Inizio Ottocento, Bologna. Carlotta Gargalli sceglie di fare della pittura la sua professione. Con intraprendenza e tenacia, riuscirà a ritagliarsi un ruolo in un contesto maschile e conservatore, fra Bologna e Roma, riscontrando un certo successo. Soltanto che, purtroppo, la Storia è ancora “fatta dagli uomini” e della Gargalli, fino a poco tempo fa, erano rimaste solo poche tracce.
Così Ilaria Chia, storica dell’arte e scrittrice, ha scelto di non lasciare quest’artista nell’ombra, e dopo anni di studio ne è nato un romanzo dedicato alla vita e alle opere di Carlotta Gargalli, prima donna a frequentare l’Accademia di Belle arti di Bologna.
Dopo L’allieva di Canova (Damster, 2022), è ora in libreria la seconda parte del romanzo, La gallerista di via del Corso. La seconda vita di Carlotta Gargalli (Damster, 2024), che chiude il racconto del complesso percorso di vita della pittrice bolognese, sempre tesa all’affermazione professionale e alla propria emancipazione.
Come ti sei avvicinata a Carlotta Gargalli e che cosa ti ha affascinato della sua figura?
«Mi sono avvicinata a lei come storica dell’arte – racconta l’autrice Ilaria Chia – e nel 2013 ho pubblicato un piccolo saggio dal titolo Donne professioniste del primo Ottocento, dedicato a tre pittrici bolognesi: Anna Mignani, Anna Maria Crescimbeni e, appunto, Carlotta Gargalli. Il profilo di quest’ultima mi ha subito colpito per alcune particolarità, fra tutte il fatto che sia stata allieva di Canova e una delle pochissime donne a frequentare l’Accademia di Belle Arti. Inoltre, è andata a studiare a Roma per quattro anni grazie a una convenzione dello Stato, una vera e propria eccezione per una donna. Ha avuto poi molto successo all’epoca, tanto che è stata paragonata a Elisabetta Sirani dalla viaggiatrice irlandere Lady Sidney Morgan. Ciò che mi ha colpito maggiormente è quindi il fatto che Carlotta Gargalli abbia avuto una vita e una carriera straordinarie per una donna di primo Ottocento, ma che la storia l’abbia dimenticata».
Per raccontare la vita e l’arte di Carlotta Gargalli, hai scelto lo stile romanzesco e narrativo. Da cosa deriva questa scelta stilistico-formale?
«Volevo raccontare la sua personalità e la sua intraprendenza, la sua figura particolarmente contemporanea, perciò la forma romanzesca mi è sembrata più appropriata di quella saggistica. Studiando la biografia di Carlotta Gargalli, infatti, è emerso quanto la sua vita sia stata molto diversa da quella delle donne del tempo. La si potrebbe definire avventurosa, anche per il solo fatto di essersi spostata per due volte a Roma, che all’epoca era paragonabile a un trasferimento all’estero. È stata una personalità moderna, che ha voluto dedicarsi interamente all’arte, pensandola proprio come una professione: si è impegnata tutta la vita per affermarsi come pittrice e come artista al pari di un uomo. Era molto ambiziosa, non si accontentava di piccoli traguardi, voleva studiare e vincere premi al pari dei suoi colleghi. A cinquant’anni poi ha deciso di tornare a Roma e di rimettersi in gioco aprendo un negozio di quadri. Anche nella sua vita privata è stata all’avanguardia, scegliendo per esempio di sposare un uomo più giovane e non ancora affermato, solo per amore. Gargalli per tutta la sua esistenza ha scelto e perseguito dunque l’indipendenza e questo matrimonio non lo ha fatto per convenienza, ma per essere libera».
Come hai lavorato quindi per costruire il personaggio? Quanto c’è di vero?
«Mi sono affidata ai documenti che ho raccolto in questi anni di studio presso gli archivi, da quello dell’Accademia di Belle Arti a quello di Stato di Bologna, in cui ho trovato anche un importante carteggio fra lei e il conte Carlo Filippo Aldrovandi. Il romanzo quindi ripercorre le diverse tappe della sua biografia nel modo più fedele possibile, dopo un lungo lavoro di ricerca durato anni. Poi ho cercato di immedesimarmi in lei e di capire la natura delle sue scelte, come il periodo in cui decide di smettere di dipingere. In altre parole, quando la storia per ovvie ragioni non mi veniva incontro, ho provato a interpretare io, a dare delle spiegazioni, a immaginare quali potessero essere i suoi sentimenti. Ho voluto in questo modo dare voce alla personalità di una donna che ha cercato di affermarsi professionalmente come artista in un contesto maschile ed esclusivo. E nella sua storia e nella sua figura è molto facile identificarsi anche oggi: il mondo contemporaneo è ancora molto simile».
