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Di Caravaggio ci aveva già parlato qualche anno fa in un suo tour teatrale certamente più spumeggiante, scintillante e spigliato. Incuriosiva certamente l’accostamento tra il poeta di Casarsa della Delizia con il pittore della luce, entrambi, usando direttamente le parole di Vittorio Sgarbi, apparso sottotono e stanco (forse anche per la battaglia contro il tumore), accomunati da vite travagliate e maledette. Però se l’inizio prometteva molto bene con continui parallelismi e paragoni tra il regista di Salò o le 120 giornate di Sodoma e il Cavaliere di Malta lentamente del poeta se ne perdono le tracce e il discorso vira totalmente sui dipinti di Caravaggio (non sulla vita teatralmente affrontata decisamente meglio nella pièce Caravaggio. Di chiaro e di oscuro con Luigi D’Elia, scritto da Francesco Niccolini) e altri raffronti pittorici, alti e degni, ma fuori contesto. Sempre ragionamenti competenti che potevano assolutamente trovare una loro declinazione in un’aula magna universitaria ma che in teatro sono risultati assopenti, scialbi, appassiti. Il teatro è un’altra cosa, il teatro non è un luogo come un altro dove poter esprimere le proprie convinzioni, opinioni o tesi, il teatro ha la sua magia da rispettare, le sue regole, il suo non-detto. Anche il tono era compassato, la narrazione lenta, lo svolgimento faticoso da seguire e l’attenzione della platea a poco a poco è scemata in una soporifera attesa. Che poi cercare le similitudini del Fanciullo con il canestro di frutta con Ninetto Davoli o il Bacchino malato con Franco Citti o ancora riconoscere nel volto dell’angelo nudo del dipinto Amor vincit omnia quello del suo, vero o presunto, assassino Pino Pelosi, è roba da toponomastica facciale che niente apporta all’analisi, alla discussione, alla dialettica della comparazione tra questi due giganti dell’Arte italiana. Ha colpito soprattutto la visione del corpo sfatto, con il volto praticamente cancellato di P.P.P.
Ad una esibizione insoddisfacente ha fatto da contraltare un contrattempo, una piccola (ma esemplificativa dei tempi che viviamo e del nostro Paese ormai impaurito e pusillanime) divagazione al momento dell’ovazione anch’essa leggermente sfiancata e poco convinta. Sul finale, per movimentare un po’ la serata addormentata, arrivava una minima inquietante suspense, un fuori programma del quale facevamo volentieri a meno: sugli applausi, alla seconda entrata del critico teatrale per ricevere l’acclamazione fiacca del suo pubblico, sale (anzi salta) sul palco un agile signore (dall’abbigliamento l’immaginario richiamava i centri sociali) che, con accento straniero, le braccia in alto con gli indici verso il cielo, neanche avesse segnato una rete ai Mondiali, farfugliava frasi sconnesse rimanendo lì sopra, braccia e gambe larghe come l’Uomo vitruviano quasi in un saltello appena accennato (come l’esultare di Antonio Rezza a fine spettacolo), senza che nessuna maschera dello staff del Teatro Puccini intervenisse, e senza che nessuno della platea capisse se fosse una simpatica gag (in quel momento è balenata l’idea dell’attentato al Teatro Dubrovka in Russia nel 2002) concordata con l’autore, che invece si è accorto che qualcosa non andava e si è defilato (prontamente e giustamente) dietro le quinte. Il signore in questione, un misero agitatore, un bieco provocatore e un fomentatore da quattro soldi, poi tranquillamente è sceso dal palco comodamente, senza nemmeno correre, senza che nessuno lo fermasse per chiedere spiegazioni del suo gesto egocentrico e maleducato (ribadiamo pacifico ma comunque invadente e aggressivo), è uscito dal teatro e ha preso la sua bicicletta dileguandosi nel buio del traffico fiorentino. Ci chiediamo se il signore in questione avesse il biglietto oppure se fosse entrato di straforo, eludendo la biglietteria in un attimo di distrazione (il costo del ticket era di 25 euro e il suo abbigliamento trasandato).
Sarebbe potuto accadere anche qualcosa di peggio (Sgarbi è comunque un personaggio in vista, un ex Ministro della Repubblica, inviso a certe parti politiche) visto lo stato alterato della persona in oggetto. Lo staff dei teatri dovrebbe anche vigilare sulla sicurezza degli artisti (e del pubblico) e non permettere che possa ricapitare in futuro che qualche sobillatore decida di salire, in maniera arrogante, pretestuosa e autoritaria, su un palcoscenico imponendo la propria presenza. Ripetiamo: non è successo niente di grave e nessuno si è fatto male, nessuno è stato minacciato o ha subito un qualsivoglia torto ma poteva accadere il peggio perché la sicurezza è stata pari a zero e nessuna delle tante maschere presenti in sala ha pensato (in questo mondo dove ormai si filma tutto ma nessuno, neanche chi avrebbe l’autorità per farlo, agisce per paura del conflitto) di fermare l’intervenuto anche solamente per chiedergli le generalità e segnalare alle autorità questo signore che cercava effimera visibilità, una meschina popolarità spicciola da facinoroso di periferia.
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