.
È in partenza a Firenze, presso la sede dei Chille de la balanza a San Salvi, un corso gratuito di alta formazione dal titolo L’attore necessario (richieste di iscrizione entro l’1 ottobre – info qui).
L’occasione è propizia per ragionare insieme ai fondatori di questo storico ensemble sulla trasmissione del sapere teatrale.
.
Claudio e Sissi, ci raccontate un breve episodio in cui, come allievi, avete appreso qualche cosa di specifico e concreto sull’arte dell’attore?
Claudio: Da ragazzino, avrò avuto 15 anni, ero pieno di sfrontata energia giovanile. Una sera, in uno dei miei primi spettacoli, affiancato da mio padre, uomo di teatro che aveva realizzato per me costumi e oggetti e mi seguiva a distanza, mi accorsi di star male. Forse un colpo di freddo o una bibita ghiacciata. Comunque sia, sentivo di essere sul punto di vomitare. Mio padre mi guardò, senza dir nulla. Mi fece capire con gli occhi che sarei dovuto comunque andare in scena, ma in qualche modo adattando i miei movimenti a ciò che in quelle condizioni potevo fare. Gli sorrisi come a rassicurarlo e con la sfrontatezza giovanile di allora partii sicuro di me. Entrai in scena: una giravolta veloce, un salto, un altro giro e buah… vomitai: lo spettacolo si interruppe. Di lì a pochi minuti ritornai in scena, ma ti lascio immaginare in quali condizioni. Sono passati quasi sessant’anni da allora, ma quella lezione è ben presente! Il mestiere dell’attore richiede un controllo assoluto. Occorre avere consapevolezza dei limiti del proprio corpo, istante dopo istante, per raggiungerli senza valicarli. Negli anni, sono andato in scena nelle condizioni psicofisiche più incredibili, ma sempre senza problemi. È importante per rispetto del pubblico e della relazione amorosa con lo spettatore che nasce ogni volta che si è in scena.
Sissi: Per me si è sempre allievi perché è determinante l’osservazione. Da quasi 50 anni apprendo l’arte dell’attore semplicemente osservando e ascoltando il mondo e le persone che incontro. Il mio punto di svolta è stato tanti anni fa quando ho sentito dentro di me vibrare la mia energia in dialogo (o relazione) con l’altro.
.
Da molti anni, parte della vostra intensa attività è dedicata alla formazione. Io stesso ho incontrato più volte donne e uomini di teatro che mi hanno raccontato di essere stati “a bottega” da voi. Tre parole-chiave che indirizzano in maniera netta il vostro fare pedagogico?
Sissi e Claudio: Ce ne vorremmo prendere quattro…meglio cinque di parole. Da anni la nostra attività formativa si chiama Corpo Spazio Parola. Aggiungeremmo Relazione e Reciprocità.
.
Nel titolo del percorso in partenza evocate la necessità. Il teatro può certo migliorare la qualità della vita di chi lo incontra, ma se penso al termine da voi usato mi vengono in mente il cibo, una casa, le cure mediche, la pace. Di quale necessità parlate?
Claudio: Amiamo definire il teatro “dispendio amoroso della vita”. “Attore necessario” viene da Artaud. È un’articolazione di quanto esprime in una lettera a Paule Thévenin, quando parla di Teatro necessario – Teatro di sangue: “E mi consacrerò ormai / esclusivamente / al teatro / come lo concepisco, / un teatro di sangue, / un teatro che ad ogni rappresentazione / avrà fatto / guadagnare / corporalmente / qualcosa / tanto a colui che recita che a colui che viene a veder recitare. / Del resto non si recita /si agisce. Il teatro è in realtà la genesi della creazione”. Per Artaud, e per noi con lui, il Teatro non serve a migliorare la qualità della vita, ma a creare Vita: perciò è necessario.
.
.
«Il teatro dei Chille è semplicemente e soltanto un teatro degli affetti», dichiarate nei materiali di presentazione di questo percorso di formazione. Penso alla Storia della Musica, a come «muovere gli affetti» fosse la parola d’ordine in tutti i trattati teorici dalla seconda metà del Cinquecento in poi. Penso alla precisione, finanche alla meccanica di questo «movimento degli affetti». Per chiarire -e al contempo allontanarsi da ogni pressapochismo dilettantesco e spontaneistico- che tipo di formazione tecnica incontrerà, chi frequenterà il vostro percorso?