In quale Bologna e in quale Roma ha vissuto Gargalli a livello socio-culturale?
«La sua vita si intreccia con un passaggio storico, l’arrivo delle truppe di Napoleone a Bologna. Da qui si apre un periodo favorevole per le donne, che cominciano ad avere un ruolo diverso nella società: si iniziano infatti a rivendicare alcuni diritti, fra tutti l’indipendenza economica e intellettuale. Cornelia Rossi Marinetti, per esempio, era all’epoca una delle contesse più famose a Bologna e per il suo salotto sono passati importanti personaggi del tempo, da Antonio Canova a Stendhal; oppure molto nota era la salottiera Maria Brizzi Giorgi, sempre a Bologna. Carlotta Gargalli quindi si inserisce in questo momento favorevole e riesce a ritagliarsi un ruolo come artista e pittrice. Tuttavia, dopo il 1815 terminato il periodo napoleonico, la situazione cambia e la restaurazione riporta le donne a un ruolo più tradizionale. Quando infatti si trasferisce nella Roma pontificia fra il 1839 e il 1840, fatica molto a costruirsi uno spazio e un’indipendenza, scontrandosi con un ambiente chiuso e conservatore».
Sembra che la vita di Carlotta Gargalli abbia avuto quindi due fasi. La divisione del romanzo in due volumi è specchio di questi differenti momenti? Cosa si racconta?
«In verità la divisione in due parti nasce per rendere il testo più fruibile, dal momento che è molto lungo. Tuttavia nei due libri si raccontano in effetti due fasi della sua vita diverse: la prima parte è dedicata alla Gargalli giovane, e quindi anche più ingenua, che va incontro alla vita con maggiore slancio; la seconda parte è invece più malinconica e racconta di un suo ripiegamento dopo essersi scontrata con l’amarezza e il disincanto dell’età adulta. Il secondo volume narra infatti anche il momento in cui mette da parte la pittura e cerca di reinventarsi come gallerista. Mentre scrivevo ho pensato che molti si sarebbero potuti immedesimare nel suo percorso, specie in quella scelta di intraprendere una professione che poi può incontrare un cambio di rotta, di settore, una necessità di reinventarsi. Carlotta Gargalli non abbandonerà comunque mai la pittura, la inseguirà per tutta la vita, solo che da uno studio di pittura passerà alla gestione di un negozio di quadri».
A quale pubblico vuoi arrivare?
«Senz’altro mi riferisco a studiosi ed esperti, che hanno dimostrato interesse per quest’opera di riscoperta, tanto che il romanzo ha dato vita a una mostra (realizzata al Museo Ottocento Bologna fra 2023-2024, vedi qui, ndr) e ad altri progetti. Tuttavia il libro mira a far conoscere la figura di Carlotta Gargalli a un pubblico più ampio e differenziato. La storia che racconto è quella di una pittrice, certo, ma anche di una donna ferma sui principi di parità e di uguaglianza di genere, nonostante tutte le difficoltà che incontra. Nel suo percorso ci si può quindi facilmente rispecchiare e riconoscere. Il romanzo è rivolto a tutte quelle persone che hanno una passione a cui cercano di dedicare interamente la loro vita».
Attorno al libro, come ricordavi, è stata realizzata a Bologna anche una mostra. Ci sono altri progetti collaterali in programma, oppure stai già lavorando a qualcosa di nuovo?
«Oltre alla mostra è stato realizzato uno spettacolo al Teatro di Villa Mazzacorati con l’Associazione Ottocento APS, un momento rievocativo con danze e musiche dell’epoca, in cui abbiamo raccontato la storia della Gargalli. Si tratta di un appuntamento che mi piacerebbe replicare in altri contesti. Nel frattempo sto continuando a scrivere, al momento sono al lavoro su un altro romanzo, sempre dedicato a una donna e un’artista, per continuare a dar voce a tutte quelle figure femminili rimaste nell’ombra, proseguendo così questo percorso di riscoperta delle artiste dell’Ottocento».