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L’illuminante saggio Fuori tempo. Coreografia e nostalgia, anacronismo e inattualità di Stefano Tomassini (Scalpendi editore, 2023) interroga la danza non solo come pratica artistica, ma come fenomeno culturale, semiotico e temporale.
L’analisi dell’appassionato studioso militante si focalizza sulla danza come linguaggio che si inscrive nello spazio e nel tempo, e che, nonostante l’ontologica effimera materialità, porta con sé (e fuori da sé) una capacità inesauribile di significare e risignificare.
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IL TEMPO COME SEGNO
Tomassini articola la propria riflessione sulla danza attraverso tre categorie centrali: nostalgia, anacronismo e inattualità. Ciascuna di queste può essere letta come una modalità di significazione temporale.
> NOSTALGIA
La nostalgia è vista da Tomassini non solo come un sentimento, ma come un dispositivo che interviene nel modo in cui i segni della danza richiamano il passato.
Semiotica della nostalgia: i movimenti nella danza possono evocare memorie culturali o personali che attivano nel pubblico un processo di interpretazione retrospettiva.
Il corpo come archivio: il corpo danzante funziona come un testo stratificato, un luogo in cui si sedimentano memorie culturali (tradizioni coreografiche, tecniche) e personali (esperienze e gesti unici). La danza, quindi, è una forma di risemantizzazione del corpo attraverso il tempo.
> ANACRONISMO
Tomassini esplora l’anacronismo come una forza che destabilizza il rapporto cronologico tra segno e significato.
Significati stratificati: Quando una coreografia storica viene riproposta in un contesto contemporaneo, i segni originari (i movimenti) assumono nuovi significati.
Temporalità discontinua: L’anacronismo rende visibile una temporalità frammentata, in cui i segni si muovono tra epoche diverse, creando cortocircuiti semantici.
> INATTUALITÀ
L’inattualità è interpretata da Tomassini come una sospensione del tempo presente che permette ai segni della danza di trascendere il contesto immediato.
Segni fuori dal tempo: l’inattualità si manifesta quando il significante (il movimento) non è immediatamente riconducibile al qui e ora, ma apre a una riflessione più ampia e universale.
La sospensione del presente: questo aspetto è particolarmente rilevante negli accadimenti coreutici interrogati da Tomassini, dove spesso il movimento si presenta come “puro” e non narrativo, lasciando spazio a significazioni che trascendono il contesto spazio-temporale.
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SCANDAGLIO DEL CORPO DANZANTE
Un altro tema importante che emerge dal saggio è l’idea del corpo come segno vivente. Tomassini sottolinea come il corpo del danzatore sia non solo un produttore di segni, ma anche un archivio di significati.
Il corpo come testo: il corpo è un supporto complesso, che contiene segni storici (tecniche e stili), culturali (identità, genere) e individuali (esperienze e peculiarità del danzatore).
Il gesto come linguaggio: ogni gesto, per quanto semplice, è un segno polisemico che può significare emozioni, narrazioni o concetti astratti.
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NOSTALGIA COME AZIONE CREATIVA
«Nostalgia come un sentimento capace di azione e […] come elemento creativo irrinunciabile di ogni complessità culturale»: così Tomassini, nell’introduzione, a dare avvio a un’esplorazione che attraversa, tra le altre, la prassi creativa di Cristina Kristal Rizzo e Jacopo Jenna.
Tomassini, nel trattare le opere di Rizzo e Jenna, evidenzia come la nostalgia non sia solo un sentimento individuale, ma una struttura culturale.
Ogni società si fonda su un dialogo con il proprio passato, e la danza, come linguaggio profondamente radicato nella memoria corporea, è un esempio privilegiato di questo processo.
Le opere di Rizzo e Jenna dimostrano come il recupero del passato, quando fatto in modo critico e creativo (meglio: creaturale), non sia mai un semplice ritorno, ma un atto letterale di trasformazione.
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CRISTINA KRISTAL RIZZO: DISARTICOLAZIONE E RICOMPOSIZIONE
Tomassini riflette sul lavoro di Rizzo come un esempio di nostalgia che agisce attraverso la trasformazione. Ad esempio, nelle sue reinterpretazioni dei codici della danza classica e contemporanea, Rizzo non si limita a citare o riprodurre il passato: lo disarticola e lo ricompone in forme nuove.
Questo processo di decostruzione e ricostruzione è, secondo Tomassini, un atto nostalgico nel senso più produttivo del termine, perché non cerca di “ritornare” al passato, ma di esplorarne le possibilità nascoste.
Nel lavoro di Rizzo, la nostalgia diventa una sorta di indagine temporale, un viaggio nel tempo che non si muove in modo lineare ma si espande in tutte le direzioni.