Claudio: Nella nostra ricerca (o ritrovamento, come preferiamo dire) partiamo da Maestri del Teatro del Novecento: Mejerchol’d, Artaud, Grotowski, Eduardo. Dal regista russo prendiamo l’educazione teatrale con protagonista il corpo dell’attore visto nella sua interezza: mezzo di creazione artistica e strumento di comunicazione. Da Artaud assumiamo la crudeltà, da intendersi principalmente nel senso di rigore e necessità dell’agire da parte dell’Attore, finalmente creatore e non più semplice esecutore e ri-produttore di emozioni. Da Grotowski il percorso di rimozione degli ostacoli alla libera espressione. Da Eduardo la necessità di dar vita ad una bottega teatrale totale e permanente, senza rigidità di ruoli, che includa la partitura di silenzi-gesti.
Sissi: Come mettere insieme tutto ciò? Pensiamo sia possibile solo dando vita ad un teatro degli affetti, capace di far vivere agli attori un libero incontro-relazione multisensoriale tra Persone. In concreto, il nostro non è un metodo oggettivo con esercizi di formazione tecnica predeterminati, ma un intreccio di tanti percorsi soggettivi inventati e realizzati giorno dopo giorno, a partire dalle diverse possibilità espressive e dai desideri di tutti i partecipanti. E dalle indicazioni dei Maestri su citati.
,
Ancora: nei materiali di presentazione, parlate del «“sentirsi centro” quale condizione essenziale per esprimersi». Questa espressione mi ha colpito e spiazzato. Se penso al vostro lavoro, nell’ex città-manicomio di San Salvi et ultra, mi pare che il fuoco sia in primis l’incontro con l’Altro da Sé, non l’idea (storicamente) romantica di arte come manifestazione di un proprio intimo contenuto. Di quale centro parlate? E di quale possibile espressione?
Sissi e Claudio: Proprio l’ostinata attenzione ai desideri-esigenze dei partecipanti al percorso formativo fa sì che con noi tutti si sentano “soggetti” del percorso. È questo il “sentirsi centro” che individuiamo come pre-condizione essenziale per esprimersi. Non si tratta di manifestazioni di un intimo contenuto: è l’esser centro comprendendo con tutti i sensi, vivendo la dimensione di Attore creatore. Naturalmente tutto poi si completa-rafforza nell’incontro con l’Altro, ma in partenza occorre già “sentirsi centro”.
.
Diciamolo: esiste (o più spesso non esiste) il talento. Ragionando in termini professionali e non di animazione -attività ovviamente più che meritoria, che usa lo strumento teatrale per valorizzare i contenuti di ogni persona e le relazioni tra i singoli- cosa non è possibile insegnare, a chi talento non ha?
Sissi e Claudio: L’assenza di giudizio è per noi condizione basilare per far partire un percorso formativo. Se hai paura di esser giudicato, ti chiudi ed è praticamente impossibile rimuovere gli ostacoli alla tua libera espressione. Fai solo ciò che sai già fare. Non serve! L’assenza di talento non è per noi rilevante, anche perché spesso è davvero difficile capire a prima vista chi abbia talento e chi no. Soprattutto nei tempi brevi come quelli di un percorso formativo. Spesso incontriamo attori “diesel”, cioè Persone che solo dopo molto tempo manifestano le loro potenzialità, talvolta straordinarie. Al contrario, altri attori, più talentuosi a prima vista, spesso non resistono al lungo, crudele lavoro che il Teatro richiede.
.
.
Al contrario e in via complementare: come si tengono a bada, i rischi di chi invece ha naturalmente molto talento?
Claudio: Se ti trovi a lavorare con persone dotate davvero di “molto talento”, non ci sono rischi da tenere a bada: è una fortuna! Il problema è che talvolta si incontrano persone che intendono il talento come attitudine a prevaricare i compagni di lavoro, magari evidenziandone le singole caratteristiche come dis-valori, creando così un ambiente sfavorevole alla vera creazione. Ritengo che sia impossibile creare in una situazione di tensione e concorrenza tra gli attori. In questo caso, però, non parlerei di persone con talento, ma solo egocentriche.
.
Infine, per accennare a una questione molto viva, oggi: in che modo la vostra identità di genere influenzerà ciò che individualmente condividerete con le persone partecipanti?
Sissi: Il genere non ci imprigiona. La fluidità dell’identità di genere, che oggi si manifesta in modo evidente, ha da sempre trovato casa nel Teatro che per sua natura e costituzione non vede distinzione maschile/femminile. È perciò per noi molto naturale metterci in gioco e condividere il nostro lavoro, che abita il confine dell’identità di genere.
.
Grazie.
,