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“Da quando faccio teatro, ho deciso. Non muoio più”: è la dichiarazione, ci dicono fatta nella vita reale e poi trasposta in scena, di una delle protagoniste di Si! Giorni felici! (produzione Verso Oklahoma e Turcaret Teatro), l’ultimo lavoro di Matteo Pecorini visto di recente al festival Contemporanea di Prato in un allestimento presso lo Spazio K.
Potrebbe apparire un’affermazione eccessiva se non fosse che l’attrice che la pronuncia anche in scena, Lilla Mangano (al suo debutto), ha superato da poco i novant’anni ed il regista l’ha incontrata presso il Centro Servizi per Anziani Il Gignoro di Firenze.
Un teatro per non morire più; ed effettivamente è vivo quello che accade in scena dove Lilla Mangano condivide lo spazio con lo stesso Matteo Pecorini, con una giovanissima Sveva Martinoli Ponzoni e la danzatrice Linda Vinattieri.
Pecorini, che da tempo gioca con Beckett (come nel suo recentissimo e purtroppo poco distribuito Senza!), usa Beckett come ago di un compasso immaginario e si diverte ad allargare il raggio a dismisura attorno alla poetica dell’autore di Aspettando Godot fino a farla esplodere.
Non è più Beckett questo Beckett e per questo lo è molto di più di altri Beckett; nel decostruire l’opera dell’autore irlandese infatti Pecorini sembra voler parlare al tempo in cui viviamo così come Beckett tentò di interloquire con il suo tempo.
Così, Giorni felici, diventa uno spaccato di vita di tre donne, con tre età differenti, che nell’intenzione del regista non rappresentano sé stesse ma, semplicemente (ed è quasi un ossimoro) si lasciano accadere in scena.
“Volevo portare tre frammenti di vite vere in scena con i loro giorni felici” ci dice in foyer dopo la recita mentre scherza con le sue attrici e con la sua compagna Eliana Martinelli (architetta e scenografa, qui suo aiuto regista) e con Martino Lega che ha curato le luci.
Dallo spettacolo, soprattutto dalle tre protagoniste, ci arrivano tanti stimoli.
Della giovanissima attrice (9 anni) vediamo tutta la tensione del “giocare” come finzione scenica richiesta dal regista ed il “giocare” moto naturale della sua età, quando non riesce a fare a meno di guardare il pubblico imbarazzata e provocatoria, o quando dialogando con il regista in scena ci spiega la sostanziale differenza (metafora involontaria della vita) tra Lego e Playmobil; alla bravissima Linda Vinattieri (con i suoi incisi di danza che puntellano e contrastano con quello che le due colleghe debuttanti mettono in gioco), dobbiamo la riflessione che nasce senza concludersi sulla relazione tra la bellezza che figlia dal mestiere e quella che nasce dall’assenza di mestiere.
Matteo Pecorini si limita in scena a muoversi silenzioso tra le tre protagoniste quasi facendo da astante per gli spettatori; guarda da dentro quello che noi guardiamo da fuori, silenziosamente, quasi citando se stesso con le movenze del protagonista del prima atto della sua trilogia Beckettiana (Senza! prodotto da Kanterstrasse), come il Chaplin che si svela Charlot alla fine del suo Monsieur Verdoux.
(Nel capolavoro diretto ed interpretato da Chaplin, con un soggetto scritto a quattro mani con Orson Welles, il protagonista non veste i panni di Charlot ed affronta il genere del thriller; se non per qualche istante, nel finale drammatico che non sveliamo a chi non ha visto il film ed intende recuperarlo, in cui accenna qualche passetto del suo personaggio più celebre).
Lilla Mangano in tutto questo, delizia e croce di questo spettacolo, spesso sovrasta tutto con la libertà con cui si muove in questa macchina scenica che Pecorini silenziosamente gli ha cucito addosso; ci fa ridere, spesso; ci commuove, altrettanto, ci spiazza.
Come quando, davanti ad un vuoto di memoria evidentemente molto forte, si rivolge al regista esclamando “Willy, aiutami” attribuendogli, o più probabilmente chiarendo ad alta voce, un ruolo che fino a quel momento era stato nascosto.
Ora capiamo. Ora i ruoli sono svelati.
È lei, lei è la vera Winnie, o forse sono tutte e tre le donne; liberate dal cumulo di sabbia in cui Beckett le aveva costrette e pronte a danzare, a fine spettacolo tutte assieme, in una danza circolare giocosa che un po’ ricorda la Bausch, un altro po’ la danza macabra di Bergman ribaltata da Monicelli (in questo caso i riferimenti sono nell’ordine Il settimo sigillo e Brancaleone alle Crociate).
Sarà riuscito Matteo Pecorini a far accadere la vita in scena come desiderava?
Non ne siamo sicuri, ed anche se lo fossimo, non ci sbilanceremmo.
Non è per questo che va visto; va visto per il rischio che il gruppo si prende in questo tentativo, perché la vita accade quando vuole, ed il massimo che si può fare è “tentare”.
In fondo, non è questo il teatro?
Non è forse l’arte in cui si tende a qualcosa senza necessariamente raggiungerlo?
Una nota di colore.
Accanto a me, durante lo spettacolo, c’era un giovane nipote della debuttante novantenne; venuto di proposito dalla Spagna, dove vive, per prendere parte a questa svolta biografica inaspettata della nonna a cui appare molto legato.
Un istante prima che partissero gli applausi ha sussurrato, non troppo a bassa voce e con un certo stupore, “Che figa mia nonna!”.
E siamo tutti un po’ d’accordo con lui.
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Piatto consigliato da accompagnare allo spettacolo:
Salmorejo con prosciutto cotto croccante ed uova mimosa.
(Chi vuole la ricetta può contattarmi; oppure affidarsi ad una ricerca internet…ma così si perde i miei consigli sulla preparazione).
FRANCESCO CHIANTESE
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