.
E invece.
Invece questo spettacolo è cosa viva, e scalciante, che fa mugugnare tutto il tempo il nostro vicino, perché gli parla.
Ci parla.
Parla.
Questo, abbiam pensato, accade principalmente per tre motivi.
L’ATTORE
Mauro Lamantia ha una faccia stranissima. Magnetica. Tra Jim Carrey e Ninetto Davoli.
E un corpo vibrante, vivo.
Mauro Lamantia ha un’esattezza, nella partitura vocalica e fisica del suo agire -costruita in dialogo con il regista Matteo Gatta ed i perfetti costumi di Gaia Crespi– che rende danza il suo dire, eloquente il suo stare.
Mauro Lamantia è giovane e, per noi, una gran scoperta. Da tener d’occhio, nei suoi passi futuri.
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LA SCRITTURA
Dal punto di vista testuale, le precise parole di Iacopo Gardelli danno luogo a un accadimento che nel significante, prima e più che nel significato, manifesta consistenze speculari.
L’andamento sincopato e didattico, interlocutorio ed entusiasta, incoraggiante e severo dell’esattissimo, colto dire gramsciano si specchia e compenetra nel magmatico turpiloquio del giovane disilluso, incattivito, abbruttito autore della scritta sul murales.
La scrittura scenica riprende e amplifica questa dualità verbale: a far del linguaggio, com’è opportuno, materia.
Un esempio fra molti: le molte sedie, unico oggetto di scena, nella prima parte ordinatamente raccolte al centro, nella seconda sparse, riverse, percosse.
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I PUNTINI DA UNIRE
«Questo spettacolo unisce i puntini» scrive la Compagnia.
Quel che più conta, consegna a noi queste due metà con l’oggettività di un fatto, per dirla parafrasando Deleuze.
Ci lascia a fare i conti con una sostanza in vivente trasformazione: non lancia messaggi univoci, non forza interpretazioni.
Circonda un vuoto, che è poi quello che sempre fa l’arte antica del teatro, quando è tale.
Noi ci troviamo nel mezzo, tra questi poli opposti e complementari di significazione.
Tra un prima e un dopo.
Proprio nel punto, millimetrico e feroce, in cui il fuoco diventa cenere.
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