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JACOPO JENNA: IL CORPO COME ARCHIVIO IN MOVIMENTO
Anche Jacopo Jenna è analizzato da Tomassini come un coreografo che utilizza la nostalgia per attivare una memoria creativa nel corpo.
Nei suoi lavori, Jenna esplora il corpo come archivio vivente, un luogo in cui si depositano frammenti di linguaggi coreografici diversi, dai repertori storici alle pratiche contemporanee. Jenna, però, non si limita a riproporre questi frammenti: li ricontestualizza e li combina in modi che producono nuovi significati.
Questa pluralità di riferimenti crea una temporalità complessa, in cui il passato e il presente si sovrappongono. La nostalgia, in questo senso, non è un semplice rimando a ciò che è stato, ma una forza che permette al passato di trasformarsi e significare in modo inedito.
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IL TEMPO NELLA DANZA DI RIZZO E JENNA
Per entrambi i coreografi, il tempo non è mai un fluire lineare, ma un materiale da plasmare.
Rizzo e Jenna lavorano con una concezione del tempo che, secondo le categorie esplorate da Tomassini, si potrebbe forse definire anacronistica: il passato non è fissato, ma sempre in dialogo con il presente.
Questo confronto è intrinsecamente nostalgico, ma non nel senso di un rimpianto immobilizzante. Al contrario, la nostalgia è il motore che rende possibile questa compresenza di tempi diversi.
Rizzo, ad esempio, destruttura i codici del passato per scoprire nuove possibilità coreografiche nel presente, mentre Jenna gioca con i frammenti della memoria culturale per creare nuove narrazioni.
In entrambi i casi, la danza diventa un luogo in cui il tempo si stratifica, si frammenta e si ricompone, generando significati che vanno oltre il qui e ora della performance.
Attraverso l’analisi del lavoro di Cristina Kristal Rizzo e Jacopo Jenna, Stefano Tomassini mostra come la nostalgia possa essere una forza creativa capace di alimentare nuovi linguaggi coreografici e nuove narrazioni temporali.
La danza, con la sua capacità di evocare memorie e significati attraverso il corpo, diventa un campo privilegiato per esplorare la complessità del tempo e della cultura.
In questa prospettiva, la nostalgia non è una debolezza, ma una linfa vitale, una spinta verso l’innovazione che tiene insieme il passato e il presente, aprendo la strada a un presente e a un futuro sempre in divenire.
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INFINE: ARTE DELLA MEMORIA E SUA RIELABORAZIONE
La riflessione di Stefano Tomassini in Fuori tempo non riguarda solo la danza, ma si allarga a interrogare il ruolo della nostalgia nella cultura contemporanea: vien così da intrecciare il linguaggio del movimento con altre forme d’arte.
In particolare, la danza può essere vista come un prisma attraverso cui leggere le dinamiche della memoria e del tempo nell’arte contemporanea, dove il passato non è mai semplicemente archiviato, ma rielaborato per creare nuovi significati.
Vien da pensare, in primis, a Christian Boltanski, che esplora la memoria e la perdita attraverso installazioni che evocano frammenti del passato personale e collettivo.
Nelle sue opere, come Les Archives o Réserve, il passato non è mai celebrato come un tempo mitico, ma è frammentato, ricomposto e talvolta incompleto. La nostalgia, in questo caso, non è idealizzante, ma interrogativa: sollecita il presente a confrontarsi con ciò che è stato perduto e con ciò che può essere recuperato. Anche in questo, si può ritrovare l’affinità con i gesti coreografici: la danza, effimera per sua natura, evoca continuamente ciò che non c’è più, trasformandolo in atto creativo.
Georges Didi-Huberman ha esplorato l’anacronismo come chiave interpretativa della storia dell’arte: le immagini del passato, secondo lui, non appartengono mai a un tempo unico, ma portano con sé stratificazioni di memoria e proiezioni future. Questo approccio si può applicare tanto alle opere pittoriche quanto alle performance coreografiche analizzate da Tomassini.
Sia nella danza che nella storia dell’arte contemporanea, la nostalgia non è mai un rifugio, ma uno strumento per generare nuovi modi di vedere e di creare. In artisti come Rizzo e Jenna, così come nei lavori di Boltanski o Marcel Duchamp, la nostalgia diventa un atto di resistenza contro l’oblio e la semplificazione, un modo per dare profondità al presente.
La danza, con la sua immediatezza e la sua natura transitoria, rappresenta una delle forme più potenti di questa ricerca.
Attraverso il movimento, il corpo diventa luogo di memorie vive, capace di evocare il passato e trasformarlo in un presente ricco di possibilità.
È questa ontologica capacità della danza di incarnare il tempo che Tomassini mette in luce: una nostalgia che non è fuga, ma costruzione, un gesto che permette di abitare il tempo in tutta la sua complessità.
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